Le date
Sabato 28 aprile, ore 17 Milano – Teatro Dal Verme
Mercoledì 2 maggio, ore 20.30 Pavia – Teatro Fraschini
Giovedì 3 maggio, ore 21 Milano – Teatro Dal Verme
La Commedia Musicale
Direttore:
Francesco Maria Colombo
Soprano:
Evguenia Neyova Braynova,
Lauren Michelle Criddle
Tenore:
Samuele Simoncini
Ballerina:
Valentina Moar
Voce Recitante:
Antonella Franceschini
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Regia e Adattamento:
Gabriele Duma
Luci:
Marco Carletti
Scenografia:
Andrea Stanisci
Sartoria Arrigo – Scene EsseASistemy
Programma:
Reynaldo Hahn (1875-1947)
Mozart,commedia musicale in tre atti
Il Concerto:
di Angelo Foletto
Nonostante sia ancora facile trovare tra gli scaffali specializzati la non remota pubblicazione, in cura e traduzione italiana di Giovanni Morelli, delle Lezioni di canto ovvero del volumetto Du Chant, (Parigi 1920, ristampato da Gallimard nel 1957) che raccoglie i testi delle nove lezioni tenute nel 1913 nella mondanissima Université des Annales, dell’ancor più mondano autore Reynaldo Hahn il pubblico italiano conosce poco. Soprattutto se non ha familiarità con la letteratura (compositiva e interpretativa) per voce e pianoforte francese dei primi decenni del secolo scorso oppure non ha mai avuto occasione di approfondire, per caso o per passione, il mondo artistico-culturale parigino degli anni di Proust. Un mondo che Hahn, critico musicale, compositore di opere, di musiche di scena, di balletti, di romanze (l’autore le improvvisava accompagnandosi al pianoforte), cantante e direttore d’orchestra con rilevanti meriti mozartiani, frequentò con assiduità divenendone uno dei protagonisti più rappresentativi. Anni dopo, quando i tragici eventi bellici avevano ridimensionato il tono e l’importanza dei salotti parigini, e quindi di riflesso il ruolo dei suoi primattori (l’acido Stravinskij raccontò quanto Hahn fu corteggiato da Djaghilev prima della guerra, perché gli poteva ottenere le giuste entrature sociali, e quanto rapidamente fu scaricato in seguito), Jean Cocteau lo ricordava ancora: “una sigaretta in un angolo della bocca, una voce fuoriuscente dall’altro angolo, cantava , gli occhi al cielo, il giardino ben curato alla francese delle sua guance bluastre immerse nell’ombra, il resto del corpo lanciato a ruota libera dietro al pianoforte, seguendo una dolce pendenza notturna”.
Questa immagine, variamente ripresa e tramandata, è carta d’identità (e condanna) di un’esistenza votata alla musica e alla pratica del bon goût di uno degli autori più rappresentativi della belle-époche. Venezuelano di origine (nato a Caracas il 9 agosto 1875 da madre spagnola e padre amburghese di ceppo russo-ebraico com’ebbero a rilevare i funzionari dell’antisemitismo francese degli anni di Vichy), Reynaldo Hahn giunse a Parigi nel 1878. Pochi mesi dopo era già al pianoforte: la sua prima esibizione pubblica avvenne a sei anni nel salotto della principessa Mathilde, a dieci era già iscritto al Conservatorio. La natura musicale precoce e spontanea fu indirizzata da ottimi insegnanti: “il tirocinio con Massenet al Conservatorio, dove avrà come docenti Decombes per il pianoforte, Lavignac e Dubois per l’armonia e compagni di studio Ravel, Cortot, Schmitt, Risler, recò a tale istinto una più meditata consapevolezza” (Gian Paolo Minardi). La sua strada più naturale fu presto individuata nella pratica esecutivo-compositiva della canzone da salotto: il successo ottenuto dalle Chansons grises (1893, testo di Verlaine) combinato con la rinomanza delle esibizioni, ne fece ben presto un ospite richiestissimo, anche se soltanto pochi letterati gli diedero fiducia, proponendogli spontaneamente versi da musicare.
