Europa, volti di una tradizione - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 20 maggio 2021
Ore: 10:00*
giovedì 20 maggio 2021
Ore: 20:00
sabato 22 maggio 2021
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Scuola viennese
Beethoven, Coriolano, ouverture in do minore op. 62
Haydn, Concerto n. 2 per violoncello e orchestra in re magg. Hob:VIIb:2
Schubert, Sinfonia n. 2 in sib maggiore D. 125

Direttore e solista: Enrico Dindo
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Ludwig van Beethoven (1770-1827)
Coriolano, ouverture op.62

Franz Joseph Haydn (1732-1809)
Concerto per violoncello e orchestra n. 2 in re maggiore, Hob:VIIb:2

I: Allegro moderato
II: Adagio
III: Rondò: Allegro

Franz Schubert (1797-1828)
Sinfonia n. 2 in si bemolle maggiore, D 125

I: Largo – Allegro vivace
II: Andante
III: Menuetto. Allegro vivace
IV: Presto


Scuola viennese

È logico e naturale che una stagione sinfonica si chiuda nel luogo in cui è nato il concetto stesso dell’altissima dignità della musica assoluta, di nulla inferiore alla letteratura e alle altre arti: Vienna. Lo fa abbracciando in un’unica serata quella stagione formidabile i cui termini estesi potranno essere collocati tra l’ingresso di Haydn bambino nella cantoria del Duomo di S. Stefano nel 1740 e la morte di Schubert nel 1828. Ai due autori appena citati il programma odierno affianca il più rappresentativo tra i giganti della Scuola di Vienna, benché al pari degli altri, con l’unica eccezione di Schubert, non viennese di nascita: Beethoven. Con una perla del sinfonismo beethoveniano, la prima ouverture da concerto in senso moderno, cioè autosufficiente rispetto al dramma cui si riferisce e di cui costituisce una sintesi, si conclude l’omaggio riservato al compositore all’indomani del 250° dalla nascita. Forse soltanto la Quinta sinfonia può competere con la plasticità e la potenza espressiva dell’attacco dell’Ouverture per il Coriolano. Coeva alla composizione della Quinta sinfonia (venne presentata in un concerto privato presso il principe Lichnowsky l’8 marzo 1807), nella stessa tonalità, beethoveniana per antonomasia, di do minore, con quella sinfonia cruciale l’ouverture condivide tre ulteriori elementi essenziali: la spiccata gestualità, la concisione che la configura come pura energia compressa, e il contenuto ideale. Come per il Fidelio, l’Egmont e la Nona sinfonia, Beethoven concepisce questo lavoro come sonorizzazione altamente simbolica del mondo morale che gli è più caro. L’occasione è offerta da una tragedia di marca schilleriana del drammaturgo austriaco suo coetaneo Heinrich Joseph von Collin, il Coriolanus, che dal 1802 aveva fatto furore a Vienna, per una ripresa della quale, nell’aprile 1807, forse Beethoven, che con Collin vagheggiò di scrivere un Macbeth, concepì la sua ouverture. Soggetto del dramma – tratto da Plutarco, fonte di ispirazione per Schiller e per tutto l’idealismo tedesco, e già sfruttato da Shakespeare – è il dilemma morale di Gaio Marcio Coriolano che, esiliato da Roma, congiura con i nemici Volsci contro la patria, ma alla fine desiste, convinto dalle suppliche della moglie e della madre. Solo la morte di un eroe tanto modernamente ambiguo potrà sciogliere, recidendolo, il nodo morale inestricabile che ripropone il tema schilleriano della contrapposizione eroica tra la libertà dell’individuo e una società ostile. Il primo gruppo tematico, agitato e incalzante, simboleggia l’orgoglio dell’eroe; il secondo, lirico e cantabile, la dolcezza muliebre che lo placa. La conclusione, come nella Sonata “Appassionata”, traduce nell’essenzialità dei gesti sonori pacati il senso di una fine ineluttabile, fatta propria con stoica rassegnazione.

Difficilmente salto potrebbe essere più divaricato di quello che dal tragico do minore beethoveniano ci conduce all’olimpica serenità del Concerto per violoncello in Re maggiore di Joseph Haydn. Se presso i contemporanei circolò qualche dubbio sull’autenticità del lavoro – frutto della maturità del genio, ne possediamo il limpido autografo del 1783, venuto alla luce solo negli anni Cinquanta del Novecento, ma già dal 1804 lo si leggeva nell’edizione a stampa – l’entrata del violoncello nell’ampio Allegro moderato d’apertura fuga ogni dubbio. Dopo che l’orchestra ha stabilito un clima sereno e pacato, la voce del solista riprende infatti nel registro acuto il tema principale con un talento affabulatorio capace di una seduzione che forse solo a Mozart in quegli anni è dato prestare a uno strumento, rendendolo capace di parlare senza proferire parola. Se calma olimpica promana anche dall’Adagio in La maggiore, nell’Allegro conclusivo il violoncellista si trasforma in acrobata, prodigandosi sulle quattro corde dello strumento, specialmente nell’episodio in modo minore di questo rondò, in una parata di prodezze virtuosistiche che avranno dato pieno sfogo all’ammirevole strumentista che ne fu l’originario destinatario, plausibilmente Anton Kraft, primo violoncellista dell’orchestra di Haydn a Esterháza, non meno che all’interprete odierno.

