Le Willis di Giacomo Puccini - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 05 ottobre 2024
Ore: 17:00

Anteprima della 80ª stagione
Concerto fuori abbonamento

César Franck (1822 – 1890)
Prière op. 20

Giacomo Puccini (1858 – 1924)
Le Willis
in collaborazione col Comitato Nazionale per le Celebrazioni Pucciniane, a 100 anni dalla morte del compositore e a 140 anni dalla prima esecuzione dell’opera al Teatro Dal Verme

direttore Diego Fasolis
Anna Francesca Sassu
Roberto Giuseppe Talamo
Guglielmo Wulf Marco Bussi

Coro della Radiotelevisione Svizzera
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Dopo una prima formazione a Lucca, sua città natale, Giacomo Puccini studia al Conservatorio di Milano. Qui completa i propri studi e “diventa” il Puccini dei successi che conosciamo, proprio a partire dalla prima de Le Willis al Teatro Dal Verme. Nel capoluogo lombardo Puccini entra anche in contatto con la corrente artistica emergente della Scapigliatura.

Biglietteria

Anteprima della 80a Stagione
Gli abbonati a 23 concerti, “in anteprima” o i possessori di un carnet “liberi di scegliere” della 80ª Stagione potranno acquistare il proprio biglietto per il concerto di sabato 5 ottobre (ore 17) al prezzo riservato di € 10.

