Romanticismo Tedesco 3 - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 22 marzo 2007
Ore: 21:00
sabato 24 marzo 2007
Ore: 17:00

Giovedì 22 marzo, ore 21 Milano – Teatro Dal Verme
Sabato 24 marzo, ore 17 Milano – Teatro Dal Verme

Romanticismo Tedesco 3
Direttore:
Corrado Rovaris
Pianoforte:
Pietro De Maria
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Robert Schumann [Zwickau, Sassonia, 1810 – Endenich, Bonn, 1856]
Concerto per pianoforte e orchestra in la minore op.54
Allegro affettuoso
Intermezzo. Andantino grazioso
Allegro vivace

Sinfonia n.2 in do maggiore op.61
Sostenuto assai. Allegro non troppo
Scherzo. Allegro vivace
Adagio
Allegro molto vivace

Il Concerto
di Paolo Castagnone
Il Concerto in la minore accompagna a lungo la vita creativa di Robert Schumann. I primi spunti risalgono agli anni giovanili; tra il 1829 e il 1833 aveva infatti abbozzato tre concerti per pianoforte e orchestra (in fa minore, in fa maggiore e in re minore) e allo stesso periodo appartiene anche l’incompiuta «Introduzione e variazioni su un tema di Paganini» in si minore e il «Concert sans orchestre» op. 14, pubblicato nel ‘53 in una edizione riveduta con il titolo di Sonata n. 3.

Tante meditazioni e studi preparatori si spiegano perfettamente se si tiene conto che, nella sua veste di critico musicale, Schumann stigmatizzò ripetutamente la cattiva abitudine di trattare la produzione pianistica e, in particolare, la forma del concerto come l’ambito privilegiato per la ricerca di «effetti sorprendenti» tipici di un virtuosismo inutile quanto vuoto e volesse evitare in ogni modo di ricadere in simili cliché. In una lettera inviata alla fidanzata Clara il 24 gennaio 1839, il musicista tedesco espresse le incertezze e i ripensamenti nei riguardi del suo lavoro: «Quanto al concerto, si tratta di una via di mezzo tra sinfonia, concerto e grande sonata. Mi rendo conto che non posso scrivere un brano per virtuosi e debbo piuttosto volgere le mie riflessioni in un’altra direzione». Egli aveva quindi esattamente giudicato la propria composizione: Concerto nella sua struttura, Sinfonia per la compattezza dell’eloquio e Grande Sonata per la presenza del pianoforte come centro d’attrazione. Tutte queste idee maturano verso il 1841, anno in cui si definisce la prima sezione del lavoro, che viene intitolata Konzert-Phantasie. Dopo numerosi rifiuti da parte degli editori di pubblicare l’opera, l’artista tedesco si rese conto che era difficile proporla perché troppo fuori dagli schemi abituali. Nel giugno del 1845 vi aggiunse dunque il secondo e terzo movimento ed è in questa stesura definitiva che il Concerto arriva alla sua prima esecuzione nel dicembre dello stesso anno, con l’amatissima Clara al pianoforte e Ferdinand Hiller – poi dedicatario del brano – alla direzione.

I travagli creativi e i lunghi tempi di composizione non si avvertono in una pagina che mantiene una perfetta omogeneità di ispirazione, adottando uno stile improvvisativo. Manca invece del tutto il principio dell’opposizione che costituiva il centro d’interesse del Concerto beethoveniano: il rapporto dialettico fra solista e orchestra e, a un livello più profondo, il contrasto tematico.

Il fulcro del Concerto in la minore è costituito dal pianoforte, ma non si può dire che gli altri strumenti si limitino a un ruolo di accompagnamento come avveniva nei coevi concerti virtuosistici. Il solista sembra emanare un’onda di energia musicale che investe l’orchestra: ne nasce un discorso estremamente unitario ed equilibrato, che si tinge di continue varianti timbriche; è il ricchissimo colorismo del linguaggio pianistico che si dilata e trova qui una delle sue rappresentazioni più complesse, proiettando su una forma più vasta quella tipica tendenza schumanniana a germinare nuove idee da un’unica cellula melodica.

