Scozia e dintorni - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 12 aprile 2007
Ore: 21:00
sabato 14 aprile 2007
Ore: 17:00

Giovedì 12 aprile, ore 21 Milano – Teatro Dal Verme
Venerdì 13 aprile, ore 21 Vigevano – Teatro Cagnoni
Sabato 14 aprile, ore 17 Milano – Teatro Dal Verme

Scozia e dintorni

Direttore:
James MacMillan

Pianoforte:
Emanuele Arciuli
Orchestra I Pomeriggi Musicali

James MacMillan [1959]
TRYST
Durata 25 minuti

Filippo Del Corno [1970]
“NOT IN MY NAME”
Concerto per pianoforte e orchestra (prima esecuzione assoluta)
Not
In
My
Name
Durata 20 minuti

Felix Mendelssohn-Bartholdy [1809 –1847]
Sinfonia n. 3 in la minore op. 56 “SCOZZESE”
Andante con moto – Allegro un poco agitato
Vivace non troppo
Adagio
Allegro vivacissimo – Allegro maestoso assai
Durata 38 minuti

Il Concerto:
di Paolo Castagnone
«Il mio pubblico ideale è costituito da persone curiose, aperte di mente e di cuore, entusiaste della nuova musica e disposte ad ascoltarla senza preconcetti e chiusure mentali» [James MacMillan]
«L’eco del canto puro di una preghiera : è nato un musicista, un sacerdote, un profeta» titolava The Gardian all’indomani dell’apparizione, nell’estate del 1990 ai Prom’s Concerts di Londra, di «Isobel Gowdie», poema sinfonico dell’allora sconosciuto MacMillan. Il tono dell’articolista è in sintonia con i giudizi discordanti che il compositore ha provocato per l’apparente contraddittorietà di molti suoi atteggiamenti: fervente cattolico, ma spesso schierato su posizioni progressiste, in polemica con un certo tipo di avanguardie chiuse nel loro cerebralismo e allo stesso tempo sprezzante nei confronti del “populismo” musicale. Ovviamente questi molteplici interessi si possono rintracciare nel suo già folto catalogo, ricco soprattutto di titoli sacri, in sintonia con «una dimensione spirituale che, da Oriente a Occidente, i musicisti stanno oggi ricercando». Anche il legame con la propria terra è sempre stato smisurato e i toni con cui parla del paesaggio scozzese sono idillici: «Vi cammini e sei dentro la memoria, il sole, il mare, la pace, il whisky, la nostra dolce lingua, le tracce fisiche di un’eredità spirituale. Per forza poi nasce la nostra bella musica. Io l’ho trasferita in un ambito colto, ma la suono per un pubblico popolare».

Le passioni dell’artista anglosassone si riverberano anche nel brano in esecuzione. «Negli anni Ottanta – ha affermato – mi imbattei in un poema d’amore del poeta scozzese William Soutar, intitolato The Tryst, che immediatamente musicai con una melodia molto semplice e lineare. Questo frammento appare in numerosi brani che ho composto da allora: una Messa, un breve spartito per violino e pianoforte (After the Tryst) e nel Credo di «Búsqueda», un’opera che unisce testi sacri a poesie scritte dalle madri dei desaparecidos. Del pezzo in programma fornisce anche il titolo e il nucleo poetico della musica. Le sue caratteristiche melodiche, analogamente alle parole originali, sembrano implicare numerose intense associazioni – santità, intimità, fede, amore – ma è anche intriso di mestizia, come se tutte queste cose stessero per morire».

La musica è in un unico movimento, ma è divisa in cinque pannelli ben definiti, con la sezione centrale in tempo lento a costituire il luogo in cui il potenziale del motivo originale viene di nuovo esplorato. E’ qui sviluppato e arricchito dagli archi, dietro ai quali udiamo palpitanti e vibranti accordi, ben timbrati e dissonanti. La sezione di apertura del lavoro è invece veloce, energica, ritmica e si collega a una pagina introdotta da lenti accordi omofonici dei fiati, che vengono interrotti da violente intromissioni degli archi. Nel finale gli elementi rapidi si combinano con le armonie solenni della sezione centrale.