La svolta personale e artistica di Hahn, che comunque aveva già scritto musiche di scena (per Daudet) e una partitura operistica (L’Île du rêve, “idillio polinesiano in 3 atti” su testo di André Alexandre e Georges Hartmann, dall’autobiografico Le mariage de Loti di Pierre Loti), è nota. Quasi leggendaria. Nell’agosto 1894, al Castello di Réveillon nelle Marna, ospite dell’acquarellista e protettrice delle arti Madeleine Lemaire, il diciannovenne Hahn, brillante pianista che cantava con voce di baritono leggero, incontrò il 23enne Marcel Proust di cui improvvisò per gli amici l’intonazione dei Portraits de peintres. Un colpo di fulmine, non solo platonico. Alle prime impressioni (“Proust, estatico e sognatore, ragazzo di prim’ordine, musicista vibrante come un’arpa eolia a tutte le melodie”, annotò Hahn, definito dallo scrittore: “questo strumento di genio trascina i cuori, inumidisce gli occhi, li piega uno dopo l’altro in una silenziosa e solenne ondulazione”) fece seguito il reciproco coinvolgimento. Alla simpatia seguì la passione che durò alcuni anni e in seguito lasciò posto a un’amicizia profonda, ricca di scambi epistolari duranti un ventennio e destinati a perpetuarsi nelle scelte poetico-letterarie più significative, rendendo ancor più affilata la capacità critica di Proust in fatto di musica – qualche studioso ritiene che, in realtà, fosse lui il ‘più musicista’ dei due – e a riflessioni artistiche di sorprendente sottigliezza.
Nonostante l’innata sensibilità e l’estro inventivo, Hahn non fece mai mistero (anzi, razionalmente, se ne crucciò) dell’estraneità sentimentale alla musica priva di parole: “di fronte a un’opera esclusivamente strumentale posso provare dell’ammirazione ma non mi sento coinvolto”. La sua “ispirazione musicale letteraria” tuttavia continuò a segnare il percorso e il successo pubblico che tra alti e bassi non lo abbandonò fino alla morte (Parigi, 28 gennaio 1947). Le derive professionali lo indirizzarono anche a scrivere di musica – fu critico musicale di numerosi quotidiani e periodici tra cui Le Figaro– e a occuparsi negli ultimi anni di organizzazione musicale, come direttore dell’Opéra e responsabili di altre stagioni operistiche in Francia, e direttamente degli autori preferiti (Massenet, Saint-Saens, Gluck e soprattutto Mozart). Il suo mondo fu quello degli artisti più vivaci e alla moda (infatti non amò Satie né la svolta neoclassica di Stravinskij di cui invece aveva ammirato Le sacre du printemps, forse influenzato dall’amicizia con Nijinski) ma la vocazione musicale e teatrale lo avvicinò a poeti e grandi protagonisti delle scene: da Sarah Bernhardt alle dive del belcanto (Viardot, Patti, Calvé e via dicendo). Naturalizzato francese nel 1912, volontario nella Grande Guerra, decorato della Legion d’onore (ma l’onorificenza di gran ufficiale gli giunse pochi giorni prima della morte), viaggiatore instancabile nei primi decenni del secolo, Hahn fu chiamato da Alfred Cortot a insegnare canto nella neonata Ecole Normale di Musique (1919) condividendo la prestigiosa docenza con Pablo Calsals, Nadia Boulanger e Jacques Thibaud. Alternando lezioni di canto, esibizioni solistiche e continuando a scrivere musica. Nella chiave prediletta per voce/pianoforte – e formazioni cameristiche: quartetto d’archi e quintetto con pianoforte-, affrontando altri generi (per i Ballets Russes aveva composto Le Dieu bleu nel 1912: la leggendario annata di L’après-midi d’un faune e del Daphnis et Chloé) e accendendo una rinnovata stagione del teatro musicale francese con opéra-comiques, operette, commedie musicali, opere vere e proprie.
