Le date
Giovedì 9 marzo, ore 21
Milano – Teatro Dal Verme
Venerdì 10 marzo
Vigevano – Teatro Cagnoni
Sabato 11 marzo, ore 17
Milano – Teatro Dal Verme
VI – Viaggio con Mozart:Viva la libertà
Direttore:
Carlo De Martini
Pianoforte:
Ilia Kim
Lettore:
Nicola Orofino
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart (1756 –1791):
Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, ouverture dall’opera K.527
Andante – Molto Allegro
Concerto in re minore per pianoforte e orchestra K.466
Allegro
Romanza
Rondò (Allegro assai)
Idomeneo, re di Creta, ouverture dall’opera K.366
Allegro
Idomeneo, re di Creta, musica per balletto K.367
Ciaccona (pas de deux, pas seul)
Pas seul
Passepied (pas seul)
Gavotta
Passacaglia (passacaglia, pas seul, pas de deux)
Il Concerto:
a cura di Andrea Dicht
I brani che ascoltiamo stasera rappresentano, presi singolarmente, tre situazioni emblematiche che spesso ricorrono nella biografia mozartiana. L’Idomeneo, re di Creta, opera seria in tre atti su libretto di Giovanni Varesco, rappresentata con grande successo a Monaco nel 1781, spinse Mozart a considerare con più realismo l’ipotesi di lasciare la natia Salisburgo in cerca di una più ampia visibilità e fama. Il “romantico” Concerto per pianoforte n.20, nella brumosa e tragica tonalità di re minore, rappresenta uno dei pochi momenti davvero felici della permanenza di Mozart a Vienna, acclamato come pianista e compositore, corteggiato da nobili intraprendenti e ricercato didatta della tastiera. Il Don Giovanni K.527, dramma giocoso in due atti su testo di Lorenzo Da Ponte, seconda opera nata dalla collaborazione di Mozart e dell’abate librettista, è invece il segno di un grande successo praghese che non si ripetè durante le repliche di Vienna, cioè la testimonianza del fatto che Mozart, nella vita viennese, fu in fondo una moda passeggera, un ospite gradito ma difficilmente gestibile.
Quando si cerca di immaginare Mozart assorto nel proprio lavoro, è difficile collocarlo geograficamente: fu un celebre salisburghese anche se la sua parabola professionale nel piccolo principato del sud fu quantomeno agitata; fu un viennese piuttosto noto e, come s’è detto, alquanto scomodo; al di fuori di queste due città, sia durante i suoi viaggi giovanili che in quelli dell’età matura, fu quasi sempre acclamato e considerato. Non è azzardato affermare che a Mozart fu negato proprio ciò che cercava più alacremente, ovvero la considerazione da parte di una comunità definita, topograficamente circoscrivibile e, se possibile, socialmente rilevante. Non è facile, però, a dispetto di ogni dietrologia semplicistica, immaginare Mozart definitivamente radicato in Salisburgo, nell’improbabile caso in cui i suoi rapporti con l’arcivescovo Colloredo fossero stati sereni. Wolfgang fu educato a pensare in maniera internazionale, oggi diremmo europea se non addirittura globale, e sin dall’infanzia viveva nella piena coscienza della pluralità dei gusti, delle opinioni, degli usi e delle identità nazionali. Per questa ragione, in una spinta incontenibile verso la libertà creativa (qualcosa di pressoché ignoto ai musicisti che lo avevano preceduto) egli aveva eletto Vienna a luogo deputato ad accogliere ed apprezzare la propria particolare genialità musicale, un gesto che però non teneva conto della sostanziale immobilità di una città non sempre volta ad ospitare il nuovo, l’inedito.
Vienna era una capitale imperiale, il centro di un impero molto esteso e piuttosto ingovernabile, un’unità territoriale che riuniva etnie e culture che convivevano solo con difficoltà. All’arrivo di Mozart la vita nella città era ottima, agiata ed improntata al lusso. L’avvento al trono di Giuseppe II era sentito dagli austriaci, ma più che altri dai viennesi, come una ventata di aria fresca grazie al programma innovatore che dichiarava in ogni occasione, un vero inno alla libertà, modulata da un assolutismo illuminato ma pur sempre libertà. Così Giuseppe II proprio al Colloredo: “Lo stato sul quale io regno dev’essere governato secondo i miei principi; pregiudizio, fanatismo, partigianeria e schiavitù dello spirito devono venire soppressi, affinché ognuno dei miei sudditi possa godere delle proprie innate libertà”. Difficile resistere ad un richiamo tanto eloquente, ma a questo punto il problema che viene a porsi è quello di conciliare l’attività di creazione artistica, per principio (moderno) libera, con l’autorità, che non è solo imperiale ma anche sociale, legata al concetto di committenza.