Lo stesso atteggiamento discorsivo è rintracciabile anche nell’impostazione tematica. Apparentemente Schumann si adegua alle caratteristiche della «forma-sonata» così come l’ha sviluppata il Classicismo viennese, con la presentazione dei due temi, lo sviluppo e la ripresa conclusiva. A un’analisi più attenta si scopre però che manca l’elemento essenziale: la spinta propulsiva determinata dal contrasto motivico. La dialettica del sinfonismo classico viene svuotata di significato ed è l’unità del tono lirico a tenere insieme la partitura che è monotematica, poiché unico è il nucleo poetico da cui scaturisce il complessointreccio compositivo, rappresentato da un tema ispirato alla grande aria “Dai giorni primaverili della vita” che Florestano canta nel secondo atto del Fidelio di Beethoven e va quindi considerato un riferimento all’amore. Un altro elemento confluito nella creazione tematica è invece tratto dalla schumanniana Novelletta op.21 n.8 che, a sua volta, era ispirata al notturno op.6 n.2 di Clara. In una visione di rimandi e citazioni tipica del Romanticismo nordico, l’intero Concerto si può considerare una celebrazione degli ideali di fedeltà coniugale, in omaggio al matrimonio fra Clara e Robert avvenuto il 12 settembre 1840.

La pagina si apre con uno scatto deciso del pianoforte; alla quarta battuta la sezione dei fiati annuncia il tema: una bellissima invenzione melodica ripresa subito dal protagonista. Subito dopo il solista e l’orchestra intonano un’altra lunga frase che ha quasi il sapore di una terza idea, ma che in sostanza risulta il completamento e l’amplificazione del motivo centrale. Sorprendentemente Schumann, in sostituzione del secondo elemento tematico, ripresenta il nucleo fondamentale, trasportato al relativo maggiore, trascolorando la struggente nostalgia iniziale in un’atmosfera animata e fremente.

Esaurita questa prorompente immagine, inizia il cosiddetto Sviluppo, rappresentato dapprima da una trasformazione del tema principale in un momento delicatamente sognante. Il guizzo ritmico che aveva aperto il Concerto serve da raccordo con il successivo episodio trascinante e carico di passione. La stessa “Cadenza” solistica che chiude la Ripresa rispecchia il programma anti-virtuosistico dello spartito e arricchisce il materiale musicale con dense armonie presaghe del futuro stile brahmsiano, ma prive del vortice di note tipico di tali episodi. L’entrata dell’orchestra dà inizio a una breve “coda”, brillante e briosa fanfara che conduce direttamente all’«Intermezzo», un brano dal sapore cameristico e delicato, memore del linguaggio liederistico. Una serie di frasi in dialogo fra il pianoforte e l’orchestra (che si richiamano fuggevolmente alla melodia principale) portano all’episodio centrale: un’intensa perorazione del violoncello che poi passa ad altri strumenti. La ripresa sfocia in una citazione del tema d’apertura del Concerto, sottolineato da sorprendenti accordi del pianoforte, che conducono senza soluzione di continuità al Finale. Questo «Allegro vivace» è una pagina molto brillante e vitale, anch’essa vagamente imparentata – con un chiaro intento ciclico -al precedente materiale tematico. Qui il solista si lancia in un pianismo molto impegnativo e manifesta insieme all’orchestra una geniale mobilità ritmica, che esprime fresca e allegra baldanza.

Proprio negli stessi mesi in cui portava a termine il Concerto in la minore, Schumann iniziò ad abbozzare la sua Seconda Sinfonia. La stesura definitiva della partitura avvenne però nel 1846 e procedette lentamente, poiché da un paio di anni soffriva dei primi violenti sintomi della sua malattia nervosa. Il referto del medico curante parla di numerosi e gravi disturbi: «Allorché egli si occupa di cose intellettuali, appaiono dei tremiti e uno stato ansioso che culmina in uno strano terrore della morte, manifestato anche dal timore che gli ispirano le sommità, gli appartamenti situati in piani elevati, tutti gli strumenti di metallo, anche le chiavi».

Nel medesimo periodo cominciò a studiare intensamente e insegnare contrappunto a Clara; egli stesso si cimentò nella composizione di vari brani in stile severo e scrisse la fuga per organo sul nome di BACH (nella notazione tedesca corrispondente alle note Si bemolle – La – Do – Si naturale). Da un lato la Seconda Sinfonia presenta una fattura più meditata rispetto al suo primo lavoro sinfonico, la “Frühlinssymphonie”, mostrandoci un musicista preoccupato di rendere sempre più solida la scrittura strumentale grazie a una raffinata elaborazione polifonica; d’altro canto esso riflette le sue particolari condizioni psicologiche, «manifestando – come ebbe a scrivere lo stesso autore – la resistenza dello spirito contro le mie condizioni fisiche. Il primo movimento è pieno di questa lotta e del suo carattere capriccioso ed ostinato».