Nel frattempo al salottiero Hahn erano giunti riconoscimenti e offerte anche dal mondo dell’accademia interpretativa: nel 1909 salì sul podio del Don Giovanni a Salisburgo; successivamente diresse i titoli maggiori di Mozart, in vari teatri europei, controfirmando la fama di appassionato studioso e divulgatore del verbo d’autore. La levità mozartiana, ma anche l’eco trasparente di Bizet – Hahn acquisì gli autografi bizetiani donati al Conservatorio di Parigi nel 1923: tra loro c’era l’inedita adolescenziale (e mozart-gounodiana) Sinfonia in domaggiore – il modello brillante di Offenbach e la personalissima capacità di illuminare dall’interno, come per naturale allineamento emotivo e simbolico, le linee melodiche a quelle poetiche divennero i toni compositivi unici di Hahn. Le qualità d’autore furono cementate dal gusto spiritosamente citazionista (estraneo a atteggiamenti o pretese neoclassiche) che richiamava la formativa frequentazione giovanile dei salotti, quando al pianoforte improvvisava o creava sul momento gustose parafrasi/“fantasie su”, esibendo conoscenza e competenza su tutta la letteratura cantata, insaporendole di striature melodiche, vezzi armonici e ritmi alla moda. Da musicista dall’impenitente vocazione charmeur, nato e celebrato in un ambiente che amava il “plaisir de plaire” e le acquarellate e un po’ sdolcinate “mélodie en gants de suéde”.
La produzione teatrale si concluse ufficialmente alla Gaîte-Lyrique il 23 marzo 1935 con l’operetta Malvina (testo di Maurice Donnay e Henri Duvernois). Poco più di un decennio per una serie di partiture di straordinario fascino iniziata dall’operetta Ciboulette (Théâtre des Variétés, 7 aprile 1923: la trama si rifà alla lontana ai bohèmiennes di Murger resi famosi da Leoncavallo e Puccini), il titolo più rappresentato ai suoi tempi. “Adoro l’operetta, è una delle forme più affascinanti dell’arte drammatica francese”, disse Hahn: “il genere non pone limiti; si può trascorrere dalla buffoneria più sfrenata alla commedia più delicata, distribuendo incanto e emozione, ironia e sentimento”. Un linguaggio teatrale spontaneamente antiaccademico, irriverente se non iconoclasta, nel quale l’estro musicale – se c’era – non aveva pregiudiziali stilistiche: miscelava con esiti irresistibili i ritmi postrossiniani ereditati da Offenbach e ancora in voga nei cafè-chantant con quelli sincopati del jazz della commedia musicale a stelle-e-strisce che stava invadendo il vecchio continente. Considerato per i precedenti operistici un epigono di Massenet, con Ciboulette l’autore si svelò voce non allineata: aggiornata, moderna ma non cerebrale né pedante dove dominava la musa della leggerezza e del divertimento colto (citazioni d’autore comprese) inconfondibilmente ‘francese’. I velati accenni sintattici americani erano esorcizzati in modo elegante: confiscati da una scrittura che si proponeva come unica vera alternativa di casa (sciovinistica, si potrebbe dire) all’incombente pericolo di meticciato musicale internazionale. Il ragionamento musicalmente ‘anticolonialistico’ s’incarnava in uno stile fortificato da numerosi anche se non sempre riconoscibili debiti – da Saint-Saens a Wagner passando per Bizet, da Adam a Messager, da Lecocq a Bizet, da Ciaikovskij a Hervé, da Offenbach a Mozart, i due numi musicali tutelari di Hahn – conferendo a questa neo-operetta una tinta unica.