Sul piano linguistico si avverte con chiarezza la volontà di rompere le barriere strutturali, inserendo riferimenti alla musica folk e al jazz, specie nella scrittura degli ottoni, che fa esplicito riferimento a modelli compositivi da big band nello stile di Stan Kenton.

«Non voglio esprimere una presa di posizione, ma semmai proporre un punto di vista». [Filippo Del Corno]

“NOT IN MY NAME” era lo slogan usato dall’organizzazione “The September Eleven Families for Peace for Tomorrow”, il gruppo dei familiari delle vittime dell’attentato alle Twin Towers, che ha fortemente protestato contro le guerre scatenate dal governo degli Stati Uniti “in nome” degli americani uccisi dai terroristi. Emblematicamente questa affermazione costituisce il titolo e il nucleo poetico del nuovo lavoro di Filippo Del Corno, che ritorna – dopo un decennio dedicato ai pezzi per ensemble e al teatro musicale – alla scrittura orchestrale e alla collaborazione con l’istituzione in cui aveva mosso i suoi primi passi da compositore, i Pomeriggi Musicali di Milano. Come ha affermato il musicista milanese, «si tratta di un caso particolarmente simbolico del contrasto tra individuo e collettività: infatti la guerra in Afghanistan si è basata su una presunta volontà collettiva di reazione all’attentato dell’11 settembre 2001, mentre era invece evidente che tanti singoli individui direttamente coinvolti da quel massacro non condividevano affatto la risposta bellica degli USA. Quindi il conflitto ha preteso di essere l’espressione di un moto collettivo (le vittime del terrorismo), schiacciando così ogni possibile espressione di volontà individuali difformi. Questo mi è parso uno spunto estremamente stimolante dal punto di vista propriamente compositivo».

Alla base della genesi del lavoro vi è l’idea di sviluppare un rapporto tra solista e orchestra incentrato sulla contrapposizione dialettica, intesi come rappresentazione del contrasto tra il singolo e la collettività. « Not In My Name è una partitura dove non esiste il tradizionale rapporto solo/tutti o una compagine strumentale che commenta, amplifica e rispecchia gli elementi musicali proposti dal protagonista assoluto della scena, il pianoforte. E’ invece un confronto aspro, serrato, un fronteggiarsi tra l’individualità del solista e la massa orchestrale, in una lotta che conosce anche violenza, sopraffazione, disparità, ricollegandosi all’etimo del termine concerto, che deriva appunto da certamen, ossia combattimento».

La struttura formale è quadripartita e ogni singolo movimento si richiama alle quattro figure rappresentate dalle parole in epigrafe: il primo alla negazione (NOT), il secondo all’inclusione (IN), il terzo all’appropriazione (MY) e il quarto alla denominazione (NAME). L’unico esplicito riferimento alla tradizione è l’iniziale e deliberata citazione del Quarto Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, che costituisce un evidente omaggio a uno dei massimi capolavori concertistici della letteratura pianistica. Alcuni elementi linguistici sono invece affini ai lavori di James MacMillan: «entrambi usiamo accordi consonanti o dissonanti senza un pregiudizio di carattere ideologico ma seguendo, invece, le esigenze “drammaturgiche” di ogni singolo lavoro». Del musicista scozzese Filippo Del Corno condivide anche l’idea di un’arte impegnata socialmente, affermando che «questo concerto è la seconda tappa della trilogia «Confront reality», di cui ho già scritto «Critical Mass» per orchestra d’archi e che verrà conclusa da un brano sinfonico intitolato «Shock and Awe». L’intera opera intende affrontare il complesso e contraddittorio rapporto che esiste tra l’espressione artistica e la società che la circonda, rispondendo così alla sfida lanciata dal compositore inglese Steve Martland per “un’arte che non rifletta la realtà, ma la affronti”. Vorrei però chiarire che si tratta di musica impegnata in un senso totalmente diverso rispetto alle ideologie degli anni Settanta».

