L’incanto del violino - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 15 marzo 2007
Ore: 21:00
sabato 17 marzo 2007
Ore: 17:00

Giovedì 15 marzo, ore 21 Milano – Teatro Dal Verme

Sabato 17 marzo, ore 17 Milano – Teatro Dal Verme

L’incanto del violino
Direttore e violino:
Massimo Quarta
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Ludwig van Beethoven
Concerto per violino e orchestra op. 61 in Re maggiore
Allegro ma non troppo
Larghetto
Rondò

Wolfgang Amadeus Mozart
Sinfonia n. 36 K. 425 in Do maggiore (“Linz”)
Adagio – Allegro spiritoso
Poco Adagio
Menuetto
Presto

Il Concerto
Note di sala a cura di Andrea Dicht
Nel pensare comune l’arte, sia dal punto di vista della creazione che dell’interpretazione, richiede tempo, dedizione assoluta, controllo e passione nelle debite proporzioni. Lo studio della genesi di alcune musiche, quando i testimoni a noi giunti possono essere considerati attendibili, ci presenta spesso alcune anomalie, ovvero brani che, nati per occasioni molto concrete, sono stati ideati e confezionati in tempi brevissimi. I due capolavori che compongono il dittico del concerto di questa sera appartengono a questa categoria, due capisaldi della letteratura sinfonica, ospiti regolari di ogni stagione di concerti in tutto il pianeta, entrambi composti nel giro di pochi giorni e su pressante richiesta di un committente.

Dobbiamo il Concerto di Beethoven ad un violinista piuttosto eccentrico, Franz Clement, di dieci anni più giovane del compositore, un ex fanciullo prodigio che nel 1806, mentre rivestiva la carica di primo violino e direttore del Theater an der Wien, vi organizzò un concerto a proprio esclusivo beneficio. Riunì un gruppo di suoi colleghi dell’orchestra del Teatro, assemblò un programma che comprendeva lavori di Mozart, Cherubini e Haendel, e all’ultimo momento decise di includere nella serata anche qualcosa di speciale, un brano composto per l’occasione dal compositore più in vista nella città di Vienna, Ludwig van Beethoven, un individuo ben noto al pubblico di quel Teatro (lì si erano svolte le rocambolesche vicissitudini del suo Fidelio, e vi si erano alternate le cangianti fortune), ma anche un uomo temuto e chiacchierato per via di una personalità di difficile gestibilità.

Clement (1780-1842) era sì un virtuoso, ma era considerato più un uomo di spettacolo che un vero artista (ed è quanto mai singolare che alla sua commissione si debba uno dei concerti meno spettacolari della letteratura violinistica). Ottenuta la partitura e le parti da Beethoven, egli lo eseguì, secondo alcune fonti, leggendolo dallo spartito sebbene fosse noto per la sua memoria prodigiosa, e lo collocò esattamente al centro della serata eseguendone il primo movimento prima dell’intervallo, il resto dopo una pausa che contemplò anche una sua circense esibizione virtuosistica con il violino in posizione verticale!

In ogni caso il successo di pubblico fu assicurato, anche se non sappiamo se l’apprezzamento della platea fosse dovuto più all’eccezionalità della serata, all’enorme popolarità del suo interprete o ad una reale comprensione di un lavoro piuttosto esteso e volutamente scevro da violinistici funambolismi, l’idioma comune dei concerti violinistici di quegli anni (vedi i cinque Concerti di Luois Spohr, tutti composti prima dell’op. 61 di Beethoven).

Il 23 dicembre 1806 fu dunque una serata importante per il nostro compositore, ma la critica non mostrò di apprezzare un brano “stancante” e infarcito di “luoghi comuni”, così come si espresse la stampa. A riprova di ciò il Concerto cadde in un oblio quasi assoluto se si tiene conto che conobbe solo tre esecuzioni (tutte postume) dalla sua creazione al 1844 (in particolare Baillot nel 1828 ed il quattordicenne Vieuxtemps a Vienna nel 1834). La rinascita definitiva del brano la si deve al famoso Joseph Joachim, a Londra nel 1844, sotto la direzione di Mendelssohn, nell’ambito di un processo di valorizzazione del canone dei compositori classici al quale dobbiamo tutt’ora la gran parte del nostro repertorio precedente il Romanticismo. Certi pregiudizi rimasero comunque anche negli anni successivi, se pensiamo che nel 1855 Spohr (che rifiutava le ultime composizioni di Beethoven come “musica”), dopo averne ascoltato un’esecuzione dell stesso Joachim, mostrò di apprezzarla affermando comunque che gli avrebbe preferito ascoltare il virtuoso tedesco in un “vero” pezzo per violino.

