Le date
Note
Un’improvvisa indisponibilità impedisce al M° Lortie di tenere i concerti previsti. La Fondazione I Pomeriggi Musicali ringrazia il M° Pietro De Maria e il M° James Feddeck per la pronta disponibilità.
Schumann Concerto per pianoforte e orchestra in la minore op. 54
Mozart Sinfonia n. 40 in sol minore, K 550
Il Cast
Direttore James Feddeck
pianoforte Pietro De Maria
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Schumann
Concerto per pianoforte e orchestra in la minore op. 54
Allegro affettuoso
Andantino grazioso
Allegro vivace
Mozart
Sinfonia n. 40 in sol minore, K 550
Molto Allegro
Andante
Menuetto
Allegro assai
Inventare il Nuovo
‘Innovativo’ è forse l’aggettivo che più caratterizza i nostri tempi: un imperativo morale per qualsiasi progetto, ricerca, strategia di successo. Ebbene, le pagine in programma corrispondono pienamente a un intento squisitamente innovativo dei loro autori. Si potrebbe affermare che la qualità eccellente che queste partiture esprimono è debitrice, oltre che verso il genio degli autori, anche verso la volontà di rinnovamento che le ispirò.
Nella prodigiosa estate 1788, a tre anni dalla precoce scomparsa, Mozart mise la parola fine alla sua produzione sinfonica col trittico di cui la “Jupiter” è l’estremo tassello. Il 25 luglio 1788 ultimò la Sinfonia in sol minore K. 550, trenta minuti fra i più celebri della storia della musica occidentale. Già nel 1793 la si giudicava «una delle più belle di questo maestro»: titolo meritato per l’intensità espressiva, l’imprevedibilità armonica, il cromatismo, l’ambiguità del significato e pertanto della collocazione estetica, in seno a un classicismo dalle insopprimibili tensioni preromantiche. Scritta probabilmente in vista della stagione concertistica dell’inverno seguente, quando peraltro non la si ascoltò, la sinfonia è prodotto di quel laboratorio viennese di idee ed esperienze umane e culturali che fruttò i capolavori della maturità mozartiana. Domina la partitura la cifra del tragico, una malinconia nera che impregna l’invenzione tematica sin dalla sua definizione, in contrasto con le sinfonie sorelle. Nella distratta abitudine all’ascolto della nostra società, il tema inaugurale della sinfonia è svilito a jingle da cellulare, con l’inevitabile conseguenza di annichilire la vibrante tensione tragica che abita quel motivo fascinoso: un inciso ossessivo preparato dall’irrituale attacco in piano delle viole divise e incardinato in un ritmo anapestico che comunica il disagio radicale di un’instabilità irrisolta, l’impossibilità di fermare il piede su un punto d’appoggio sicuro, un dinamismo affannoso, sospinto dall’urgenza di un determinismo ineluttabile. Al I tempo segue la grazia delicata del raccolto Andante in Mi bemolle maggiore, la cui scrittura canonica cita gli stilemi dello stile severo. Il breve ma fondamentale Menuetto ripristina la tensione tragica dell’esordio in un torvo Do minore, cancellando, nell’implacabile energia ritmica potenziata dal ricorso al contrappunto, ogni grazia cortigiana del minuetto settecentesco, al di là della parentesi offerta dal tono liederistico e popolare del Trio. Cupo e violento è il febbrile Allegro assai conclusivo, che ispirerà Beethoven per il III tempo della Quinta sinfonia.
Per Schumann il concerto in quanto genere rappresentava un problema tout court. Ne aveva discusso con l’amata Clara, grande pianista concertista e dall’anno dopo sua moglie, già nel 1839, presentandole il suo concerto ideale come «qualcosa di mezzo tra sinfonia, concerto e grande sonata. Mi rendo conto che non posso scrivere un concerto da “virtuoso” [aveva già fatto diversi tentativi infruttuosi] e che devo mirare a qualcos’altro». (Detto en passant: la questione dell’integrazione tra sinfonia e concerto non è poi tanto remota da quanto appena discusso a proposito del concerto mozartiano). Fu però soltanto nel 1841, l’anno sinfonico schumanniano – vi videro la luce anche due sinfonie, tra cui quella in re minore ascoltata settimana scorsa, l’abbozzo d’una terza e l’Ouverture, Scherzo e Finale – che l’intento iniziò a prender forma. Dico iniziò perché ciò che Schumann scrisse, forse su modello del Konzertstück di Weber, fu una Fantasia per concerto e orchestra mai presentata in pubblico e completata solo quattro anni più tardi con un Intermezzo e un Finale, a formare un concerto completo che Clara eseguì a Dresda il 4 dicembre 1845, sotto la direzione di Ferdinand Hiller, dedicatario del lavoro. Questo travaglio creativo fruttò uno dei concerti più popolari dell’intero repertorio, il cui ascolto è stato ininterrotto dal 1845. Clara ne restò subito entusiasta: «Com’è ricco di invenzione, com’è interessante dal principio alla fine; com’è fresco, e quale insieme ben connesso! Studiandolo, provo un vero piacere». Aveva ragione: la partitura è in effetti interessante, cioè innovativa e personalissima. Se il I tempo (l’originaria Fantasia) si basa sulla classica forma sonata, il tema principale, esposto dall’oboe e ripreso dal pianoforte, è un’allusione cifrata, secondo il codice alfabetico delle note in lingua tedesca, (Do, Si, La = C, H, A) tanto al nome sCHumAnn, quanto allo pseudonimo di Clara in seno alla Lega di Davide, CHiArinA. Se si aggiunge che 1) il tema costituisce una citazione letterale, nella medesima tonalità, dell’aria con cui Florestan, in apertura del II atto del Fidelio beethoveniano, invoca la fedelissima moglie; 2) questo I tema è strettamente imparentato col II della Fantasia e ritorna ciclicamente, dissimulato, anche nell’invenzione tematica dei due tempi aggiunti successivamente, risulterà allora chiaramente come l’intero concerto costituisca una lettera d’amore per Clara, musa ispiratrice del primo lavoro schumanniano dedicato alla donna e alla pianista dopo il contrastato matrimonio della coppia. L’indicazione Allegro affettuoso posta in testa al I tempo svela così tutta la profondità e intensità del suo significato.
Raffaele Mellace