«Vita e arte non sono due cose diverse » [Felix Mendelssohn]

Nell’estate del 1829 Mendelssohn fece una tournée in Inghilterra:“conquistata” Londra, si concesse un lungo viaggio di piacere in Scozia fra gli amati paesaggi dei romanzi di Walter Scott, visitando anche i ruderi del castello di Holyrood. Nel suo diario annotò: «Tutto è andato in rovina e la luce del sole penetra nelle spaccature. Credo di aver trovato oggi, nella vecchia cappella, l’inizio di una nuova Sinfonia» e, ai piedi dei contrafforti del castello, il giovane Felix schizzò le prime dieci battute dell’Andante con moto che apre l’op.56. Il lavoro non va però ascritto al filone della musica descrittiva, poiché il paesaggio del musicista amburghese è sempre interiore e si mantiene fedele al motto che Beethoven annotò nella Pastorale: «non pittura, ma espressione del sentimento».

Ne deriva che queste suggestioni rappresenteranno qualcosa di ben più profondo nella sua coscienza, poiché andranno a fondersi con le impressioni del lungo e decisivo viaggio in Italia, simbolo dell’altro polo del suo orizzonte romantico: quello meridionale ed estroverso di una classicità perennemente vagheggiata. Tutto si ricongiunse nel suo sensibilissimo animo poetico e di questa polarità egli avrebbe poi reso esemplare testimonianza con le sue più famose sinfonie: l’Italiana e la Scozzese.

Uno degli elementi che più destano impressione è proprio la lunghissima genesi del brano, rielaborato nell’arco di tredici anni in una continua ricerca di forme trasparenti e perfette. Per mettere ancor più in evidenza la levigata fluidità del dettato melodico, Mendelssohn insisteva nel fare eseguire il proprio lavoro orchestrale senza pause fra i singoli movimenti, ritenendo che in tal modo i contrasti avrebbero acquistato il loro giusto valore. Un ulteriore fattore unitario è costituito dalla parentela di molti elementi motivici con l’atmosfera umbratile dell’introduttivo «Andante con moto». Anche i due temi principali dell’Allegro un poco agitato evocano un paesaggio sonoro che acquista via via un respiro più intenso, fino all’esultanza e ai grandiosi crescendi dello Sviluppo. La sapiente costruzione di questa sezione manifesta un magistero contrappuntistico tipicamente mendelssohniano e fa emergere dall’inquietudine sotterranea aspetti reconditi del materiale melodico. A conclusione del primo movimento, un’esile linea discendente dei fiati approda al motivo udito in apertura, riaffermando quel clima da nebbiose highlands scozzesi, alla cui definizione contribuisce non poco la grande finezza timbrica della strumentazione.

Il seguente «Vivace non troppo» porta ad un cambiamento emotivo, percorso com’è dai suoni di allegre danze popolari scozzesi e di zampogne. Il tema pentatonico, tipico delle canzoni popolari gaeliche, fugge vivace e brioso in un suono di clarinetto. La pagina – rarità per uno Scherzo – è in forma-sonata e seduce per l’orchestrazione trasparente e la varietà ritmica. Il richiamo popolare è comunque stilizzato; già col secondo tema e soprattutto nello Sviluppo le raffinate trame polifoniche si infittiscono e, dopo una breve Ripresa che ne prolunga all’estremo la vitalità ritmica, il movimento va a spegnersi in pianissimo.