Eppure, a distanza di così tanti anni e dopo averne ascoltato decine di esecuzioni, questo Concerto continua ad esercitare un fascino che sembra incorruttibile. Le ragioni di questa longevità nei cuori degli appassionati e di tutti gli artisti probabilmente risiede nel suo solidissimo equilibrio interno, che si esprime nell’avvicendarsi degli episodi che compongono le sue ampie dimensioni, a riprova del fatto che una possente costruzione formale, pur se non percepibile nella sua struttura più intima, imprime all’opera d’arte una capacità comunicativa che spesso è solo imputabile al vago concetto di genio. La forza dell’architettura si basa, in questo caso, sulla semplicità della costruzione formale del brano, e la linearità del discorso musicale, privo di evidenti accenti tragici o contrasti drammatici rilevanti, è la riprova di un’idea compositiva tutta basata sul respiro ampio, su un controllo puntuale ma totale della forza espressiva delle idee nel loro susseguirsi.

Il Concerto per violino occupa una posizione singolare nell’opera di Beethoven e nel repertorio per violino e orchestra. Se lo paragoniamo alla sua produzione temporalmente limitrofa la sua singolarità risulta ancora più evidente: precedono la sua composizione i tre Quartetti Razumowsky, calmi e misurati (e anch’essi inizialmente incompresi dalla critica), ma anche il Concerto op.58 per pianoforte, caratterizzato da un secondo movimento tutto svolto sul contrasto drammatico; l’op. 61 per violino è inserita tra la Quarta Sinfonia, vitalità pura, e la Quinta, forza quasi selvaggia e primordiale (doveva suonare alle orecchie di quel composto pubblico quasi come una Sagra della Primavera ante litteram!).

Beethoven spesso dedicava le sue composizione ad aristocratici che pagavano profumatamente questo privilegio. Quando nel 1808 venne il momento di pubblicare il Concerto per violino Beethoven scelse di onorare con una dedica personale un suo amico d’infanzia di Bonn, Stephan von Breuning, un personaggio centrale nella sua biografia, sia perché rappresentava la sua via di fuga durante le sfuriate etiliche di suo padre, sia per il ruolo di consigliere che rivestì più volte nel corso della sua vita, sia dal punto di vista umano che artistico. Breuning morirà di una malattia al fegato solo tre mesi dopo la morte di Beethoven, suo figlio Gerhard scriverà una biografia del compositore che contiene alcune delle più importanti testimonianze di prima mano sulla sua vita.

Nella primavera del 1781 Mozart aveva reciso i suoi lacci professionali con l’odiata corte arcivescovile di Salisburgo e si era trasferito a Vienna, nella casa di Cecilia Weber. Qualche anno prima, in Mannheim, ne aveva conosciuto le quattro figlie, tutte cantanti, e si era innamorato di una di esse, Aloysia, che però aveva deciso di sposare nel 1780 l’attore Joseph Lange. Le altre tre figlie vivevano ancora con la madre quando Wolfgang fece ingresso da ospite nella casa. Leopold, acuto osservatore e uomo esperto, temeva che Cecilia potesse avere qualche mira matrimoniale per le figlie sul giovanotto di belle speranze Wolfgang, e fece sì che, dopo molte insistenze, egli lasciasse casa Weber. Nonostante ogni misura preventiva il 4 agosto 1782, nella Cattedrale di S. Stefano in Vienna, 18 giorni dopo il successo del Ratto dal Serraglio, Mozart sposò la ventenne Constanze Weber, soprano di un certo talento. Non fu però prima dell’indomani delle nozze che il compositore ricevette da Salisburgo la lettera che conteneva, pur riluttante, l’assenso alle nozze da parte di Leopold, suo padre, nonostante la baronessa Waldstaetten, amica dei Mozart, avesse tentato di intercedere presso Leopold in tutti i modi (e comunque la cerimonia e la cena si dovettero alla sua munificenza). In effetti, nessun membro della famiglia Mozart aveva preso parte al rito nuziale, e né Leopold né l’adorata sorella Nannerl avevano mai incontrato prima la sposa. Wolfgang scrisse loro assicurandoli che presto avrebbe condotto Constanze a Salisburgo ma prima a causa del tempo avverso, poi per impegni di insegnamento e concerti, poi ancora per la minaccia di un arresto di Wolfgang per un debito di poco conto, fu impossibile per la coppia recarsi in visita presso la famiglia Mozart di Salisburgo. Fu infine una gravidanza a rimandare ancora il viaggio, e qualche mese dopo la nascita del primo figlio, chiamato Leopold in omaggio al nonno, i due sposi poterono mettersi in marcia verso Salisburgo lasciando il neonato alle cure di una balia. Sulla strada del ritorno a Vienna, Wolfgang e Constanze si fermarono per più di due settimane nella città di Linz in visita presso il Conte Johann Joseph Anton Thun, un vecchio amico di famiglia ed un acceso sostenitore del compositore sin dalla sua infanzia (sua figlia era allieva di Wolfgang a Vienna). Mozart non aveva musiche con sé e l’improvviso annuncio del Conte riguardo ad un’esibizione di Wolfgang di lì a quattro giorni (4 novembre 1783) fu la causa della nascita della Sinfonia “Linz” stasera eseguita.