Le date relative al 1781 parlano chiaro: il 26 gennaio Leopold e Nannerl raggiungono Wolfgang a Monaco. Egli vi si trova dal 5 novembre 1780 per ultimare la partitura e curare la messinscena di Idomeneo, un’opera nata grazie alla commissione di Carlo Teodoro, elettore di Baviera, per uno spettacolo da rappresentarsi nella stagione teatrale di carnevale. Il librettista scelto da Mozart è l’abate Gianbattista Varesco, all’epoca poeta presso al Cappella di Corte di Salisburgo. La vicenda narrata si svolge sull’isola di Creta. Idomeneo, re dell’isola, è in mare, sulla strada del ritorno dalla guerra di Troia. Lo sorprende una tempesta e, per aver salva la vita, offre in sacrificio a Nettuno, dio del mare, la prima persona che avrà modo di incontrare allo sbarco sulle coste cretesi. E’ sfortunato: all’attracco gli viene incontro suo figlio, Idamante. Angosciato dalla promessa a Nettuno, Idomeneo decide di non sacrificargli la vita di suo figlio, e ciò scatena le ire del dio del mare, che invia su Creta un feroce mostro marino. Idamante sconfigge eroicamente il mostro ed Idomeneo svela il suo segreto. Allora Idamante si propone quale vittima sacrificale ma, nel frattempo, giunge sull’isola Ilia, figlia di Priamo, prigioniera di guerra ed innamorata di Idamante. Nettuno è commosso dalla decisione di Ilia di offrirsi quale vittima del sacrificio, ed impone ad Idomeneo di abdicare in favore del figlio, che regnerà felicemente su Creta accompagnato dall’amore di Ilia.
Il 29 gennaio va in scena l’opera presso il nuovo Teatro di corte di Monaco ed il successo è entusiasmante, almeno presso il committente. L’opera, pur basata su un soggetto indicato dallo stesso principe e supportata da un libretto piuttosto ingessato di stampo metastasiano, rivela una musica sovrabbondante di idee e freschezza. L’ouverture ne reca subito il segno: Mozart aveva a disposizione la migliore orchestra immaginabile, i famosi musicisti di Mannheim, trasferiti a Monaco all’uopo grazie al munifico elettore bavarese. La scrittura sinfonica è quella di un Mozart che ancora non si era rivelato, virtuosistica, complessa a livello di scelte timbriche, agile nella giustapposizione degli “affetti” e delle aree emozionali che supportano la forma dell’ouverture. Nonostante l’alto valore dei cantanti che Carlo Teodoro aveva scritturato per la produzione, è proprio l’orchestra la protagonista dell’opera, una sorta di personaggio esterno al quale sono destinati alcuni momenti focali nei quali le voci non cantano. Ne sono un esempio i cinque numeri di cui è costituita la musica da ballo, inserita nell’ultima scena del I atto, tra l’ingresso delle truppe cretesi dopo la tempesta (un numero tutto strumentale) e la grandiosa Ciaccona corale che conclude l’atto. Di questa musica possediamo ogni dettaglio, dalla partitura (che beneficia di un numero dedicato all’interno del catalogo Köchel), ai nomi dei ballerini e note estese sulla coreografia che vi era stata creata.
L’elettore Carlo era soddisfatto, Mozart lo era ancor di più anche se si era sentito sottopagato (non lasciò la partitura al teatro ma la recò con sé alla partenza da Monaco). Wolfgang, Leopold e Nannerl visitano Augsburg dal 7 al 10 marzo, il 12 l’arcivescovo Colloredo ordina a Wolfgang di recarsi a Vienna, mentre il 14 padre e figlia tornano a Salisburgo. Il 16 marzo Mozart arriva a Vienna ed il 1° maggio, dopo alcune peregrinazioni, si insedia in casa Weber. Il 9 ha luogo l’ultimo incontro a Salisburgo con Colloredo, ed il giorno successivo rassegna le proprie dimissioni, accolte dal conte Arco l’8 giugno con un famoso “calcio” nel sedere. Mozart è ormai definitivamente viennese.
