RACCONTI SENZA PAROLE - La musica tra mito, letteratura e poesia - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 13 gennaio 2022
Ore: 10:00*
giovedì 13 gennaio 2022
Ore: 20:00
sabato 15 gennaio 2022
Ore: 17:00
*I Pomeriggi in anteprima

Beethoven  Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 61

Sibelius Pelléas e Mélisande, Suite op. 46

Il Cast

Direttore James Feddeck
Violino Andrea Obiso
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Note di sala

Beethoven  Concerto per violino e orchestra in re maggiore op. 61

Allegro ma non troppo
Larghetto
Rondò. Allegro

Sibelius  Pelléas e Mélisande, Suite op. 46

Alla porta del castello
Mélisande
In riva al mare
Nel parco, presso la fontana
Le tre sorelle cieche
Pastorale
Mélisande all’arcolaio
Intermezzo
La morte di Mélisande

 

La via del lirismo

Le due pagine in programma si rispondono a un secolo quasi esatto di distanza parlando un linguaggio affine: la scelta del lirismo, l’opzione per una comunicazione che rifugge dall’espressione tumultuosa delle passioni a favore d’una corda elegiaca, una cifra contemplativa che stempera i toni ricorrendo alle mezze tinte e alle delizie d’un sentire delicato. Parrà singolare riferire questo discorso a Beethoven, nella cui produzione questa opzione pure costituisce una voce significativa. Nel bel mezzo della stagione centrale della creatività beethoveniana (1802-14) non pochi lavori importanti scelgono infatti di eludere la via maestra dello stile eroico per imboccare altre direzioni. Emblematico di questo profilo beethoveniano alternativo, in cui il pathos drammatico cede il passo a un sereno lirismo meditativo, è il Concerto per violino. Ne colse perfettamente il fascino sottile Johannes Brahms, che, prima ancora di emularlo con il proprio Concerto per violino, lo citava all’amico e sodale Joseph Joachim tra le musiche, tre soltanto, che gli avevano «dato la più profonda delle emozioni», insieme alla Quinta sinfonia e al Don Giovanni di Mozart. Si è citato quel formidabile violinista che fu Joachim poiché proprio a lui spettò riportare in auge il concerto beethoveniano nel 1844, in una memorabile esecuzione diretta da Mendelssohn a Londra, replicata a Düsseldorf sotto la direzione di Schumann. L’infanzia del concerto non era stata infatti tra le migliori: sulle prime era stato infatti accolto freddamente nell’interpretazione offerta il 23 dicembre 1896 dal virtuoso Franz Clement per il quale Beethoven l’aveva concepito. Il debutto era avvenuto nel viennese Theater an der Wien, di cui Clement era direttore musicale e dove Beethoven, che molto stimava il collega, aveva messo in scena le prime due versioni del Fidelio. A quel felice incontro dobbiamo la più importante esperienza sinfonica beethoveniana con il violino, unico strumento destinatario d’un concerto solistico oltre al pianoforte, dopo un’interrotta prova giovanile (il torso cospicuo d’un Allegro di concerto WoO 5 risalente all’epoca di Bonn) e le due splendide romanze per violino e orchestra. Al di là della presenza di stilemi militari, come l’avvio affidato ai timpani, trasmessi, dalla Parigi rivoluzionaria prima e napoleonica poi, ai coevi concerti per violino (i lavori di Viotti e Pierre Rode, fino al Concerto n. 2 op. 21 “militare” di Karol Lipinski, 1826), una quiete contemplativa spira nel lirismo squisito dell’invenzione melodica e nell’organizzazione divagante dell’Allegro ma non troppo, su cui si libra luminoso il canto del solista; nel dialogo rapsodico tra violino e orchestra del Larghetto, dall’orchestrazione sofisticata e contenuta; nell’affabilità pastorale e persino popolaresca del Rondò conclusivo.

Un lirismo più austero ma non meno interiore promana dall’altro lavoro in cartellone: la Suite che Jean Sibelius trasse dalle proprie musiche di scena per il dramma lirico Pelléas et Melisande del poeta belga Maurice Maeterlinck, il testo più fortunato del simbolismo musicale, che in un breve torno d’anni a cavaliere tra Otto e Novecento avrebbe impegnato William Wallace, Cyril Scott, Fauré, Schoenberg e Debussy. A proprio agio tanto nel sinfonismo, in cui Sibelius diede probabilmente il meglio di sé, quanto nello specifico nel genere delle musiche di scena, che coltivò in una decina di occasioni per buona parte della carriera, il compositore finlandese attese alle musiche di Pelléas et Melisande nel 1905, reduce da un proprio concerto per violino, per una produzione del teatro svedese di Helsinki, dove la si vide per una quindicina di recite. Prescindendo dalla sequenza esatta del plot, le nove stazioni della Suite restituiscono in un ben congegnato, convincente chiaroscuro le atmosfere del dramma onirico al cui centro si colloca la sventurata vicenda d’un amore impossibile tra due creature fragili, la cui volontà nulla può contro un destino imperscrutabile che si manifesta tramite simboli arcani. Accolti in questa regione misteriosa da un’introduzione opportunamente severa e pensosa, incontriamo la protagonista Mélisande, il personaggio più compiuto e fascinoso del dramma, individuata nel lirismo pudico e quasi reticente del corno inglese, il cui canto procede con l’incerta esitazione d’un rabdomante, a cogliere la personalità inquieta e insicura della giovane misteriosa. Un intermezzo marino dipinge con mirabile economia di mezzi, come fosse un poema sinfonico in miniatura, una scena naturalistica dapprima statica, poi sempre più inquieta, anticipando di quarant’anni i Sea interludes del Peter Grimes di Britten. Un lieto valzer (Nel parco, presso la fontana) simboleggia l’innocenza ancora intatta di Mélisande, poi travolta dalla passione. Trascrizione strumentale della voce che intonava una canzone nelle musiche di scena, il corno inglese ritorna ad annunciare Le tre sorelle cieche, sorta di Parche, figure del destino inesorabile che incombe su Mélisande, anch’ella cieca. L’atmosfera arcana è dispersa dalla delicata Pastorale, animata dall’innocente dialogo ornitologico tra clarinetti e flauto. L’episodio di Mélisande all’arcolaio, reso inquieto dal ronzio insopportabile delle viole, si contrappone alla ventata di fresca aria primaverile portata dall’Intermezzo, in un sentimento giocoso di libera vita nella natura, ultima pausa prima della meditazione attonita che commenterà con intenso quanto pudico cordoglio La morte di Mélisande con una trenodia dominata dal colore degli archi, che offrono al lamento dei legni il sostegno d’una rete sonora compatta e serrata. Questa musica s’intreccia anche con la storia della nostra città: cinquant’anni fa, il 13 marzo 1970, sulla scorta della suite di Sibelius e del Valzer triste, sempre di quest’ultimo, il Teatro alla Scala mise in scena un balletto di Beppe Menegatti e Loris Gai con Amedeo Amodio nella parte di Pelléas e Carla Fracci in quella di Mélisande.

Raffaele Mellace