Omaggio a Paolo Castaldi
Castaldi Refrains per pianoforte e orchestra, prima esecuzione assoluta
Castaldi Seven Slogans per orchestra
Schubert Sinfonia n. 1 in re maggiore D. 82
Il Cast
Direttore James Feddeck
Pianoforte Antonella Moretti
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Castaldi Refrains per pianoforte e orchestra, prima esecuzione assoluta
I. Senza tempo – Allegretto mosso
II. Mosso e scandito
III. Moderato severo
IV. Tempo giusto rapsodico
FINALI:
V. Un poco veloce ma tranquillo e luminoso
VI. Allegramente
VII. Allegretto pastorale
VIII. Mosso senza agitare
IX. Non sehnsuchtvoll!
Castaldi Seven Slogans per orchestra
I. Three Slogans three
Allegretto
Adagio assai, Berceuse (crepuscolo)
Allegro, Concertino (pastorale)
II. Four Slogans four
Tempo giusto
Schubert Sinfonia n. 1 in re maggiore D. 82
Adagio – Allegro vivace
Andante
Minuetto
Allegro vivace
Omaggio a Paolo Castaldi
Suonerà a molti nuovo il nome del compositore contemporaneo Paolo Castaldi, classe 1930, scomparso novantenne nella sua Milano il 22 febbraio dello scorso anno. Castaldi è stato figura discreta, appartata, controcorrente, e probabilmente anche per questo non ancora pervenuta ad autentica notorietà. Formatosi al Conservatorio “Giuseppe Verdi”, ha intrapreso il percorso dei colleghi coetanei (Berio, Boulez, Stockhausen), frequentando nei primi anni Sessanta i celebri e cruciali corsi estivi di Darmstadt, culla della neoavanguardia. Dalle istanze di quest’ultima si è però ben presto distaccato, stigmatizzandone la pretesa d’imporre una linea dogmatica, una concezione estetica intollerante di trasgressioni o deroghe. Ispirato dagli autori del Novecento storico, Stravinskij su tutti, ma anche Debussy, da John Cage ma anche dall’ultimo Bach, Castaldi è andato sviluppando una propria poetica personale, messa a fuoco compiutamente e senza possibilità di equivoci nel saggio-manifesto I miei caratteri (features) compositivi, uscito nel 2000 sulla «Nuova rivista musicale italiana».
Aperto a una varietà d’interessi – due su tutti: la matematica, sin dagli incompiuti studi di ingegneria al Politecnico, e la pittura, sui cui sviluppi si teneva costantemente aggiornato –, Castaldi trasferisce nelle proprie partiture un mondo interiore che raggiunge l’ascoltatore attraverso una scrittura complessa, a un «polistilismo» o «multilinguismo» che rinuncia a priori a un’immediatezza ormai inattingibile per l’artista contemporaneo e si propone piuttosto come espressione oggettiva mediata, facendo ricorso a un collage di materiali e atteggiamenti contrastanti, e a uno «spirito della citazione», con una tensione costruttiva che punta a un’«iperpolifonia». Davanti a un mondo in divenire teorizza che l’artista dovrà «plasmare a modo di scultori sempre diverse modalità di condizioni, relazioni e processi». La grande tradizionale musicale costituisce un punto di riferimento costante, così come appartengono all’agenda del compositore l’ambizione di «ricostruire il senso del sacro» e quella di combattere le filosofie della crisi. In tutto ciò Castaldi si premura di tenere aperta la comunicazione con l’ascoltatore, evitando di ostracizzare la consonanza come strumento falso e ormai spuntato, e mantenendo una linea di pudore espressivo che comunica sottovoce, con spiazzante cordialità.
Le due pagine in programma realizzano un appuntamento importante con la musica di Castaldi. Si comincia con la prima esecuzione assoluta di un lavoro concertante, per il prediletto pianoforte e l’orchestra. Composto all’alba del nuovo millennio ma fino a oggi inedito e ineseguito, Refrains (2000-2001) presenta un’impaginazione interessante in quattro tempi seguiti da cinque Finali. Nel primo il pianoforte guida la compagine, di norma compatta, attraverso un’alternanza di movimenti più liberi e rigorosamente a tempo. Seguono due pagine di minor consistenza, quasi degli intermezzi: il miniaturistico Mosso e scandito, in cui solista e sezioni orchestrali rivestono compiti autonomi e complementari, e il Moderato severo, che sviluppa un discorso più pienamente sinfonico. Chiude la prima parte la pagina più complessa sia dal punto di vista costruttivo che sul piano interpretativo, il Tempo giusto rapsodico, in cui una spiccata vocazione percussiva viene temperata da dinamiche dolci e dal continuo intensificarsi e allentarsi della tensione agogica. Una pausa cospicua introdurrà, nelle intenzioni dell’Autore, i cinque Finali, il primo dei quali quasi esclusivamente orchestrale, tutti fulminei e improntati a chiarezza espressiva e a un tono di euforia, sorvegliato ma evidente perfino nell’ultimo, Molto lento ma alieno da qualsiasi compiacimento nostalgico («Non sehnsuchtvoll!», l’intitola Castaldi).
Seven Slogans per orchestra (1985-86) è invece un “classico” del compositore, proposto a più riprese ed eseguito almeno in due occasioni dall’Orchestra dei Pomeriggi musicali l’anno stesso del suo compimento. Si tratta anche in questo caso d’una pagina articolata in termini analoghi al più recente Refrains: due macrosezioni a loro volta suddivise rispettivamente in tre e in un movimento unico… ma quadruplo. La prima parte consta infatti di tre movimenti autonomi e fortemente differenziati: un Allegretto motorico, una delicata Berceuse concepita come «crepuscolo di luci armoniche che trascolorano», infine un euforico Concertino pastorale in cui l’orchestra è chiamata a raccolta dallo squillo degli ottoni. Alla seconda parte competono quattro dei sette slogan, che Castaldi propone con una strategia diversa, ovvero esponendoli, sovrapponendoli e combinandoli insieme in un unico movimento.
La composizione del repertorio classico-romantico che completa questo omaggio a Paolo Castaldi, omaggio che ha il sapore al tempo stesso di celebrazione e congedo, ci racconta a sua volta un congedo: quello consumato da un Franz Schubert sedicenne dal collegio dove aveva compiuto la propria istruzione. Il 28 ottobre 1813 – poche settimane dopo la decisiva sconfitta di Napoleone a Lipsia e la nascita di Giuseppe Verdi – il giovanissimo maestro termina infatti la sua prima, ambiziosa sinfonia, nutrita di cultura haydniana e mozartiana, un’eredità ben esemplificata dal complesso Allegro vivace, che, dopo un Adagio introduttivo poi riproposto con scelta irrituale, coniuga l’urgenza e l’energia del brillante I tema con la cantabilità del II, o dal Minuetto, a un tempo aulico e arioso. Risuona peraltro ben chiara anche la personalità inconfondibile del talento in erba: l’incanto idillico dell’Andante in 6/8, caratterizzato dall’oscillazione tra modo maggiore e minore, anticipa la struggente aspirazione alla serenità che risuonerà a pochi mesi dalla morte nel Lied Frühlingstraum (“Sogno di primavera”) nell’estremo capolavoro della Winterreise, quasi sguardo retrospettivo e inconscio a un’adolescenza prodigiosa.
Raffaele Mellace