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita

Note di sala

A introduzione dell’80a stagione dei Pomeriggi Musicali il Teatro Dal Verme esibisce un gioiello della propria corona: l’opera con cui Giacomo Puccini proprio su queste scene, in attività allora da appena dodici anni, inaugurò quella carriera straordinaria che oggi, nel centenario della scomparsa del compositore, tutto il mondo celebra. Offre un opportuno preludio la trascrizione orchestrale della Prière che César Franck compose verso il 1860, quando Puccini era ancora in fasce, quinta delle Six pièces d’orgue accostate da Liszt alle opere di Bach. Preludio opportuno poiché apre una finestra sulla più aggiornata civiltà musicale francese, tra le principali fonti di ispirazione del giovane Puccini, come notò prontamente la stampa coeva.
Il respiro sinfonico della musica di Franck immette con piena coerenza in quello che i contemporanei accolsero come un «piccolo e prezioso capolavoro». L’opera d’esordio del neodiplomato al Conservatorio di Milano fu sollecitata dal concorso indetto nel 1883 dalla rivista «Il teatro illustrato» dell’editore Sonzogno. Grazie ai buoni uffici del suo maestro, Amilcare Ponchielli, Puccini entrò in contatto con il poeta scapigliato Ferdinando Fontana, che gli fornì un libretto tratto dal racconto Les Willis (1852) di Alphonse Karr, ispirato a una leggenda slava già sfruttata da Heinrich Heine. Propugnatore d’un robusto rinnovamento del melodramma, Fontana sosteneva una formula innovativa di «spettacolo sinfonico scenico»: esattamente il formato che, nel rinnovato equilibrio tra componente vocale, strumentale e coreutica, la «leggenda in un atto in due parti» Le Willis (non ancora «opera-ballo») intende realizzare. Coerente con tale intento è la scelta d’un soggetto fantastico, estraneo alla tradizione dell’opera italiana, incentrato sulla leggenda delle Villi, ragazze abbandonate dai loro amanti, che, morte per amore, perseguitano come spettri i fedifraghi, reclamando vendetta.
Fresco di bocciatura al concorso Sonzogno, Puccini ebbe comunque l’onore, sostenuto dai musicofili dell’aristocrazia e della finanza milanese, di vedere l’opera in scena in questo Teatro Dal Verme il 31 maggio 1884. Il titolo aveva peraltro prontamente attirato l’interesse dell’editore Giulio Ricordi, acutissimo talent scout, che sin dall’inizio potrebbe aver progettato con Ponchielli un percorso che aggirasse il rivale Sonzogno. Come che sia, l’opera incontrò successo, fu acquisita da Casa Ricordi e, rivista col titolo Le Villi (vi venne ad esempio introdotta la romanza di Roberto, assente nell’originale), l’inverno successivo sarebbe stata riproposta al Regio di Torino e alla Scala. Consumata in un’ora scarsa, la vicenda, identica nelle due versioni, coglie i fidanzati Anna e Roberto (con loro, soprano e tenore, compare solo un terzo solista, il padre di lei, baritono) nel momento in cui quest’ultimo è in procinto di partire per la città, dalla quale, dimentico delle sacre promesse, non farà ritorno. Anna ne morirà di dolore ma non invendicata: quando Roberto riprenderà finalmente la strada del villaggio, s’imbatterà nello spettro della fidanzata che, insieme alle Villi sue compagne, trascinandolo in una danza macabra ne decreterà la perdizione.
La partitura di questo Puccini ventiquattrenne esibisce un momento di evidente felicità creativa, cui concorre, come avverrà anche in futuro, l’apporto di pagine nate per altra occasione e altri generi: uno Scherzo sinfonico, un Adagio per pianoforte e, su testo di Antonio Ghislanzoni, una romanza, che fornisce il materiale fondamentale del Duetto, e financo un Salve regina. Emerge innanzitutto, già dal Preludio, quel melos seducente, caparra del Puccini che verrà. Lo spettatore si confronterà, già dalla freschezza dell’avvio, con una sicura padronanza dei meccanismi melodrammatici; con un atteggiamento compositivo che da un lato guarda ai tradizionali numeri chiusi dell’opera italiana, dall’altro nutre l’aspirazione a quell’unitarietà sinfonico-coreutica vagheggiata dal fronte progressivo rappresentato dal librettista Fontana. Una pagina come il coinvolgente, drammatico concertato che corona la Prima Parte, intitolato «Preghiera» e arricchito da una cospicua, intensa sezione di tono religioso, pendant teatrale della pagina di César Franck, mostra la sicurezza del giovane Puccini nell’onorare gli istituti dell’opera romantica (negli stessi anni l’anziano Verdi esigeva un concertato importante per l’Otello), rigenerandoli al contempo in termini affatto moderni, confermati dai titoli pucciniani successivi o da una Cavalleria rusticana ancora di là da venire.
Nel cuore dello spettacolo si accampa un Intermezzo bipartito (Puccini ne suggerì l’esecuzione autonoma in concerto, come talvolta effettivamente avviene) che incarna polarità opposte, elegia vs energia. Spetta infatti all’orchestra colmare lo iato temporale, dando conto, attraverso i valori squisitamente musicali della musica assoluta in auge Oltralpe, tra il congedo di Roberto e la morte di Anna, coerentemente con la drammaturgia complessiva dell’opera, che procede per salti, puntando sull’essenziale, sacrificando i passaggi intermedi. Le sonorità impressionistiche, quasi debussiane, del compianto sulla morte di Anna (intitolato Nebulosa nella versione del Dal Verme, in omaggio al Mefistofele boitiano) si contrappongono così alla vitalità inesorabile della danza delle Villi, fatale a Roberto (La tregenda).
All’idillio della Prima Parte succede la tragedia nella Seconda. All’apertura melodrammatica sull’«orrenda notte» colore della disperazione evocata dal vecchio Guglielmo seguono la scena a solo di Roberto e, senza soluzione di continuità, il Finale, cioè la grande scena e duetto in cui Roberto è perseguitato dal fantasma di Anna alla testa delle Villi. Il personaggio, trasformato da vittima a carnefice, da donna a spettro, rivela tutto il suo potenziale inquietante (unheimlich, in ossequio al romanticismo tedesco) in questa capitale scena conclusiva, in cui rievocherà insistentemente l’appassionato duetto d’amore della Prima Parte (il memorabile «Ah… dubita di Dio… / Ma no, dell’amor mio non dubitar!»), per attrarre Roberto alla perdizione: evidente assaggio dell’immenso talento pucciniano nello sfruttare l’invenzione motivica in termini drammaturgici, un talento di cui il grande operista avrebbe dato dimostrazioni clamorose, fino a giusto cento anni fa, a quel 29 novembre 1924 che chiuse un capitolo della sua vicenda, aprendone un altro che non accenna a terminare.

Raffaele Mellace