La storia di questo brano, però, non si esaurisce con la sua prima esecuzione. Nei primi mesi del 1784, dopo una prospera stagione di concerti invernali, Mozart spedì una copia della partitura al padre, che era ancora impiegato presso l’orchestra di corte di Salisburgo. Nella lettera di accompagnamento si legge: “Puoi farla copiare, se vuoi. Me la puoi mandare indietro, gettarla e farla eseguire dovunque tu voglia”. E’ chiaro che Wolfgang non aveva particolare interesse a guadagnare del denaro dalla Sinfonia ma cercava per essa solo un pubblico. E lo ottenne: Leopold la diresse in un concerto nel settembre 1784. Nell’informarne il figlio, Leopold si complimentò calorosamente per il lavoro, giudicandolo come “eccellente”. Nello stesso mese Constanze mise al mondo un secondo figlio, Carl Thomas, che però non potè godere della compagnia del primogenito Leopold che era morto neonato durante il difficile soggiorno salisburghese della coppia.

Come spiegare la composizione di una Sinfonia tanto ben riuscita, come la n.36, tenendo conto di un tempo di composizione tanto contenuto? Sì, il genio, ma è difficile spiegare anche quello se si considera che il solo lavoro di copiatura della partitura richiederebbe almeno un paio di giorni, per non parlare poi delle parti separate dei singoli strumenti. Mozart probabilmente componeva nella testa, non creava a partire da uno schizzo e poi elaborandolo, egli “pensava” una partitura nei minimi dettagli di strumentazione ed il suo atto creativo non deve essere visto nel momento della consegna dei suoni alla carta ma, in un certo senso, è da immaginare come una costante ideazione di materiale musicale congiunta ad un’elaborazione formale in cui contenerlo. E quindi, se Mozart non aveva con sé alcuna nuova o vecchia composizione con cui omaggiare il Conte in occasione del concerto, era possibile che avesse qualcosa di nuovo ed inedito nella testa, e che adattò all’orchestra di corte (che non aveva flauti ma conteneva trombe). Si limitò a scrivere!

Quel che sorprende ogni ascoltatore di questa Sinfonia è però la freschezza e l’estrema solidità formale che la caratterizzano. La “fretta” compositiva non è avvertibile in un nessun modo, né dal punto di vista dell’orchestrazione, né riguardo ai temi che informano il brano, né ancora sotto il profilo delle scelte formali di riferimento. E’ noto che Mozart non fu un rivoluzionario, egli possedeva alcuni modelli a cui riferirsi, principalmente le composizioni di Haydn, e questa Sinfonia è l’ennesima testimonianza dell’opera di un compositore che donava vita ad ogni struttura preesistente solo grazie al suo genio.

L’Adagio introduttivo, per la prima volta in apertura ad una sinfonia di Mozart (sullo sperimentato modello haydniano), si apre su solenni accordi a piena orchestra, ai quali il suono caratteristico delle trombe accoppiate ai timpani conferisce un certo sapore militare e marziale. A questa prima ambientazione segue un breve episodio più melodico, oscurato da armonie cromatiche complesse e cupe, che porta rapidamente all’Allegro spiritoso, aperto dal primo tema, in piano, affidato ai primi violini accompagnati dagli archi e ripetuto subito da tutta l’orchestra nel forte. Come spesso accade in Mozart, la conduzione del discorso musicale si svolge su toni leggeri, a volte perfino ironici, ma la dinamica emozionale è tutt’altro che monocorde, riservando agli “affetti” più ombrosi solo incisi piccoli, ma assai significativi.

