Le date
Il programma di sala:
di Carla Maria Casanova
Operetta, che passione..
Un solo sguardo al programma di questa sera basterà alla grande maggioranza del pubblico per rievocare e all’occorrenza intonare sottovoce o mentalmente alcune delle romanze citate: “Tu che m’hai preso il cuor” “Salomé, una rondine non fa primavera..” “Oh, Cin-Ci-Là…” “Frou frou del Tabarin”… Chi non le ha canticchiate almeno una volta?
Spettacolo brillante per antonomasia, prototipo di riso e sorriso, di gente che balla e canta in allegria, gente incline agli scherzi, che si traveste, a volte non si riconosce, magari litiga, architetta vendette, ma dove le coppie di innamorati invariabilmente si fidanzano e si sposano, l’operetta è il luogo dei facili amori, dei facili regni (“da operetta”, appunto). Il palcoscenico deve essere festoso. Meglio se allestito con pompa. L’operetta deve piacere al pubblico. Non deve farlo piangere, non deve creargli problemi.
Più superficiale dell’opera buffa, anche più banale, non impone testi accurati né storie verosimili. A volte rasenta la pochade, sfiora la satira e la parodia. Come dice Saint Saens: “L’operetta è una figlia dell’opera comica, una figlia traviata: ma le ragazze traviate non mancano di attrattiva.”
E’ sintomatico che questo genere di spettacolo nasca in Francia, sulla scia dell’opéra comique, e non del singspiel tedesco, come a volte si è detto.
La prima volta che incontriamo il termine ufficiale “operetta” è nel 1856 (1 marzo), in ritardo dunque rispetto alla sua reale nascita che avviene a inizio del secolo (XIX°). Compare come sottotitolo qualificatore di “Madame Mascarilla”, atto unico di Jules Viard su musica di Jules Bovery. Tutti (operetta e autori) scomparsi nell’oblìo.
Sono invece rimasti, alla grande, gli Offenbach, i Lehár, i Suppé, i Kalmàn, gli Strauss (Johann jr e Joseph, e Oscar Straus con una sola s) ed anche gli italiani Lombardo, Costa e Ranzato, quantunque il genere operettistico in Italia non sfondò mai veramente. Molti dizionari non la citano neppure, l’operetta “italiana”, limitando il genere alle voci “francese” e “viennese”, nella quale ultima sono catalogati i vivaci rappresentanti ungheresi.
Proprio magiaro è l’autore della più celebre operetta in senso assoluto: “La vedova allegra” (“Die lustige Witwe”) capolavoro di Franz Lehár (1870-1948). Tanto amico di Puccini, Lehár, da esser designato affetto di “puccinite”. Aveva spirito frizzante come lo champagne benché la sua gaiezza non abbia la sferzante malizia di Offenbach né l’umorismo di Strauss. Forse anche qui ispirato a Puccini, Lehár predilesse azioni di argomento attuale e personaggi della vita reale. Musicista di solida preparazione (Conservatorio a Praga, attività in orchestra come violinista, poi direttore di banda), dopo l’iniziale successo internazionale della “Vedova” scrisse più di 30 operette, dedicando una lunga serie di titoli ciascuno a un paese diverso: “La Vedova allegra” al Montenegro, “Frasquita” alla Spagna, “Federica” alla Germania, “Lo Zarevič” alla Russia, “Il Paese del sorriso” alla Cina, “Amore di Zingaro” all’Ungheria… All’Italia, Lehár dedicò “Paganini”.
Nello stesso filone dell’operetta viennese, con pennellate di musica zigana, agì anche il connazionale Emmerich Kalmàn (1882-1953) attivo prima a Vienna, poi a Parigi e infine in America. Situò i suoi personaggi nel Gotha del gran mondo: La contessa Maritza, la duchessa di Chicago, La principessa della czarda…
A monte di questi musicisti si situa Franz von Suppé (1819-1895) uno dei creatori dell’operetta viennese. Nato in Istria da madre italiana e padre di origine belga, non riuscì mai a imparare correttamente il tedesco anzi, per vivere si trovò a impartire lezioni di italiano. Personaggio curioso, dormiva in una bara e si contornava di teschi, eppure la sua musica è un esempio di gaiezza, vivacità, senso dell’umorismo e misura, tanto che influenzò lo stesso Offenbach (1819-1890) l’altro gigante dell’operetta.
Tedesco naturalizzato francese, Jacques Offenbach (nome che mutò dall’originale Eberscht di suo padre, cantore nella sinagoga) è un caso a parte. Il suo posto è nella grande musica. Allievo di Halévy iniziò la carriera come violoncellista in orchestre teatrali, dal 1855 al 60 diresse l’orchestra del Théatre Français e gestì il Théatre des Bouffes, fu poi impresario del Théatre de la Gaité.
