Le date
Giovedì 24 febbraio, ore 21 Teatro Dal Verme
Venerdì 25 febbraio, ore 21 Teatro Fraschini di Pavia
Sabato 26 febbraio, ore 17 Teatro dal Verme
Direttore:
Aldo Ceccato
Pianoforte:
Paolo Bordoni
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Felix Mendelssohn-Bartholdy
(1809 – 1847)
Serenata e Allegro giocoso, op.43 per pianoforte e orchestra
Andante
Allegro giocoso
Capriccio brillante, op.22, per pianoforte e orchestra
AndanteAllegro con fuoco
****
Sinfonia n.5, op.107, “Riforma”
Andante – Allegro con fuoco
Allegro vivace
Andante
Corale “Ein feste Burg ist unser Gott!”:
Andante con moto – Allegro vivace – Allegro maestoso
Il Concerto:
a cura di Andrea Dicht
Molto eloquente riguardo alla scrittura pianistica di Mendellsohn è la Serenata e Allegro giocoso del 1838, l’ultima composizione di Mendelssohn per pianoforte e orchestra. La concezione generale è del tutto simile a quella del brano precedente, un’introduzione lenta, che ricorda molto da vicino qualcuna della sua cinquantina di Romanze senza Parole per solo pianoforte, seguita da un finale accesamente virtuosistico, dove l’orchestra sostiene e accompagna il pianoforte. L’unica differenza è riscontrabile nella struttura formale dell’Allegro, meno capriccioso del precedente e tagliato su un rondò informato da due temi principali, uno staccato-scherzando ed uno di tenore più lirico, supportato da rapidi arpeggi. Mendelssohn compose questa pagina in due giorni, per soddisfare la richiesta della contralto boema Caroline Botgorschek di esibirsi ad una sua serata di beneficenza. Dalla partitura manoscritta, che il compositore utilizzò in quell’esecuzione, si nota che 15 misure della parte pianistica furono lasciate in bianco e che vennero completate da Mendelssohn direttamente in pubblico. Nonostante la fretta, il compositore amava questa sua creatura, ed infatti fu da lui scelta, insieme ad alcune Romanze e varie improvvisazioni, per un concerto privato che tenne il 14 giungo 1842 a Buckingham Palace, per la sola regina Vittoria ed il consorte. Dal giornale privato della regina leggiamo, due giorni dopo: “Dopo cena venne Mendelssohn Bartholdy, del quale ero così ansiosa di fare conoscenza. […] È basso, di aspetto scuro ed ebreo – delicato – con una raffinata fronte intellettuale… È molto compiacente e modesto, ed è molto protetto dal re di Prussia”. Dopo l’esecuzione, in cui Mendelssohn improvvisò su temi dati estemporaneamente dalla regina (“Rule Britannia” e l’inno austriaco, tra gli altri, che egli pose anche a contrappunto insieme), il diario conclude così: “Eravamo tutti pieni della più grande ammirazione. Il povero Mendelssohn era piuttosto esausto dopo aver suonato”.
Per un ascolto coscienzioso della musica classica è una buona norma leggere il titolo di un brano prima dell’esecuzione, ma è altrettanto interessante a volte riflettere sullo stesso titolo dopo l’ascolto. Il termine Capriccio attraversa la storia della musica sin, quasi, dalle sue origini, poiché ne troviamo attestazioni già nel Cinquecento, sia in ambito vocale che strumentale. Questa definizione non contiene particolari indicazioni formali né contenutistiche, se non una certa libertà di inventiva, unita ad una scrittura il più delle volte brillante o virtuosistica, ma non sempre. Conosciamo i Capricci di Paganini ma ne esistono di Bach (“sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo”), di Liszt, di Brahms, fino all’opera in un atto “Capriccio” di Richard Strauss, che reca come sottotitolo “Ein Konversationsstück für Musik”. La musica pianistica di Mendelssohn è molto “capricciosa”, se vogliamo riconoscere a questo termine la sfumatura di brillante, e lo è in una maniera tutta particolare. A giudicare dalla scrittura pianistica della sua musica, e stando alle cronache delle sue esecuzioni, Mendelssohn dovette essere un pianista davvero eccezionale.Il Capriccio brillante op.22, stasera in concerto, ne è una prova piuttosto evidente, anche se questo brano, nella sua produzione complessiva, non occupa uno spazio così centrale. Varie teorie si sono succedute sulla sua genesi, tra le quali la più accreditata sembra essere quella che lo vede come un frutto del sodalizio con la pianista Delphine von Schauroth, avvenente virtuosa che lo stesso imperatore Ludwig I voleva accasare al compositore. Sappiamo però con certezza che quest’ultimo volle trasformare questa loro affinità “spirituale” in un rapporto molto musicale e trascendere il fascino che, ella esercitava abilmente sul giovane Felix neanche ventenne, in una comunione pianistica del tutto casta.Grazie a questo incontro nacque questo splendido brano, dapprima per pianoforte solo come pezzo eminentemente viruosistico, poi col suo titolo e provvisto di accompagnamento orchestrale. Il solista ne è il vero protagonista: è il pianoforte che, con ampi accordi arpeggiati, enuncia il tema principale, quello che, attraverso vari procedimenti, darà vita all’intera partitura. L’ingresso dell’orchestra si limita dapprima a pochi pizzicati che accompagnano il tema, poi entrano i fiati a creare armonie di sfondo alla recitazione pianistica. Ben presto le serene acque dell’Andante si increspano, il movimento si accelera e l’orchestra viene subito contagiata: un grande crescendo conduce ad un nuovo episodio del solista, che ben rende ragione del carattere capriccioso della composizione. L’orchestra commenta le evoluzioni del pianoforte fino all’enunciazione di un nuovo tema, stavolta senza solista, che viene intercalato da episodi a lui dedicati. Non sono però i temi, né la forma, ad essere il centro di interesse di questo tipo di repertorio, quanto la particolarità della scrittura pianistica: non è musica impegnata, non ci sono particolari intenzioni espressive, tutta l’attenzione è volta nella direzione di una conduzione del discorso musicale la più fluida e varia possibile. Vi è una cura dell’estetica molto evidente, vengono evitate ripetizioni letterali dello stesso materiale in una ricerca di varietà che testimonia una sorta di stato dell’arte della tecnica pianistica dell’epoca.