Ciò che colse Mozart al principio di questa sua nuova vita fu una vera frenesia, la sua agenda traboccava di impegni: lezioni private (anche se non le amava particolarmente, ma era sempre ben lieto di scrivere qualche pezzettino ad uso dello scolaro), esibizioni pubbliche e private, partecipava ad ogni evento mondano che comprendesse o meno la musica, cercando sempre di essere al posto giusto nel momento giusto, scriveva in ogni momento, spesso sottraendo ore al sonno. La vita di un individuo che vuole inserirsi, che cerca di capire rapidamente quali sono le strade per ottenere visibilità, mirando sempre in alto, la corte di Giuseppe II, ma non tralasciando mai la base, gli aristocratici di cui Vienna pullulava. Mozart condusse questa vita fino alla sua scomparsa, e l’anno 1784 ne è un saggio: compone la Gran Partita per fiati, sei concerti per pianoforte e orchestra, musica da camera oggi molto famosa, inizia a redarre un catalogo delle proprie composizioni, si trasferisce in un appartamento nel cuore di Vienna, nasce il suo secondo figlio (il primo era sopravvissuto solo due mesi!), il 14 dicembre è iniziato alla loggia massonica di Vienna, mentre Leopold lo sarà quattro mesi più tardi. Sotto ogni aspetto, anche quello economico, si tratta di una vita di successo, di certo guardata con sospetto dalla quasi totalità di musicisti allora attivi ed ancora alle dipendenze, in primis Antonio Salieri.
Il Concerto per pianoforte K.466, eseguito per la prima volta l’11 febbraio 1785, ben si inserisce in questo contesto. Mozart, però è un artista in senso moderno: non si accontenta di una formula vincente, osa e presenta al pubblico qualcosa di nuovo, un brano dove il solista si confronta con un’orchestra che presenta una personalità di spessore, non uno sfondo che amplifichi il pianoforte bensì un nuovo personaggio in scena, non diversamente dalla logica sinfonica dell’Idomeneo, pur con tutte le differenze di genere. Anche le tinte emozionali mutano: Mozart opta per una tonalità che lo avvicina allo stile galante, ma che egli proietta in un senso diremmo “preromantico”. Non a caso questo brano fu per molto tempo l’immagine più comune del pianismo di Mozart nei decenni successivi, e cavallo di battaglia di ogni pianista dell’Ottocento.
La partitura fu approntata in tempi brevissimi, per noi inconcepibili, l’esecuzione non beneficiò di prove poiché i copisti stesero le parti orchestrali al mattino stesso del giorno dell’Accademia ma al tempo stesso il concerto fu un grande successo, al quale presenziò anche Leopold, in visita a Vienna da Monaco. Possiamo immaginare lo stato d’animo di Mozart. Anche negli esperimenti il “suo” pubblico lo seguiva, mostrando fiducia e apertura mentale, ma Vienna è una città fatua, accusata dalle altre capitali europee di una mollezza pericolosa, e non può accettare di ospitare un genio senza criticarlo dopo tanti successi.
Il Don Giovanni, opera in due atti rappresentata il 29 ottobre 1787 presso il Teatro Nazionale di Praga, lo stesso ente che l’aveva commissionata dopo il travolgente successo dell’esecuzione delle Nozze di Figaro nella stessa sede pochi mesi prima, è una testimonianza del mutamento dei gusti viennesi, così come della maturità insostenibile che aveva raggiunto Mozart in anni di professione instancabile. Il successo di Praga, pari a quello delle Nozze se non maggiore, fu solo sbiaditamente ripetuto l’anno successivo a Vienna. Le repliche del 1788 furono quindici, è vero, ma il fatto che l’opera scomparve dai cartelloni teatrali della città è più eloquente di ogni calcolo. L’opera tornò a Vienna solo nel 1798, e sappiamo che la sua fortuna da quel momento non cessò mai di brillare. “Troppo forte per i nostri viennesi” fu il giudizio dell’illuminato Imperatore, ma stavolta la colpa (se mai ce n’è una nella storia dell’arte) era dalla parte del pubblico. Mozart aveva messo in scena qualcosa di crudo, rappresentava le passioni umane senza la mediazione del mito, i personaggi si avvicinavano pericolosamente al vissuto, e la probabilità che l’ascoltatore potesse trovarsi all’improvviso proiettato sul palcoscenico era troppo grande. Le ragioni si trovano nella musica, diretta senza mezzi termini e sempre alta, e nel libretto, un capolavoro di Da Ponte, che aveva saputo trasformare un intreccio interessante ed un giovane soggetto mitico, sospeso tra tragedia e commedia, in un’epica del diabolico (e sembra che Casanova fosse tra il pubblico della prima…).
