Felix Mendelssohn-Bartholdy Le Ebridi, ouverture
Camille Saint-Saëns Concerto n. 1 per violoncello e orchestra
Franz Schubert Sinfonia n. 2
Il Cast
Direttore Yaniv Dinur
Violoncello Natalie Clein
Orchestra di Padova e del Veneto
Note di sala
Felix Mendelssohn-Bartholdy Le Ebridi, ouverture
Camille Saint-Saëns Concerto n. 1 per violoncello e orchestra
Allegro non troppo
Allegretto con moto
Tempo I
Franz Schubert Sinfonia n. 2
Largo. Allegro vivace
Andante
Menuetto: Allegro vivace. Trio
Presto vivace
Una splendida parabola romantica
Attraversa tutta la parabola del Romanticismo europeo il concerto odierno, dagli albori ancora profondamente nutriti di classicismo di una sinfonia giovanile di Schubert a un concerto della maturità di Saint-Saëns, artista scomparso “appena” un secolo fa, nel dicembre 1921. Pagina cronologicamente centrale di questo percorso, l’ouverture in si minore Die Hebriden (“Le Ebridi” o “La grotta di Fingal”) esprime la dimensione, fondamentale nella vita di Mendelssohn, del viaggio come straordinaria esperienza formativa. Per il musicista, e anche talentuoso acquarellista, l’incontro con paesaggi e civiltà, espressione di natura e cultura, diventa occasione per tradurre in suoni la risonanza interiore di tali esperienze in un animo estremamente ricettivo. Tema dell’ouverture è la fascinosa evocazione marina dello spettacolo sublime del selvaggio arcipelago scozzese. Concepita da un abbozzo di 21 battute appuntato nel viaggio in Scozia del 1829, originariamente intitolata Ouverture zur einsamen Insel (“L’isola solitaria”), venne scritta a Roma nel 1830 e rivista, in un’ormai terza versione, nel 1832. Lavoro potente, rappresenta l’incunabolo dell’immaginario marino del romanticismo musicale, senza il quale titoli come L’Olandese volante di Wagner sarebbero impensabili. L’eccezionale d’eco della grotta di basalto che Mendelssohn aveva sperimentato nell’estremo Nord della Scozia è tradotto in un tema evocativo, sordo, misterioso, formato da un disegno discendente esposto nel registro grave, cui contrasta un tema lirico in Re maggiore, che sale sempre dai violoncelli: una dialettica che ospita un episodio centrale risonante di fanfare militari (memoria del mitico re Fingal, padre di Ossian, il bardo tanto popolare presso i romantici), ma finisce per rifluire nell’ineluttabile flutto marino di cui l’onnipresente tema principale è simbolo formidabile.
Proprio verso Mendelssohn è profondamente debitore il Concerto per violoncello n. 1 di Camille Saint-Saëns. Scelte formali, originalità d’impostazione, efficacia espressiva del più fortunato lavoro sinfonico del maestro francese, presentato alla Società dei Concerti del Conservatorio di Parigi nel 1873 un quarto di secolo dopo la morte di Mendelssohn, rimandano a un modello puntuale: il Concerto per violino in mi minore op. 64 dell’Amburghese. In ogni caso, il lavoro si dimostra un osservatorio formidabile per apprezzare il talento di Saint-Saëns – autore d’un catalogo sterminato che conta ben dieci concerti (questa nostra stagione ne ha già proposto il secondo per pianoforte) – nell’individuare formule efficaci capaci di soggiogare le platee più vaste. Tale è il gesto violento e rapinoso con cui il solista apre il concerto, che trascorre senza soluzione di continuità dall’appassionato Allegro non troppo all’elegantissimo Allegretto con moto in punta di piedi, al conclusivo Un peu moins vite. Un’oasi lirica umbratile e suadente come la voce di Dalila nell’opera Samson et Dalila, in scena quattro anni dopo, contrasta efficacemente la frenesia che s’impossessa di questo finale, che prima di chiudersi riprende tanto il tema principale del I tempo quanto un altro tema, comparso a sorpresa durante lo Sviluppo del I tempo, sigillando così in compiuta unità l’intero concerto.
Composta mezzo secolo prima del concerto di Saint-Saëns, la Seconda sinfonia di Schubert pare riportarci alla classicità solare e armoniosa di Haydn, alla cui paternità si potrebbe tranquillamente ascrivere il tema con variazioni dell’Andante. Lavoro giovanile del suo Autore, che durante la composizione della sinfonia compì 18 anni, è incardinata in quella tonalità di Si bemolle maggiore che aveva significato molto nell’adolescenza di Schubert, il quale proprio a una figura di riferimento della sua formazione, Franz Innocenz Lang, direttore del Collegio cittadino da cui si era congedato l’anno prima, dedicò la sua seconda fatica sinfonica, eseguita probabilmente nei saggi dell’orchestra degli allievi, se non dall’orchestra amatoriale cui Schubert apparteneva (per un’esecuzione pubblica fu invece necessario attendere il 1877, a mezzo secolo dalla morte del compositore). Lavoro giovanile sì, ma che esibisce una sorprendente abilità costruttiva, evidente ad esempio nel collegamento tra l’elementare tema naïf del citato Andante e il Trio del Minuetto: tocco di umorismo à la Haydn? È però il dinamismo la cifra più autentica di questa novità sinfonica che Schubert inizia il 10 dicembre 1814 e completa il 24 marzo di quel 1815 che frutterà duecento nuovi lavori, mentre Vienna sta ospitando lo storico Congresso che avrebbe determinato tanto parte della storia europea: il dinamismo del vasto Allegro vivace che emerge dalla breve ma drammatica introduzione Largo con una frenesia che pare già materializzare gli elfi del Sogno di una notte di mezza estate mendelssohniano, frenata dal bello e ampio II tema cantabile e coinvolta nel culmine drammatico alla vigilia della Ripresa, o quello del Presto vivace finale, il cui galoppo, per quanto animato, non smette mai la sua classica compostezza.
Raffaele Mellace