L’ebraismo di Felix è stata una questione molto dibattuta, anche quando egli era ancora in vita. È comunque singolare che proprio la discendenza di Moses Mendelssohn, il “saggio”, famoso ed ingombrante nonno di Felix, abbia conosciuto molte conversioni confessionali: dei suoi figli, Nathan si convertì al protestantesimo, Recha rimase ebrea, Henriette e Dorothea si convertirono al cattolicesimo, Joseph e il padre del compositore e di Fanny, Abraham, rimasero ebrei, ma quest’ultimo decise in seguito di battezzare i figli “perché il cristianesimo è la religione della maggior parte degli uomini civili”, e infine si convertì lui stesso. Già allora non erano tempi facili per gli ebrei, il nazionalismo tedesco tendeva ad isolare e mettere in evidenza qualsiasi “difformità” religiosa , e nella Germania meridionale vi furono disordini anche violenti nei confronti di alcune comunità ebraiche, rivolte che culminarono nel 1819, a Berlino, in un vero e proprio pogrom al grido “Hep! Hep!” (Hierosolima est perdita, Gerusalemme è perduta). Erano gli anni della formazione di Mendelssohn, un Neuchrist, un convertito, ed è probabile che la sua crescita spirituale sia stata risparmiata da certe esperienze, grazie anche all’elevata posizione sociale della sua famiglia. Fu infatti proprio nel 1819 che Mendelssohn fu battezzato: in casa sua il giudaismo era ormai considerato una vecchia formalità, senza implicazioni dogmatiche. Abraham, suo padre, su pressione del cognato Jakob Bartholdy (anch’egli battezzato), aveva mandato nascostamente i figli a lezione di catechismo, per rendere loro la vita più semplice e senza ostacoli. Nel 1822, dopo il battesimo dei figli, anche i genitori optarono per la conversione. Felix Mendelssohn rimase per tutta la sua vita piuttosto indifferente al problema religioso, pure lui un uomo di intensa spiritualità. Non rinunciò comunque mai a difendere i suoi “fratelli ebrei” da ogni limitazione o coercizione. Il problema era piuttosto del padre, il quale doveva sentire molto la scelta confessionale, al punto da entrare in acceso contrasto con il figlio, anche in merito al cognome. Felix non rinunciò mai al cognome di suo padre, come egli stesso avrebbe voluto. Le cronache relative ai successi del primo viaggio inglese di Felix giunsero ad Abraham e lo fecero montare su tutte le furie: “Un Mendelssohn cristiano non può esistere […] e non deve neppure esistere”, gli scrisse da Berlino, “Mendelssohn è e rimane eternamente l’ebraismo del periodo di transizione che, tendendo ad una metamorfosi spirituale dall’interno all’esterno, si aggrappa all’antica forma con tanta più tenacia e coerenza quanto più arrogantemente e presuntuosamente intende la nuova forma e afferma che solo grazie ad essa si possa raggiungere il bene”.Con quanta agilità Felix Mendelssohn-Bartholdy si muovesse all’interno di questo problema lo notiamo anche dal fatto che un compositore estremamente legato per famiglia ai problemi della dottrina abbia potuto comporre una Sinfonia per la celebrazione del terzo centenario della Confessione di Augusta (l’atto con cui, nel 1530, vennero stabiliti i principi della Riforma luterana) e intitolarla Riforma. Numerata come quinta, è in realtà la seconda, in ordine cronologico delle sue cinque sinfonie, la prima dell’età adulta e l’ultima ad essere pubblicata, postuma.“Non la sopporto più: fra le mie cose è quella che brucerei più volentieri; non dovrà mai essere pubblicata”, così si esprimeva Mendelssohn in merito alla sua partitura oggi così famosa, e stupisce questa sua espressione tanto più quanto la musica sia varia, sempre di alto livello e arguta nella strumentazione e nella forma.Ci affascina anche che Felix, che aveva comunque l’abitudine di ricorrere alla carta solo quando il brano fosse stato ben delineato nella sua immaginazione, scrisse questa Sinfonia battuta dopo battuta, a dimostrare che essa era stata “composta” in ogni suo dettaglio senza alcun ausilio grafico. Il suo intimo amico, Eduard Devrient, che aveva assistito alla stesura, ci racconta che “era meraviglioso veder avanzare la nera colonna (di inchiostro) sui pentagrammi bianchi. […] Era un gigantesco sforzo di memoria, riempire ogni dettaglio, ogni raddoppio di parti, ogni assolo, un gigantesco mosaico”.Se è vero che la musica non si misura in