Composta otto anni dopo l’ouverture beethoveniana, la Seconda sinfonia di Schubert pare riportarci alla classicità solare e armoniosa di Haydn, alla cui paternità si potrebbe tranquillamente ascrivere il tema con variazioni dell’Andante. Lavoro giovanile del suo Autore, che durante la composizione della sinfonia compì 18 anni, è incardinata in quella tonalità di Si bemolle maggiore che aveva significato molto nell’adolescenza di Schubert, il quale proprio a una figura di riferimento della sua formazione, Franz Innocenz Lang, direttore del Collegio cittadino da cui si era congedato l’anno prima, dedicò la sua seconda fatica sinfonica, eseguita probabilmente nei saggi dell’orchestra degli allievi, se non dall’orchestra amatoriale cui Schubert apparteneva (per un’esecuzione pubblica fu invece necessario attendere il 1877, a mezzo secolo dalla morte del compositore). Lavoro giovanile sì, ma che esibisce una sorprendente abilità costruttiva, evidente ad esempio nel collegamento tra l’elementare tema naïf del citato Andante e il Trio del Minuetto: tocco di umorismo à la Haydn? È però il dinamismo la cifra più autentica di questa novità sinfonica che Schubert inizia il 10 dicembre 1814 e completa il 24 marzo di quel 1815 che frutterà duecento nuovi lavori, mentre Vienna sta ospitando lo storico Congresso che avrebbe determinato tanto parte della storia europea: il dinamismo del vasto Allegro vivace che emerge dalla breve ma drammatica introduzione Largo con una frenesia che pare già materializzare gli elfi del Sogno di una notte di mezza estate mendelssohniano, frenata dal bello e ampio II tema cantabile e coinvolta nel culmine drammatico alla vigilia della Ripresa, o quello del Presto vivace finale, il cui galoppo, per quanto animato, non smette mai la sua classica compostezza.


Enrico Dindo
violoncello

Figlio d’arte, inizia a sei anni lo studio del violoncello. Si perfeziona con Antonio Janigro e nel 1997 conquista il Primo Premio al Concorso “ROSTROPOVICH” di Parigi. Da quel momento inizia un’attività da solista che lo porta ad esibirsi con le più prestigiose orchestre del mondo come la BBC Philharmonic, la Rotterdam Philarmonic, l’Orchestre Nationale de Audemars Piguet Replica Watches France, l’Orchestre du Capitole de Toulouse, la Tokyo Symphony Orchestra, la Filarmonica della Scala, la Filarmonica di San Pietroburgo, la London Philharmonic Orchestra, la NHK Symphony Orchestra di Tokyo, la Toronto Symphony, la Gewandhausorchester Leipzig Orchestra e la Chicago Symphony ed al fianco dei più importanti direttori tra i quali Riccardo Chailly, Aldo Ceccato, Gianandrea Noseda, Myung-Whun Chung, Daniele Gatti, Yutaka Sado, Paavo Jarvj, Valery Gergev, Yuri Temirkanov, Riccardo Muti e lo stesso Mstislav Rostropovich che scrisse di lui: “… è un violoncellista di straordinarie qualità, artista compiuto e musicista formato, possiede un suono eccezionale che fluisce come una splendida voce italiana”.

Tra gli autori che hanno creato musiche a lui dedicate, Giulio Castagnoli (Concerto per violoncello e doppia orchestra), Carlo Boccadoro (L’Astrolabio del mare, per violoncello e pianoforte, Asa Nisi Masa, per violoncello, 2 corni e archi e Concerto per violoncello e orchestra), Carlo Galante (Luna in Acquario, per violoncello e 10 strumenti), Roberto Molinelli (Twin Legends, per violoncello e archi, Crystalligence, per cello solo e Iconogramma, per cello e orchestra) e Jorge Bosso (Valentina, un violoncello a fumetti).

Direttore stabile dell’Orchestra da camera “I Solisti di Pavia”, ensemble da lui creato nel 2001, Direttore musicale della HRT Symphony Orchestra di Zagabria, è docente della classe di violoncello presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano, presso la Pavia Cello Academy e ai corsi estivi dell’Accademia Tibor Varga di Sion.

Incide per Chandos con cui, nel 2012, ha pubblicato i 2 concerti di Shostakovich con la Danish National Orchestra & Gianandrea Noseda, e per Decca con cui ha registrato l’integrale delle opere per violoncello e pianoforte di Beethoven, le 6 Suites di J.S. Bach oltre che, insieme ai Solisti di Pavia, i 3 concerti per violoncello e archi di CPE Bach, 6 concerti di A. Vivaldi e Il Concerto per violoncello e archi di Kapustin insieme a musiche di Piazzolla.

Enrico Dindo è Accademico di Santa Cecilia e suona un violoncello Pietro Giacomo Rogeri (ex Piatti) del 1717, affidatogli dalla Fondazione Pro Canale.