Rachmaninov Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra
Čajkovskij Sinfonia n. 5
Il Cast
Direttore James Feddeck
Pianoforte Benedetto Lupo
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
Rachmaninov Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in re minore op. 30
Allegro ma non tanto
Adagio
Alla breve
Čajkovskij, Sinfonia n. 5 in mi minore op. 64
Andante – Allegro con anima
Andante cantabile, con alcuna licenza
Allegro moderato
Andante maestoso – Allegro vivace (alla breve)
Sinfonismo russo
Corona la 77a Stagione dei Pomeriggi musicali un dittico dedicato al grande sinfonismo russo, due dei lavori principali di Rachmaninov e Čajkovskij, autori distanti una generazione ma legati da rapporti stretti: la carriera del primo s’avviò infatti sotto la protezione del secondo, finché nel tragico 1893, la precoce, inaspettata scomparsa del mentore cinquantatreenne non lasciò il più giovane primo d’un riferimento fondamentale. Con il Concerto n. 3 incontriamo Rachmaninov diversi anni dopo, nel 1909, quando, in preparazione di un’attesa tournée statunitense, il compositore scrisse la partitura tra maggio e agosto nella tenuta di campagna di Ivanovka, per provarlo, su una tastiera muta in mancanza d’un pianoforte (!), durante il viaggio in piroscafo verso New York, dove il concerto venne tenuto a battesimo dall’autore il 28 novembre. Vasto e straordinariamente impegnativo per l’interprete (il dedicatario Josef Hofmann non osò mai affrontarlo; lo stesso Rachmaninov venne criticato al debutto e smise di eseguirlo dopo aver ascoltato l’interpretazione di Walter Gieseking, con Vladimir Horowitz vero storico dominatore di questa partitura), non immemore del modello di Čajkovskij, il concerto rappresenta il culmine dell’esperienza secolare degli interpreti-compositori che, come Chopin o Paganini, costruivano architetture musicali incentrate sulla virtuosismo funambolico del solista. Con l’avvertenza, nel caso del Concerto n. 3, che la parte dell’orchestra, benché aliena da un’elaborazione tematica complessa, non è concepita come mero, trasparente accompagnamento del pianoforte, ma è scritta con molta cura, come ebbe ad avvedersene Gustav Mahler, che diresse sempre a New York la seconda esecuzione del concerto il 16 gennaio 1910, costringendo la New York Philarmonic a prove supplementari per curarne ogni dettaglio. La scrittura presenta una cospicua, efficace varietà di atteggiamenti espressivi che spaziano nell’ampio spettro dalle sonorità più fragorose e pompière a zone quasi cameristiche, di intimo raccoglimento, che impongono al solista una notevole versatilità interpretativa. Per il resto, domina il classico melodizzare di Rachimaninov, sensibile alle inflessioni del canto popolare e liturgico russo ripensate secondo i parametri occidentali, tanto nel romantico, nostalgico I tema dell’Allegro ma non tanto («Volevo che il pianoforte cantasse la melodia come l’avrebbe cantata un cantante», puntualizzerà l’autore, interrogato sulla genesi del tema), quanto in quello che si effonde nel dimesso Adagio, prima che l’incalzante Finale, Alla breve, non disperda ogni velleità lirica in un travolgente, sfrenato movimento coreutico.
L’autore della Quinta sinfonia è un Cajkovskij ormai affermato, reduce da una tournée internazionale terminata nella primavera del 1888, in cui aveva toccato Berlino, Amburgo, Parigi, Vienna, Praga, Lipsia, incontrato Brahms, Dvořak, Grieg, Mahler e Busoni, ascoltato molta musica e diretto le proprie opere. Questo turbinio di oltre tre mesi si arrestò a Tiflis, dove il compositore rimase ospite del fratello Anatolij. Qui iniziò a elaborare il progetto di una nuova sinfonia, a ben undici anni dal compimento della precedente (le prime quattro erano state scritte nell’arco di un decennio). Come avrebbe confidato alla mecenate Nadežda von Meck, gli sembrava «di non avere più la facilità di una volta», ma avviò ugualmente la composizione insieme all’ouverture-fantasia Amleto. Completata il 26 agosto, la sinfonia venne diretta dall’autore il 17 novembre a Pietroburgo quel 17 novembre stesso. Era nato un lavoro di straordinaria, problematica bellezza, incompreso all’epoca dalla critica e dal suo stesso autore, sorpreso che Taneev «continui a pensare che la Quinta sinfonia sia la mia opera migliore». Il ritorno alla forma grande della sinfonia mosse da esigenze profonde. Il compositore la dedicò alla memoria dell’amico Nikolai Kondrat’ev, la cui perdita gli offrì l’occasione per ritornare a temi più sentiti e personali, alla solitudine creativa dopo gli allori mondani. Puntualmente si riaffacciò il tema del destino. L’abbozzo di programma per la nuova sinfonia recita infatti: «Introd.: sottomissione totale al Fato, o, che è lo stesso, all’ineluttabile predestinazione della Provvidenza. Allegro I) Mormorii, dubbi, lamenti, rimproveri rivolti a XXX. II) Non sarebbe meglio gettarsi in braccio alla Fede? Il programma è eccellente, a patto che riesca a realizzarlo». Cajkovskij adottò eccezionalmente una forma ciclica, in cui un tema conduttore ricorre in tutti i quattro tempi della sinfonia, portando alle estreme conseguenze il discorso iniziato con la Quarta. Il I tempo esordisce in Andante col tema “del fato” esposto all’unisono dai soli clarinetti. Il I tema della forma sonata (Allegro con anima), un motivetto in bilico tra piglio marziale e movenze danzanti, è invece affidato a clarinetto e fagotto, nelle sonorità attutite del pianissimo. L’Andante cantabile, con alcuna licenza è uno dei movimenti di ispirazione lirica più felice nell’intera produzione di Čajkovskij. Motivi di cantabilità operistica si alternano e intersecano in una dialettica drammatica che esalta le parti solistiche dell’orchestra, indagando l’opposizione tra speranza consolatoria e incombere del destino. Non sfugga il canto del corno, gioiello dell’intero repertorio sinfonico dello strumento. In luogo dello Scherzo troviamo un valzer dalla scrittura elegante e raffinata. Il Finale, capolavoro magmatico ed enigmatico, è nuovamente introdotto dal tema “del destino”, per la prima volta in modo maggiore e sonorità quasi religiose che gli conferiscono la calma ieratica d’un corale. Terribile, un rullo di timpani introduce la seconda, mastodontica sezione, Allegro vivace (alla breve) che innesca un vortice di straordinario dinamismo, fino alla conclusione, trionfale ma non per questo meno enigmatico nel suo significato.
Raffaele Mellace