RACCONTI SENZA PAROLE - La musica tra mito, letteratura e poesia - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
sabato 30 ottobre 2021
Ore: 17:00

Note

MOLTO IMPORTANTE

  • Per entrare a Teatro è necessario essere in possesso di green pass valido.

Respighi, Trittico Botticelliano

Stravinskij, Suite n. 1 e Suite n. 2 per piccola orchestra

Ravel, Ma Mère l’Oye, balletto

Il Cast

Direttore Alessandro Cadario
Orchestra del Teatro Carlo Felice

Note di sala

Respighi, Trittico Botticelliano P 151
La Primavera
L’adorazione dei Magi
La nascita di Venere

Stravinskij, Suite n. 1 per piccola orchestra
Andante
Napolitana
Española
Balalaika

Suite n. 2 per piccola orchestra
Marche
Valse
Polka
Galop

Ravel, Ma Mère l’Oye, balletto
Prélude. Très lent
Danse du rouet et scène. Allegro
Pavane de la belle au bois dormant. Lent
Les entretiens de la belle et de la bête. Mouvement de Valse. Modéré
Petit poucet. Très modéré
Laideronnette, impératrice des pagodes. Mouvement de marche
Apothéose. Le jardin féerique. Lent et grave

 

Fiabe, miti, caricature

Tre maestri assoluti della scrittura sinfonica del Novecento propongono altrettante declinazioni del trattamento della tavolozza orchestrale. Lo fanno con lavori diversissimi che tuttavia condividono due elementi: la volontà di “raccontare una storia”, di rappresentare, con atteggiamenti diversissimi, una realtà extramusicale, e una prossimità cronologica singolare, che vide le partiture in programma debuttare nell’arco di appena quindici anni, sui due versanti della Grande guerra, trauma epocale che questa musica sembra non conoscere. Non lo conosce il Trittico botticelliano, la cui ispirazione venne a Ottorino Respighi durante una visita alla National Library di Washington, ospite di Elizabeth Sprague Coolidge, straordinaria figura di mecenate, committente anche di questo lavoro, cui si deve il Coolidge Auditorium che ospitò la “prima” di Appalachian Spring di Copland. Scritto nella primavera 1927 e proposto il 28 settembre successivo in quel Konzerthaus di Vienna dove nove giorni prima era stato presentato il Quartetto n. 3 di Arnold Schoenberg, questo ulteriore polittico a programma del grande sinfonista s’ispira a tre celebri capolavori di Sandro Botticelli, realizzati dal pittore fiorentino tra il 1475 e l’83. L’orchestrazione, trasparente e luminosa, e il tratto, esile e disadorno, connubio di essenzialità e raffinatezza timbrica, rappresentano la via scelta da Respighi per evocare un Rinascimento aurorale, preraffaellita, a contrapporre all’opulenza di Fontane o Pini un disegno spoglio e delicato. La vita febbrile della primavera balugina in un quadro sempre più vigoroso e festoso, forse non casualmente, nell’Italia della riscoperta della musica antica cui tanto lo stesso Respighi contribuì, incardinato nel Mi maggiore in cui Vivaldi aveva scritto la sua celebre Primavera. L’anta centrale, ispirata dalla tavola realizzata da Botticelli per S. Maria Novella, ci trasporta nell’Oriente dei Magi con le inflessioni modali di un melodizzare dominato dai legni, aperto dalla melopea del fagotto, poi bicinio con l’oboe, finché il flauto non cita la prima melodia natalizia, l’antico inno d’Avvento Veni, veni Immanuel, seguito dal popolare Tu scendi dalle stelle. A una sollecitazione visiva pare indurci l’ultimo pannello, ancora in Mi maggiore, in cui il nastro di fiati, celesta, arpa e pianoforte parrebbe evocare la superficie «del greco mar, da cui vergine nacque / Venere», rappresentata dal graduale emergere del caldo, epico lirismo degli archi.

I riferimenti extramusicali sono personalissimi per Igor Stravinskij, che nel 1921 e poi nel ‘25 cavò due suite orchestrali in miniatura, articolate in quattro numeri ciascuna, da altrettante serie di piccoli pezzi per pianoforte a quattro mani, Trois e Cinque pièces faciles, composti nei primi anni della Grande guerra per i figli Théodore e Ludmilla (Mika). Almeno tre gli elementi d’interesse: i materiali, il loro impiego, le dediche. Stravinskij scelse forme musicali base, mattoncini elementari su cui esercitare prima la perizia infantile della prole, poi il suo talento ineguagliabile d’orchestratore. Si succedono così le forme della più trita musica di consumo, coreutica e non, che configurano la Suite n. 2 come una sorta di balera, col suo poker di marcia valzer polka e galop, mentre la Suite n. 1, aperta dall’unico movimento lirico, si tinge d’inflessioni nazionali, in un giro folklorico d’Europa tra Spagna, Russia e Napoli (memorabile la vitalità della spigliata tarantella). Affidati all’orchestra, questi «pezzi facili», già vivificati da una vis ritmica elettrizzante, entrano in un caleidoscopio timbrico che ne fa emergere le sfumature più diverse, in cui l’autore di Petruška (inconfondibile nella Valse) esibisce la formazione formidabile della scuola di Rimskij-Korsakov, di cui era stato allievo anche Respighi, abbinata a un gusto modernista in cui incanto e colori acidi si avvicendano tra continui effetti sorpresa. Last but not least, l’associazione tra alcuni pezzi e il loro dedicatario, che vi si trova effigiato in caricatura: Alfredo Casella nella Marche, Eric Satie nella Valse, Sergej Pavlovič Djagilev, quasi direttore circense, nella Polka.

Con il secondo e ultimo appuntamento della stagione con Maurice Ravel, si riproduce il procedimento stravinskijano, sostituendo tuttavia all’ironia il clima incantato della fiaba, tanto caro al compositore francese. Anche Ravel aveva scritto, tra il 1908 e il 1910, cinque pezzi per pianoforte a quattro mani per i figli del pittore Cipa Godebski, traendo i soggetti da celebri fiabe del Sei e Settecento. La raccolta di Perrault Contes de ma Mère l’Oye (1697), da cui vengono le prime due, dà il titolo alla serie. Orchestrate per un balletto che debuttò il 28 gennaio 1912, sono tra le più belle e originali partiture sinfoniche di Ravel, che vi esibisce al meglio il talento di raffinatissimo orchestratore. Nella Pavane inaugurale, la Fata Benigna veglia sulla Bella addormentata, «suscitando in lei sogni graziosi» attraverso l’evocazione stilizzata d’una danza rinascimentale d’incantevole delicatezza. Ravel trasfigura poi la vicenda di Pollicino in un poema sinfonico in miniatura in cui il canto dolcissimo dell’oboe e poi del corno inglese rappresenta il bambino spaventato nel bosco, mentre ai violini si odono cadere le briciole che diventano pasto degli uccellini. Laideronnette è una compiuta chinoiserie che sfrutta le «pagode» della fiaba, in realtà minuscole creature che suonano su gusci di noci, per dar vita a un Oriente fatto di scale pentatoniche e orchestrazione lussureggiante. Se la Bella e la Besta esibiscono i loro caratteri contrapposti, rispettivamente al clarinetto e al controfagotto, a ritmo d’un valzer che finisce per smaterializzarsi in un’aura incantata, il Giardino fatato risveglia delicatamente la principessa per chiudersi con l’apoteosi dell’amore, pannello festivo impreziosito dal colore argentino della celesta.

Raffaele Mellace