Questo vale anche per il successivo Poco Adagio, in fa maggiore, giocato su colori leggeri, con rare accensioni emozionali. Notevoli in questo movimento alcuni accenni ad una scrittura sinfonica che ricorda più il Mozart teatrale che quello della musica assoluta, non programmatica. In effetti, l’introduzione di questo movimento potrebbe funzionare benissimo per aprire un’aria d’opera, così come l’episodio centrale, affidato dapprima ai bassi col fagotto, poi ai violini, potrebbe ricordare l’ingresso di un nuovo personaggio in un concertato.

Il Minuetto, nella tonalità d’impianto, è un esempio assolutamente tradizionale di questo tipo di danza, disimpegnata e mossa internamente dalla consueta alternanza con un Trio ancora più semplice, basato sugli strumenti a fiato più che sugli archi.

Il Finale della Sinfonia è un Presto del miglior Mozart quanto a freschezza di idee e genuinità di ispirazione. Si tratta di una pagina di carattere piuttosto virtuosistico, in particolare per gli archi (doveva essere un’Orchestra di prim’ordine, quella del Conte!), ed il colore complessivo è vivace e spiritoso come in un’opera buffa. Vi è una certa ricerca dell’effetto, ma dalla scrittura traspare una competenza molto profonda, in particolare nel contrappunto: il finale abbonda di episodi imitativi, ogni singola sezione conosce momenti di protagonismo, anche le viole, o i secondi violini, o i violoncelli e i bassi. E’ un finale corale, ogni strumento contribuisce alla conduzione del discorso musicale, come nel significato originale e nell’etimologia della parola “Sinfonia”.

Massimo Quarta
Presto considerato come uno dei piú brillanti violinisti della sua generazione, è stato ospite di alcuni tra i maggiori festivals come Stresa, Napoli, Città di Castello, Kuhmo, Bodensee, Kfar Blum,Berliner Festwochen, Sarasota, Ravenna, Lione, Potsdam, Spoleto, Ljubjana ed invitato da Gidon Kremer alla edizione 2004 del “Kammermusikfest” di Lockenhaus.

Negli ultimi anni ha gradualmente affiancato alla sua intensa attività di solista quella di direttore d’orchestra,, collaborando regolarmente con orchestre come l’Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano, l’Orchestra di Padova e del Veneto, la Fondazione “A. Toscanini”, l’Orchestra Haydn di Bolzano, l’orchestra da camera dell’Accademia di S. Cecilia, presso importanti istituzioni musicali qualiUnione Musicale di Torino, Serate Musicali di Milano, Associazione Scarlatti di Napoli, Philharmonie am Gasteig di Monaco di Baviera, Konzerthaus di Berlino e Rudolphinum di Praga.

Attualmentericopre la carica di solista e direttore principale dell’Orchestra dell’Istituzione Sinfonica Abruzzese ed é stato inoltre nominato direttore musicale dell’Orchestra della Fondazione I.C.O. “Tito Schipa” di Lecce.

A Massimo Quarta sono stati conferiti il Premio Internazionale “Foyer Des Artistes” ed il “Premio Internazionale Gino Tani per le Arti dello Spettacolo”.

Ha inciso per la Philips, per la Delos le “Quattro Stagioni” di A. Vivaldi con l’Orchestra da Camera di Mosca, per la Dynamic un CD con musiche di N. Paganini, e, sempre di Paganini, l’integrale dei 6 Concerti per violino ed orchestra in versione autografa come violinista e direttore, integrale considerato “vera e propria pietra miliare per tutti gli appassionati del violino” (Il Giornale della Musica). La sua registrazione dei 24 Capricci di Paganini, allegata nel maggio 2004 alla rivista Amadeus, è ora distribuita worldwide dalla casa inglese Chandos.

L’aspetto rivoluzionario dato alla rilettura del repertorio paganiniano, ha conquistato il pubblico ed ha ottenuto ampi consensi dalla stampa internazionale ( Premio CHOC di “Le Monde de la Musique”), assegnandogli un posto d’onore tra i più insigni violinisti (The Strad) e definendolo “ la personificazione dell’eleganza “ (American Record Guide).

E’ docente di violino al Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano (Musikhochschule),

Massimo Quarta suona il violino Antonio Stradivari “Conte De Fontana – ex D. Oistrakh” del 1702, gentilmente affidatogli dalla Fondazione Pro Canale di Milano.

Il Cast

Direttore: Massimo Quarta