La popolarità di Ciboulette – nata a pochi mesi dalla scomparsa quasi contemporanea della Bernhardt e di Proust – fece conoscere Hahn al di fuori dei circoli esclusivi, sottolineando senza bisogno di proclami la disponibilità a avventure musicali di impronta spiritosamente colta. Quasi fatale, da questo punto di vista, l’incontro con Alexandre-Pierre Georges (Sacha) Guitry (San Pietroburgo, 21 febbraio 1885 – Parigi, 24 luglio 1957) attore, regista, scrittore e sceneggiatore figlio di un celebre attore francese attivo per un decennio a Pietroburgo. Talento altrettanto precoce di Hahn (a cinque anni il padre lo fece debuttare in palcoscenico; a diciassette aveva già scritto un copione), negli anni venti era uno dei teatranti più in vista a Parigi. Dopo aver preso parte ad alcuni lungometraggi, nel 1914 firmò come regista il primo dei trenta film che l’avrebbero reso famoso anche al nuovo pubblico di appassionati della decima musa (tra i titoli di riferimento: Il romanzo di un baro, Le perle della corona e Versailles). Come autore di copioni teatrali (oltre 120 in totale), ora leggeri ora drammatici, spesso ispirati a grandi figure storico-artistiche francesi, Guitry si era conquistato un posto di favore nella programmazione delle sale parigine e nella società della capitale. Ancor più da quando nel 1919 aveva sposato l’attrice-cantante Yvonne Printemps di cui era stato pigmalione, procurandole il prestigioso debutto ai Bouffes-Parisiens (un bel salto di qualità per la ballerinetta che esordì quattordicenne, nella rivista Nue Cocotte con cui s’era guadagnata il ruolo alle Folies Bergère). In realtà la Printemps – al secolo Wigniolle-Dupé (Ermont, 25 luglio 1895 – Parigi 18 gennaio 1877) – era oramai una diva: partner di Maurice Chevalier, interprete prelidetta da Messanger e Albert Willemetz, aveva imparato a cantare da autodidatta, senza impostazione, ma con esiti di particolare seduttività. Per capire che avvenimento mondano fu il matrimonio tra Guitry (alla seconda esperienza) e la Printemps, basti ricordare i testimoni: insieme al padre di Guitry, firmarono Georges Feydeau, Tristan Bernard e la Bernhardt (spettacolare e golosamente mediatizzata sarà anche la causa di divorzio, dodici anni dopo). La commedia musicale Mozart, concepita con la parte della protagonista femminile per la moglie, Guitry l’aveva pensata per l’abituale collaboratore André Messager. Reynaldo Hahn fu da un certo punto di vista una seconda scelta: il soggetto e l’inevitabile invito a ‘usare’ la musica di Mozart la fanno sembrare nata proprio per lui. Il risultato musicale lo ribadisce. Il soggetto, garbatamente sorretto dalla conoscenza della biografia e dell’epistolaria mozartiano (e qualche veniale anacronismo: il Figaro di Beuamarchais citato nel testo era solo alla prima “Giornata”) ricostruisce con molta fantasia e una dose massiccia di birignano settecentesco-salottiero, il poco fortunato secondo soggiorno parigino di Mozart. Quello del 1778 che fu segnato dalla morte della madre (ignorata dalla pièce), dal sostanziale disinteresse della nobiltà francese che aveva applaudito il bambino prodigio ma non seppe riconoscere l’eccezionalità matura del 22enne. La vicenda, ambientata nei saloni del barone Grimm protettore del ragazzo, è intrigata all’inattesa(?) esplosione ormonale del giovane salisburghese finalmente in società senza il controllo diretto del padre, al non ortodosso gioco delle coppie, all’ambiguo (ingenuamente ricambiato e sollecitato) interesse delle signore di ogni età e condizione sociale per Mozart: ammirato ora per le doti musicali ora per l’inesausta (cherubinesca) voglia e necessità di verificare la temperatura interna del proprio sangue.
Il testo offre a Guitry anche molte occasioni per uscire dalla finzione teatrale: dichiarando la passione (condivisa con Hahn) per la musica di Mozart, sottolineando il debito storico non ancora saldato con la scarsa sensibilità mozartiana dei parigini e alludendo con maliziosa sornioneria alla mozartianità di Hahn, capace di rendere i “suoni come parole” e di trasformare “ogni battito del cuore in nota”, ma che venderebbe l’anima a parigini “pur di farsi adorare”.