Intanto le sue “operette” (ne scrisse più di cento) riscuotevano trionfi. Erano qualcosa di più del “genere leggero”. In verità Offenbach, che detestava la ciarlataneria, aveva inventato un genere nuovo di “opera in miniatura” parodiando con tocco infallibile la società francese del Secondo Impero.
Tuttavia, non riuscire a scrivere una autentica grande opera seria fu il cruccio della sua vita. Eppure ci andò molto vicino. Basterebbero i “Racconti di Hoffmann” e la “Grande-duchesse de Gérolstein”. Ma anche “La belle Hélène”, “Orphée aux Enfers”, “La Périchole” hanno una indubbia marcia in più rispetto a quelle che consideriamo abitualmente “operette”.
Abbiamo detto che l’Italia, patria del melodramma, non si è mai trovata veramente a suo agio con il genere frivolo dello spettacolo leggero. Quando incominciò a buttare un occhio in quella direzione, era tempo di guerra (‘15-’18) e c’era altro cui pensare.
Ciò nondimeno, una traccia l’abbiamo lasciata anche noi. I nomi di Mario Pasquale Costa (1858-1933), Virgilio Ranzato (1883-1937), Carlo Lombardo (1869-1959) evocano titoli di grande popolarità. Soprattutto il primo, tarantino dal cuore caldo che, amico di PaoloTosti, si trasferì con lui a Londra dove entrò nelle grazie di re Edoardo VII, che lo ammise a Corte con tutti gli onori. Nella “fredda Albione”, e poi trasferito a Parigi, Costa scrisse stornelli, duetti, romanze, pantomime, operette, fiabe, balli, in italiano, francese, napoletano. Fu applauditissimo interprete delle sue canzoni, molte su testo di Salvatore di Giacomo: Nannì, Maria Ro, Serenata Napulitana, Catarì… E le operette “Mimì Pompom”, “Posillipo”, “Il re di chez Maxim” e, la più ispirata, “Scugnizza”. Costa fece vita nomade, desiderando sempre tornare a Napoli, dove aveva passato la giovinezza. Ma morì lontano, a Montecarlo.
Ranzato e Lombardo sono gli epigoni del genere.
Tutti e due musicisti di razza. Ranzato, violinista, compositore e direttore d’orchestra, fondò nel 1906 il Trio italiano, che ricostituì con suo figlio nel 1927. Fu primo violino e solista dell’Orchestra della Scala in tournée con Toscanini nel 1920. Quando si diede all’operetta, lasciò pagine popolari a tutt’oggi: “Il paese dei campanelli”, “Cin-Ci-Là”, “Zizi”. Lombardo, anche librettista, curò la rielaborazione di operette di autori stranieri: come Madama di Tebe o La duchessa del Bal Tabarin, adattandole alle esigenze e al gusto borghese dei primi decenni del secolo.
L’operetta italiana aveva un difetto: l’eccessivo sentimentalismo. Tuttavia ebbe il suo momento di moda, tanto da solleticare anche gli operisti. E così Ruggero Leoncavallo ci si provò con “La regina delle rose” e Pietro Mascagni con“Sì”.
Poi, mentre l’opera tenta ancora i compositori, l’operetta finisce. A sostituirla, è arrivato il tempo della rivista, del musical, del jazz, della commedia musicale…
Il Cast
Direttore: Gioele Muglialdo
Soprano: Loredana Arcuri
Tenore: Leonardo Caimi
Narratore: Luigi Franchini
Orchestra: Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
J Offenbach: Can-Can (Orfeo all’inferno),orchestra
E. Kalmàn: Ma senza donne (La principessa della Czarda), comico
C. Lombardo: Frou Frou del Tabarin (La duchessa del Bal Tabarin), soprano
F. Lehàr: Tu che m’hai preso il cuor (Il paese del sorriso), tenore
M Costa: Salomè, una rondine… (Scugnizza), comico-soprano
M Costa: Napoletana (Scugnizza), soprano
R. Benatzky: Sigismondo (Al Cavallino Bianco), comico
F. Lehàr: Se le donne vò baciar (Paganini), tenore
P. Abrahàm: E’ tanto bello… (Ballo al Savoy), comico-soprano
Ranzato: Fox della luna (Il paese dei campanelli), tenore-soprano
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F. von Suppè: Poeta e contadino, ouverture, orchestra
V. Ranzato: L’ultima bambola (Cin-Ci-La),soprano
VV.Ranzato: Oh, Cin-Ci-La… (Cin-Ci-La), comico-soprano (Cin-Ci-La), comico-soprano
F. Lehàr: Oro e argento, op. 79, orchestra
F. Lehàr: Vò da Maxim (La vedova allegra), tenore
F. Lehàr: Aria della Vilja (La vedova allegra), soprano
F. Lehàr: Stanotte faccio il parigin (La vedova allegra), comico
F. Lehàr: Tace il labbro (La vedova allegra), tenore-soprano
F. Lehàr: Con le donne…E’ scabroso (La vedova allegra), a tre