minuti, allora questa Sinfonia è in effetti gigantesca, anche se è meno estesa di altre, anche della Prima, la più giovanile. La composizione cominciò nell’autunno 1829 e terminò nell’aprile 1830. Il programma di sala della prima esecuzione la definiva così: “Symphonie zur Feier der Kirchen-Revolution” (Sinfonia per la commemorazione della rivoluzione della Chiesa), ma le celebrazioni per la quale era stata creata non si tennero mai. Le rivoluzioni del 1830, quelle che culminarono nella “rivolta di luglio” a Parigi e in molti degli Stati di cui era composta la Germania di allora, distolsero l’attenzione dei governi da qualunque progetto commemorativo. In pochi erano, in quei giorni, ad avere potere ed autorità per organizzare occasione festive, e nessuno di essi volle accollarsi quest’onere. L’ordine costituito correva un pericolo troppo grande.La prima esecuzione ebbe luogo due anni dopo, il 15 novembre 1832, in una serata in cui il compositore stesso diresse il suo lavoro alla Singakademie di Berlino.Il primo movimento si apre con un’introduzione lenta, Andante, di carattere solenne e chiesastico, nella quale viene introdotta una figurazione melodica (ed armonica), nota come l’Amen di Dresda: è identificabile nel primo episodio dei soli archi, dopo 32 misure di intricate armonie di tutti gli strumenti. Val la pena notare che questo inciso sarà ampiamente utilizzato anche da Wagner nel suo Parsifal; entrambi i compositori erano indubbiamente familiari con questa figurazione in seguito alle rispettive permanenze a Dresda.La parte principale del primo movimento è un Allegro con fuoco, che segue le due iterazioni dell’Amen, ed è un ampio movimento in forma-sonata alimentata da due temi principali. Il primo è quello d’inizio, forte, a piena orchestra, e contrassegnato da un repentino balzo verso l’acuto. Il secondo, meno energico, più cantabile ma altrettanto rapido, è affidato agli archi nel piano, ed è caratterizzato da una certa instabilità dinamica.Il secondo movimento, Allegro vivace, è a tutti gli effetti uno Scherzo, anche se Mendelssohn, probabilmente per evitare un termine poco confacente alle intenzioni celebrative e solenni della partitura, omise questa definizione. Ne sono protagonisti i fiati, in entrambe le sezioni (la forma è l’usuale ABA, con due parti simili che contengono un episodio contrastante). L’Allegro si apre con un tema di flauti e clarinetti, in piano, di carattere spensierato, a cui risponde un inciso che riporta l’atmosfera a termini più seriosi. Contrapposto allo Scherzo, ascoltiamo un Trio condotto dai due oboi, a distanza di terza, che disegnano una linea melodica sinuosa, semplice, di carattere meno impegnato e sofisticato. Molto raffinato è lo scambio di trilli tra le viole ed il primo flauto. Conclude il brano una breve coda con funzioni di commiato, in una dinamica sempre più contenuta che accoglie un’ultima entrata dei clarinetti tra i pizzicati degli archi.L’Andante che segue va letto più come un’introduzione al composito movimento finale che come un’unità a sé. Esso consta di una melodia dei primi violini, sostenuta dal resto degli archi e interrotta da brevi apparizioni dei fiati, e assomiglia molto ad un possibile recitativo da oratorio (e Mendelssohn era molto esperto di questa forma, anche se non ancora negli anni in cui questa Sinfonia nacque). Da una nota grave, tenuta da violoncelli e contrabbassi, si passa al Finale: un flauto intona solitario una melodia, a piena voce, che ogni ascoltatore luterano conosceva e conosce. Si tratta del primo versetto del corale “Ein feste Burg ist unser Gott” (Forte rocca è il nostro Dio), forse il più famoso tra i corali della tradizione luterana, ritenuto da molti come una creazione dello stesso Lutero. Al flauto si aggiungono oboi, clarinetti e fagotti, poi gli ottoni e infine viole e violoncelli. Senza pause si passa alla sezione contrassegnata Allegro vivace, nella quale la melodia corale viene ripetuta su un accompagnamento di terzine degli archi. Ancora di seguito ha inizio l’Allegro maestoso, la sezione più importante del Finale. Lo svolgimento è ampio e solenne, e non mostra particolari intenti descrittivi e oratori se non in conclusione, proprio nelle ultime misure, nelle quali il corale viene enunciato a piena orchestra, in un clima davvero solenne.