I Pomeriggi Musicali dedicano i concerti del 21 e del 23 aprile 2022 al M° Nicholas Angelich, scomparso lo scorso lunedì 18 aprile.
Chopin Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra
Poulenc Sinfonietta
Il Cast
Direttore George Pehlivanian
Pianoforte Ingrid Fliter
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Chopin Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra op. 11
Allegro maestoso
Romanza. Larghetto
Rondò. Vivace
Poulenc Sinfonietta FP 141
Allegro con fuoco
Molto vivace
Andante cantabile
Finale. Prestissimo e très gai
Virtuosismi contrapposti
Il concerto odierno è animato da due virtuosismi contrapposti, del solista e dell’orchestra, che ci vengono presentati separatamente: quello del pianoforte domina infatti nel brano di Chopin, il virtuosismo orchestrale in Poulenc. Il primo è un lavoro incentrato interamente sullo strumento solista, secondo la tipologia di concerto Biedermeier in voga negli anni in cui il giovane Chopin si andava costruendo un repertorio. Gli servirono da modello non tanto i lavori di Mozart o Beethoven (questi ultimi all’epoca ancora ignoti, all’indomani della morte dell’autore, nella provinciale Varsavia), in cui la dialettica tra pianoforte e orchestra è sofisticata e sostanziale, bensì i concerti che i Moscheles, i Field, gli Hummel, i Kalkbrenner componevano per sé, destinati a tournée internazionali in cui sarebbero stati accompagnati da orchestra sempre diverse, talora raccogliticce o semidilettantesche, sulle quali non era opportuno fare troppo affidamento. Peraltro, Chopin è l’unico tra i grandi romantici della sua generazione in cui l’interesse per l’orchestra non sarebbe mai decollato, limitandosi a una manciata di lavori sinfonici, e soltanto agli esordi, tra cui due concerti (un terzo lo lasciò incompiuto nel 1832). Quello eseguito oggi è in realtà il secondo in ordine di composizione, benché sia stato il primo a uscire a stampa, forte della dedica di cui si dirà, a Parigi nel 1833. Chopin – che successivamente l’avrebbe eseguito soltanto due volte, l’ultima il 5 aprile 1835 – l’aveva scritto tre anni prima, nei mesi centrali, tra marzo e ottobre, del 1830, in vista del concerto con cui avrebbe preso congedo – definitivamente, benché non potesse saperlo – da Varsavia e dalla sua Polonia. Dedicato proprio al virtuoso Friedrich Kalkbrenner, che rappresentava per il ventenne pianista in erba un vero idolo («Se Paganini è la perfezione stessa, Kalkbrenner lo uguaglia […] è un gigante che atterra gli Herz, i Czerny ecc., e per conseguenza anche me», dichiarò a un amico), il concerto venne provato privatamente con l’orchestra a casa di Chopin il 22 settembre e in pubblico, al Teatro Nazionale di Varsavia, l’11 ottobre 1830, nell’ultima apparizione dell’artista sul suolo patrio. Secondo gli usi dell’epoca il concerto venne intercalato dall’esecuzione di un’aria con coro tra il I tempo, assai applaudito, e i successivi. Al concerto intervenne, ironia della sorte, anche Konstancja Gladkowska, il giovane soprano avrebbe rappresentato l’ispirazione sentimentale più significativa del giovane pianista in quegli anni.
Aperto da una vasta introduzione orchestrale, incandescente d’inquietudine romantica, il monumentale Allegro maestoso – il tempo più ambizioso sul piano architettonico e tale da assorbire da solo una buona metà della durata del concerto – concede molto spazio, pur in assenza di cadenze, al solista, tanto nell’esibizione più atletica e muscolare, quanto nel canto sovente malinconico e sempre da intendersi “con espressione”. Vige una forma sonata i cui temi principali sono incardinati rispettivamente in Mi minore e maggiore, determinato e struggente il primo, elegante e cantabile il secondo, fino al fuoco d’artificio d’una spericolata Coda virtuosistica. Sull’intenzione espressiva del Larghetto centrale in Mi maggiore, sorta di notturno dal «carattere di una romanza, calma, malinconica», impreziosito da una fascinosa linea melodica sognante che anticipa le sonorità dello Chopin maggiore, possediamo una preziosa testimonianza epistolare dell’autore, che lo descrive all’amico Tytus Woyciechowski come uno «dolce sguardo rivolto a un luogo che risveglia nel pensiero mille piacevoli ricordi. È una fantasticheria del bel tempo primaverile, ma durante il chiaro di luna: perciò l’accompagnamento prevede la sordina», onde sortirne un «certo tono nasale e argentino». Il Rondò finale, naturalmente ed evidentemente virtuosistico, avviato a sorpresa in un inquieto do diesis minore, è dominato dallo spirito folklorico di una particolare danza polacca, il Krakowiak, di metro binario e andamento rapido, che attraverso un percorso armonico originale corona euforicamente il concerto capovolgendone in maggiore il mi minore d’impianto.
Dal pianismo Biedermeier del primo Chopin, con il lavoro più recente in programma, composto oltre un secolo più tardi (1947-48), approdiamo paradossalmente a riferimenti estetici ancora più antichi. Nonostante l’appartenenza cronologica alla stagione della neoavanguardia d’un Pierre Boulez, la Sinfonietta di Francis Poulenc esprime la visione estetica mai abiurata di una personalità di spicco del Novecento musicale che aveva pubblicato il suo primo lavoro nel 1917, quando apparteneva al gruppo di giovani talenti chiamato Les six; visione estetica che coniuga moderna estetica del music hall e schietto neoclassicismo ispirato a nitore, eleganza, ironia, economia di mezzi, velocità. Qualità mozartiane che caratterizzano pienamente l’unico lavoro del suo autore per orchestra sola (salvo le suite da balletti come Les biches, 1923, irriverente ibridazione tra ragtime e Settecento). Commissione della BBC, dedicata al compagno dei Six Georges Auric, la Sinfonietta, nei quattro tempi canonici nonostante l’understatement del titolo, compensa il virtuosismo richiesto alla compagine sinfonica con una cornucopia di energia, colori, fascino melodico, umorismo: ésprit cartesiano la cui sublime leggerezza è ben compendiata dalla suprema eleganza del finale, Prestissimo et très gai. Altrettanto inequivocabilmente l’indicazione agogica dell’Allegro con fuoco d’apertura, soprattutto non più lento di 160-168 al quarto, aveva stabilito il tono d’una corsa che prende la strada dell’indiavolata tarantella dello Scherzo in seconda posizione e le movenze coreografiche dell’apollineo Andante cantabile, per chiudere con la verve mozzafiato d’un finale in cui parrebbe di scorgere Haydn trascorrere una spensierata serata al varietà.
Raffaele Mellace