Abbandonati dunque i motivi di gioia primaverile della Sinfonia precedente, ci troviamo di fronte a un lavoro più raccolto e mesto, come è annunciato inequivocabilmente dall’iniziale «Sostenuto assai», che nel suo pathos malinconico e autunnale sembra voler spiegare il senso profondo di un’altra affermazione di Schumann: «Ho composto questa sinfonia mentre ero ancora malato e mi sembra evidente all’ascolto». Assai significativamente lo stesso tema e molte idee secondarie dell’introduzione confluiscono nel successivo «Allegro ma non troppo» con un carattere opposto, a partire dalla fanfara degli ottoni che torna in tutti i movimenti della Sinfonia. Nonostante il primo tempo sia tutto uno scalpitare e rincorrersi di ritmi marziali, l’autore decide inaspettatamente di farlo seguire da uno Scherzo molto vivace, intercalato da ben due Trii; il primo ha un carattere rustico e popolaresco, mentre il secondo presenta una raffinata polifonia, certo influenzata dagli studi bachiani di quell’epoca. Anthony Newcomb, in un suo penetrante saggio del 1984, ipotizza che questa inusitata struttura sia spiegabile alla luce di un nascosto intento programmatico del musicista sassone, che volle tracciare un percorso che, dalla confusione iniziale, giunge al trionfo finale grazie alla capacità di lottare. I primi due movimenti derivano ogni elemento motivico da una coppia di spunti tematici esposti nell’incipit della partitura: un semplice, epigrammatico motto e una melodia cromatica di carattere contrappuntistico. In tale suggestivo quadro interpretativo, il terzo movimento costituirebbe la fusione fra i due elementi; ma ciò su cui tutti concordano è che proprio questo «Adagio» va considerato uno dei momenti più alti del sinfonismo schumanniano, che qui coniuga la fresca vena melodica dei pezzi pianistici giovanili con una maggiore consapevolezza e maturità espressiva, presaga del futuro linguaggio orchestrale di Brahms.

Il conclusivo «Allegro molto vivace» riconduce l’ascoltatore, richiamato da evidenti affinità tematiche, alla verve ritmica del primo movimento e si conclude emblematicamente con una citazione dell’ultimo Lied tratto dal ciclo «All’amata lontana» di Beethoven, che già aveva ispirato a Schumann uno dei brani più importanti della sua produzione pianistica, la Fantasia op.17. Con questa reminiscenza il grande musicista sassone sembra voler testimoniare che il suo personale percorso sinfonico non deriva dal linguaggio classico, ma che – con una Sehnsucht, una nostalgia tipica del più puro Romanticismo – a esso tende senza mai raggiungerlo, poiché nel suo fluttuante gioco di analogie e rimandi nega la logica lineare e la salda organizzazione strutturale di cui si nutrivano le sinfonie beethoveniane. In questa ottica si sciolgono le numerose critiche di debolezza e incertezza compositiva della Sinfonia op.61 e si spiega l’incondizionato apprezzamento che Clara espresse in occasione di un concerto tenutosi a Zwickau nel 1847: “Quest’opera mi entusiasma e appassiona particolarmente, perché contiene in sé uno slancio audace e una profonda passione, che non si trovano in nessun altro lavoro di Robert”.

Pietro De Maria
Dopo aver vinto il Premio della Critica al Concorso Tchaikovsky di Mosca nel 1990, Pietro De Maria ha ricevuto il Primo Premio al Concorso Internazionale Dino Ciani – Teatro alla Scala di Milano (1990) e al Géza Anda di Zurigo (1994). Nel novembre 1997 gli è stato assegnato in Germania il Premio Mendelssohn per la sua esecuzione del Concerto n. 1 con la Filarmonica di Amburgo diretta da Ingo Metzmacher.

Pietro De Maria svolge un’intensa attività concertistica, ospite dei maggiori centri musicali europei e americani e solista con prestigiose orchestre, con direttori quali Roberto Abbado, Gary Bertini, Myung-Whun Chung, Vladimir Fedoseyev, Daniele Gatti, Eliahu Inbal, Marek Janowski, Ton Koopman, Peter Maag, Gianandrea Noseda, Corrado Rovaris, Yutaka Sado, Sándor Végh.