Con molto pathos i violini attaccano un «Adagio» raccolto, quasi doloroso, costruito sul contrasto drammatico fra la dolcezza di un tema cantabile e un ritmo di marcia funebre, che si presenta all’improvviso in tutta la sua cupezza, impregnata dal timbro dei fiati che suonano nel registro grave. Con la Ripresa poco a poco inizierà a riemergere il tono elegiaco del primo disegno melodico e la Coda si conclude tranquilla e distesa.

Nell’ultimo movimento, «Allegro vivacissimo», prorompe un’atmosfera gioiosa, con un tema energico e vitale che si dispiega su un ritmo costante, mantenuto nel pianissimo ma vivificato da accenti improvvisi. La seconda idea musicale è affidata ai fiati con sapiente contrasto timbrico e sfocia in uno Sviluppo dall’ammirevole tessuto contrappuntistico, della cui raffinatezza l’ascoltatore quasi non si avvede al primo ascolto. Quindi non segue la consueta coda tematica, ma un «maestoso» in forma di inno: un’idea cara a Mendelssohn, che spesso la usò nella musica liturgica. Dai registri bassi delle viole, dei clarinetti bassi, dei corni e dei fagotti si costruisce una sonorità solenne che sfocia in un’apoteosi trionfante.

James MacMillan
Si forma a Edinburgo e studia composizione alla Durham University con John Casken. Il primo grande successo risale al 1990 con Tryst presentato al Magnus Festival in seguito al quale gli viene conferito l’incarico di compositore ospite della Scottish Chamber Orchestra. Dal 1992 al 2002 è inoltre Direttore Artistico del Music Today, rassegna di musica contemporanea della Philharmonia Orchestra. Dal 2000 ha rivestito i panni di compositore e direttore d’orchestra per la BBC Philharmonic. La carriera internazionale di MacMillan è partita dal successo di The Confession of Isobel Gowdie, ma tra le sue opere meritano di essere citati almeno il concerto per percussioni Veni, Veni Emmanuel, inserito nelle programmazioni delle più importanti orchestre internazionali (New York Philhamonic, orchestre sinfonichedi Philadelphia e Detroit) e dei maggiori festival (Festival di Edinburgo nel 1993, Bergen Festival nel 1997, Raising Sparks Festival di Londra e Queensland Biennal nel 1999). Da ricordare ancheSeven Last Words from the Cross per coro e orchestra d’archi, trasmesso dalla BBC durante la Settimana Santa del 1994,

Inés de Castro, premiata dalla Scottish Opera, i lavori orchestrali commissionatidalla London Symphony Orchestra: The World’s Ransoming, , un Concerto per Violoncello composto perMstislav Rostropovich, la sinfonia ‘Vigil‘ , Quickening, scritto per Hilliard Ensemble e co-commissionata da BBC Proms ePhiladelphia Orchestra. La Seconda Sinfonia di MacMillan è stata commissionata dallaScottish Chamber Orchestra ed è stata presentata nel 1999, mentre la sua prima partituraper laBBC Philharmonic, The Birds of Rhiannon, ha debuttato nel 2001 per BBC Proms a Londra.

Numerosi i premi vinti dalle sue incisioni. MacMillan ha registrato per la Naxos, Bis e Hyperion

Nella stagione2004-05 laLos Angeles Philharmonic gli ha commissionato A Scotch Bestiary, un concerto per organo e laPhiladelphia Orchestraha presentato la suaSymphonyNo.3: Silence.