L’ouverture, d’altronde, è sufficiente per rendersi conto che i toni erano cambiati, che un certo modello di opera non era più in grado di soddisfare questo tipo di soggetto teatrale. L’ouverture non “apre” l’opera, è già opera, non si preoccupa di attrarre l’attenzione della platea e dei palchi ma mira a condurre individui già attenti verso la rappresentazione di un dramma dal quale non si esce, la cui morale edificante è ridotta ad un piccolo finale che si perde nelle ombre di una scena ultima tutta dedicata alla tragedia del protagonista. Anche l’ironia, ben tratteggiata nella sezione Molto Allegro dell’ouverture, sarà calcata in modo affatto cortese durante l’opera, e lo spirito e la cavalleria di Don Giovanni non avranno la funzione di smorzare l’effetto del precipitare degli eventi, bensì quella di creare le condizioni affinché la situazione crolli sotto il peso di una convenzione sociale da tutti condivisa ma della quale è bene non parlare troppo apertamente.
Questa fu una strategia espressiva che probabilmente sfuggì di mano a Mozart durante la stesura del Don Giovanni, la sua libertà creativa non poteva non trasformarsi in una libertà interpretativa del presente, per quanto illuminato l’impero di Giuseppe II poggiasse su basi la cui debolezza sarebbe stata indicata solo successivamente durante i cambiamenti storici dell’ultimo decennio del ‘700 (Giuseppe morì proprio nel 1790). Si apre l’Ottocento viennese, quello che ospita Beethoven e che vola verso la Prima Guerra Mondiale, e nonostante tutto la vita artistica rimane densa, anche se sempre in un pericoloso equilibrio sulla sottile linea che demarca la libertà espressiva dalla rivoluzione.
Carlo De Martini
Direttore d’Orchestra
E’ oggi considerato uno dei più accreditati interpreti italiani del periodo classico. Violinista di formazione milanese e salisburghese (scuola di Sandor Végh), è approdato alla direzione attraverso la lunga attività di concertazione dell’Orchestra da camera “Il Quartettone”, fondata a Milano nell’87, e gli inviti ricevuti da orchestre come I Pomeriggi Musicali, le Stabili di Como e Bergamo, Milano Classica, l’Orchestra di Padova e del Veneto, l’Orchestra di San Marino, la Filarmonia Veneta. Come direttore del Quartettone e violinista nel quartetto Le Ricordanze, fondato nel 1990, ha registrato numerosi cd dedicati a Bartok, Boccherini, Cambini, Mozart e compositrici lombarde, in collaborazione con Mario Brunello e Giuliano Carmignola. Ha collaborato a lungo con L’As.Li.Co., dirigendo tra il 1997 e il 1999 tre allestimenti per Opera Domani, progetto per le scuole, e le opere di Mozart Flauto Magico, Clemenza di Tito e Idomeneo nel Circuito Lirico Lombardo tra il 1999 e il 2003. Studioso della prassi strumentale antica, ha collaborato con Laura Alvini e Roberto Gini, con il gruppo Aglaia (incisione de L’Arte della fuga e Concerti per violino di Bach) e con Harmonices Mundi (incisione di Concerti di Albinoni, dell’Oratorio S. Giovanni Battista di Stradella e delle Lamentazioni del profeta Geremia di Zelenka); si dedica attualmente alla nuova orchestra stabile classica Accademia Litta. con strumenti originali, con cui è stato realizzato nel 2003 l’allestimento di Idomeneo, prima esperienza del genere in Italia. E’ stato invitato in molte edizioni degli Open Chamber Music, incontri di musica da camera, fondati da Sandor Vègh in Cornovaglia, ed è attualmente membro del Comitato artistico del Festival der Zukunft di Ernen, Svizzera tedesca, ideato nel 1987 da Gyorgy Sebok. Dal 1981 De Martini è insegnante di violino, ed esercitazioni orchestrali presso la “Accademia Internazionale della Musica” di Milano. Da diversi anni tiene Campus e corsi estivi di formazione orchestrale a Lanciano e a Fontecchio.
Il Cast
Direttore: Carlo De Martini