Nato a Venezia nel 1967, De Maria ha iniziato lo studio del pianoforte con Giorgio Vianello, dimostrando un precoce talento che lo ha portato, appena tredicenne, a vincere il Primo Premio al Concorso Internazionale Alfred Cortot di Milano. Si è diplomato sotto la guida di Gino Gorini al Conservatorio della sua città, perfezionandosi successivamente con Maria Tipo al Conservatorio di Ginevra, dove ha conseguito nel 1988 il Premier Prix de Virtuosité con distinzione.

I suoi impegni più recenti includono concerti a Tokyo, Wellington, Santiago del Cile, Rio de Janeiro, Monaco, Ginevra, Madrid, Praga, ai Festival di Bad Kissingen, Budapest e Lockenhaus e la prima esecuzione italiana del Concerto di Ivan Fedele per due pianoforti e tre gruppi orchestrali che si è tenuta a Milano. A partire da marzo 2007 eseguirà in cicli di sei concerti l’integrale dell’opera pianistica di Chopin che sarà anche registrata per la Decca.

Pietro De Maria è particolarmente attento alla musica da camera alla quale dedica molti progetti, realizzando in particolare una stretta collaborazione col violoncellista Enrico Dindo e col violinista Massimo Quarta.

Ha inciso le tre Sonate op. 40 di Clementi per l’etichetta Naxos, un recital registrato dal vivo al Miami International Piano Festival per la VAI Audio e l’integrale delle opere di Beethoven per violoncello e pianoforte con Enrico Dindo per la Decca.

Pietro De Maria insegna alla Scuola di Musica di Fiesole e all’International Engadin Summer Piano Academy che si tiene in Svizzera ogni due anni.

Corrado Rovaris
Nato a Bergamo, ha compiuto gli studi musicali presso il Conservatorio «G.Verdi» di Milano. Ha inaugurato la propria carriera affrontando il repertorio barocco, per poi avvicinarsi a Mozart, Haydn, Paisiello, Donizetti, Rossini, Bizet. Tra gli impegni in ambito operistico delle ultime stagioni si segnalano il debutto a Philadelphia con Le nozze di Figaro ed al Garsington Opera Festival nella Gazzetta, oltre alla direzione di Il Signor Bruschino e Otello (ROF di Pesaro), Tamerlano (Teatro Regio di Torino), Luisa Miller, La Bohème, Rigoletto, Il Signor Bruschino e Gianni Schicchi (Losanna), Il signor Bruschino, Un giorno di Regno, Il Barbiere di Siviglia, L’italiana in Algeri (Teatro alla Scala), L’elisir d’amore (Reggio Emilia, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Comunale di Bologna), Così fan tutte (Trento, Rovigo, Bolzano, Torino), Ilbarbiere di Siviglia (Teatro Comunale di Bologna, Cagliari, Frankfurt, Torino), Don Giovanni (Philadelphia, Köln, Verona), Don Pasquale (Teatro La Fenice di Venezia), Le nozze di Figaro (Brescia e Bergamo), Apollo e Dafne (Cremona), Il turco in Italia (Parma), La serva padrona (Teatro Comunale di Firenze), Dido and Aeneas (Accademia di Santa Cecilia di Roma), La cambiale di matrimonio (Opéra de Lyon). Sul podio del Teatro delle Muse di Ancona per l’inaugurazione della stagione 2003/4 (Il Re pastore), ha successivamente preso parte all’apertura del Santa Fe Opera Festival dirigendo Simon Boccanegra ed diretto L’italiana in Algeri a Tokyo.

Affianca alla carriera operistica un’intensa attività concertistica che lo ha portato, tra gli altri, sul podio delle orchestre dei Pomeriggi Musicali di Milano, dei Cameristi della Scala, dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, dell’Orchestra Sinfonica G. Verdi di Milano, dell’Orchestra Haydn di Bolzano, della Sinfonica Arturo Toscanini, dell’Orchestre de Chambre de Lausanne, della Danmarks Radio Symphony Orchestra di Copenhagen, dell’ ORT-Orchestra della Toscana e dei principali teatri italiani ed esteri.

Recentemente nominato Direttore Musicale dell’Opera Company di Philhadelphia, vi tornerà per dirigere numerose nuove produzioni.

Il calendario degli impegni futuri prevede inoltre Il turco in Italia al Teatro Regio di Torino, nonché numerosi concerti ad Ancona, Losanna e Bruxelles.

Il Cast

Direttore: Corrado Rovaris