Emanuele Arciuli
Si è imposto all’attenzione del pubblico e della critica per le sue interpretazioni del classicismo viennese, del novecento storico e della musica contemporanea, specie americana. Suona regolarmente per prestigiose istituzioni, tra cui il Festival Internazionale Pianistico di Brescia e Bergamo, Settembre Musica di Torino, La Biennale di Venezia, il Miller Theater di New York, le Berliner Festwochen, il Teatro San Carlo di Napoli, il La Fenice di Venezia, il Carlo Felice di Genova, le Orchestre Sinfoniche “Verdi” e “Pomeriggi Musicali” di Milano, il Festival Pianistico di Miami,  l’Orchestra e il Coro della Svizzera Italiana, collaborando con musicisti e direttori di fama internazionale. Ha inciso numerosi cd per Chandos, Bridge, VAI e Stradivarius, tra i quali l’integrale pianistica di Berg e Webern, un’ antologia di musica americana e il Concerto per piano e orchestra di Bruno Maderna in prima mondiale.L’album dedicato a George Crumb, inciso per Bridge, ha ricevuto la nomination per i Grammy Awards. Di prossima pubblicazione un cd con musiche di Carla Bley, Fred Hersch e Chick Corea. Ha vinto il premio della critica italiana con il cd Stradivarrius contenente musiche di Adams e Rzewski, eletto miglior disco italiano del 2006.
Molto apprezzato per la profondità e l’originalità del suo approccio interpretativo, si è guadagnato la fiducia di molti compositori americani e italiani: in questo senso ha suscitato grande interesse, da parte della critica internazionale, il ciclo delle ‘Round Midnight Variations, un gruppo di composizioni espressamente scritte per lui nel 2001 da 16 fra i maggiori autori americani (Kernis, Uri Caine, Fred Hersch, Rzewski, Babbit, Thomas, Torke, Harbison, Daugherty, Bolcom,  Hoffman etc.), che si impone come una delle più significative raccolte pianistiche dei nostri giorni; e Eine Kleine Mitternachtmusik, una vasta opera pianistica dedicatagli da George Crumb, che segna il ritorno alla composizione del grande musicista americano dopo parecchi anni. La letteratura per pianoforte e orchestra si arricchisce di numerose opere espressamente scritte per Emanuele Arciuli, tra cui segnaliamo i lavori di Michele Dall’Ongaro, Filippo Del Corno, Lorenzo Ferrero e il musicista nativo americano (cheerokee) Louis W. Ballard, il cui Indiana Concerto sarà eseguito da Arciuli nel gennaio 2008 con la Indianapolis Symphony Orchestra (dir. M.Venzago).
Oltre alle frequenti collaborazioni con riviste prestigiose (Piano Time e, attualmente, Il Giornale della Musica)  Arciuli ha appena pubblicato il volume “Rifugio Intermedio – il pianoforte contemporaneo tra Italia e Stati Uniti” per il Teatro di Monfalcone. Nel 2005-06 ha curato le stagioni cameristiche della Fondazione Lirico Sinfonica “Petruzzelli e Teatri di Bari”.
Mario Bortolotto gli ha dedicato una delle dieci ampie monografie sugli interpreti italiani di oggi, su RaiRadioTre.
Tra gli impegni più recenti concerti con l’Orquestra Sinfonica Brasileira di Rio de Janeiro, la Filarmonica di San Pietroburgo, l’Orchestra Verdi di Milano (prima  italiana del Concerto di John Adams), l’Orchestra Toscanini dell’Emilia Romagna, recitals a New York, Washington e Miami, Cantieri di Montepulciano, Festival delle Nazioni, Festival di Ravello, lezioni e concerti a Princeton University, Miami University etc.

Tra i prossimi appuntamenti l’esecuzione della Concord Sonata di Ives al Teatro Carlo Felice di Genova, due tournèe negli Stati Uniti (Denver, Miami, San Francisco etc.), Festival Pontino, Biennale di Venezia, la prima esecuzione mondiale del nuovo Concerto di Nyman con l’Orchestra della RAI di Torino diretta dallo stesso Nyman, il Festival Milano Musica etc.
E’ titolare della cattedra di pianoforte principale e del Corso di pianoforte contemporaneo per i bienni postdiploma al Conservatorio di Bari, dal 1998 è frequentemente Guest Faculty (professore ospite) al College Conservatory of Music della Università di Cincinnati ed in altre universita americane.

Il Cast

Direttore: James MacMillan