Commedia musica, Mozart. Non proprio operetta, anche se couplets e melologhi – parlati sulla musica, i mèlodrame caratteristici della sintassi teatrale francese – ce la richiamano. Il ritmo della rappresentazione è impresso dalla recitazione, quantitativamente preponderante nell’ordinaria veste teatrale; la musica interviene con numeri singoli distribuiti con scaltrezza, in un certo senso autosufficienti. Hahn disegnò un progetto di partitura molto preciso. C’è una porzione di musica originale, già espressa dalla breve, sfavillante e cantabilmente memorizzabile ouverture. La paginetta è costruita in vaga forma di sonata: un inciso mondano d’avvio (primo tema), un episodio languidamente patetico garbatamente variato (secondo tema), il ritorno dell’avvio variamente camuffato, e annodato al secondo spunto (sviluppo), la ripresa che sfocia in una chiassosa coda-fanfaretta. Pochi minuti di musica ma significativi: dal punto di vista tematico-stilistico sono il biglietto da visita di Mozart, cioè dell’idioma spudoratamente facile ma non banale dell’autore, che crea un falso rococò musicale virato di sapidità belle-époque. L’importanza della pagina introduttiva si chiarisce nel corso della commedia: mano a mano che lo spunto più facile da ricantare (il secondo tema) diventa il motivo-guida assegnato alla figura di Mozart (voce femminile: come altrimenti, se è un “farfallone amoroso”?). La melliflua filigrana melodica colora i suoi interventi, a partire dal melologo dell’ingresso a casa Grimm, con progressivo effetto malinconico e alla lunga incancellabile.
Di altra musica veramente originale ce n’è poca altra (un paio di ariette per Madame d’Epinay), ma ci sono i calchi mozartiani. Quelli che si fondano su pagine note, ben rifatti si lasciano riconoscere in alcuni melologhi che intrecciano incisi celeberrimi da Don Giovanni (dai numeri con Zerlina, in particolare) e Nozze di Figaro. Nei brevi interludi a sola orchestra che dischiudono secondo e terzo atto l’arte di falsario mozartiano di Hahn si esprime con pienezza. Poi ci sono gli inserti d’autore strumentati: il tenero Minuetto K.1 (composizione per tastiera che apre il catalogo ufficiale di Mozart) e alcune danze dal balletto Le petits Riens K299b (a certificare la scarsa fortuna di quel soggiorno parigino di Mozart, il nome dell’autore del balletto, eseguito l’11 giugno, in appendice alle Finte gemelle di Piccinni, non comparve sulle locandine), ricordato e già ‘usato’ nel testo di Guitry. La partitura di Le petits Riens era nata per il celebre coreografo Jean George Noverre, maître du ballet dell’Accademia di Parigi e conosciuto da Mozart a Vienna: “ci sono, per meglio dire, parti scritte da altri, consistenti in vecchie, miserabili, arie francesi mentre la Sinfonia e le Contradance, in tutto dodici pezzi, le ho composte io”. Singolare coincidenza-anticipazione. Mozart allora lavorò con straordinaria sensibilità mescolando musica originale e rifacimenti, secondo la logica del pastiche o della partitura antologica frequentemente adottata dalle musiche da balletto e per il repertorio teatrale non accademico (per molti titoli precedenti al Flauto magico che la compagnia di Emanuel Shikaneder allestì nel suo popolare teatro viennese, Mozart scrisse numeri musicali). Non molto diversa fu l’operazione creativa portata avanti da Hahn in Mozart: non un vero pastiche ma una sorridente via di mezzo, in cui il settecento incontra il salon belle-époque in un gioco di spiritosi specchiamenti reciproci. Alla fine l’illusionismo armonico e melodico dell’autore moderno spiazza e seduce proprio in virtù della qualità anacronisticamente mondana e ironica degli intarsi musicali. Perfettamente armonizzati all’articolazione altrettanto ‘falsa’ nei contenuti (seppure fine nelle osservazioni storico-critiche: vorrei essere “non più un prodigio da cullare ma solo un musicista da ascoltare”, si lamenta non banalmente il Mozart di Guitry) del testo, ben ambientato nel mondo fatuo e privo di sentimenti veri dei salotti parigini dalle pretese colte (ironia doppia, viste le frequentazioni dei due autori…).
« Voulez vous faire un four avec moi? », aveva telegrafato Guitry a Hahn nei primi mesi del 1925. In realtà Mozart fu un affare; meno la seconda collaborazione, l’operetta O mon bel inconnu (1933, ma da due anni Yvonne Printemps faceva coppia con Pierre Fresnay). La comédie musicale andò in scena con successo il 2 dicembre dello stesso anno al Théâtre Edouard VII: accanto al Mozart della Printemps ebbe la sua parte di applausi il Grimm di Guitry. La produzione fece il giro del mondo. Nel 1926 fu a Londra, nel 1927 incantò il pubblico di New York, Boston, Toronto e Montréal: “una meravigliosa avventura americana” scrisse la Printemps.
Francesco Maria Colombo
Direttore d’Orchestra
Ha compiuto gli studi in direzione d’orchestra con Mario Gusella e Donato Renzetti, e ha frequentato le masterclass di Franco Ferrara e Carlo Maria Giulini. Come pianista e direttore d’orchestra ha debuttato nel 1998, in un concerto con Renata Scotto e l’Orchestra Stabile di Como. Nel 2001 al Festival di Spoleto, con un pubblico di 8.000 persone, ha diretto il tradizionale “Concerto in Piazza”, ricevendo poi in dono da Gian Carlo Menotti, quale segno di stima, la bacchetta appartenuta a Thomas Schippers. Trasmesso in diretta televisiva dalla Rai, il concerto ha segnato l’inizio di una intensa attivitàin Italia e all’estero che ha visto Francesco Maria Colombo sul podio dell’Orchestra Verdi di Milano, dell’Orchestra della Toscana, dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, dell’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano, dell’Orchestra Toscanini di Parma, dell’Orchestra Stabile di Bergamo, dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, della Philharmonia Veneta, del Teatro Lirico di Cagliari, dell’Orchestra di Roma e del Lazio, dell’Orchestra della Magna Grecia, dei Filarmonici di Verona, della Philharmonia Mediterranea e del Coro della Cappella della Pietà de’ Turchini. Ha poi collaborato con diversi complessi stranieri, tra cui la Mexico City Philharmonic Orchestra, Hungarian Symphony Orchestra, Museumsorchester Frankfurt, Orchestra del Teatro São Carlos di Lisbona, Palm Beach Opera Orchestra. In ambito operistico, Francesco Maria Colombo ha debuttato nel 2002 a Spoleto, dirigendo The Telephone e The Medium di Menotti, con la regìa dello compositore stesso. Ha inoltre diretto Mese Mariano per il Festival “Umberto Giordano” di Baveno e la prima esecuzione italiana dell’edizione integrale di Les Contes d’Hoffmann di Offenbach per As.Li.Co nei teatri di Brescia, Cremona, Como, Pavia. Nella Stagione 2004-2005 ha diretto Lucia di Lammermoor all’Opera di Thessaloniki; Maria Padilla di Donizetti all’Opera di Minneapolis in occasione del suo debutto americano; Tosca all’Opera Company of North Carolina, il “Gala Giordano” al Festival di Baveno. È tornato a Minneapolis nel 2006 per la prima esecuzione americana di Gli Orazi e i Curiazi di Mercadante e all’Opera di Thessaloniki per Idomeneo. Ha tenuto concerti con l’Orchestra Verdi, l’Orchestra Haydn, l’Orchestra Toscanini; è stato invitato al Teatro Lirico di Cagliari per tre cicli di concerti e ha debuttato con la Malaga Philharmonic Orchestra e altri complessi americani e canadesi. Nell’ottobre 2006 ha diretto il Trovatore, una produzione As.Li.Co proposta nei teatri di Cremona, Brescia, Como e Pavia. Nel 2007 sarà all’Opera Company of North Carolina con La Bohème. In ambito sinfonico oltre a concerti con l’Orchestra Verdi di Milano (musiche di Corelli, Schumann) e l’Orchestra Haydn di Trento e Bolzano (musiche di Thuille, Strauss), ritornerà sul podio della Malaga Philharmonic Orchestra e dell’Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano. Si segnalano inoltre i debutti con la Czech Radio Orchestra (Janáček Philharmonic Orchestra), la Mexico National Orchestra e la Buenos Aires Philharmonic Orchestra.Il suo primo cd, inciso con l’Orchestra Verdi di Milano, è dedicato a musiche di Victor de Sabata.
Il Cast
Direttore: Francesco Maria Colombo