Le date
VII – Viaggio con Mozart:A Parigi, in cerca di sfortuna
Giovedì 23 marzo, ore 21, Teatro Dal Verme
Sabato 25 marzo, ore 17 Teatro Dal Verme
Direttore:
Antonello Manacorda
Flauto:
Chiara Tonelli
Soprano:
Valeria Esposito
Lettore:
Nicola Orofino
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Niccolò Vito Piccinni
(Bari, 16 gennaio 1728 – Passy, Parigi, 7 maggio 1800)
Roland, ouverture dall’opera
Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo, 27 gennaio 1756 – Vienna, 5 dicembre 1791)
Concerto per flauto e orchestra in re maggiore K.314
Allegro aperto
Adagio non troppo
Rondò (Allegretto)
Wolfgang Amadeus Mozart
Recitativo ed Aria per soprano e orchestra “Non so donde viene” K.294
(testo di Pietro Metastasio)
Alcandro, lo confesso,
stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,
la voce di costui nel cor mi desta
un palpito improvviso,
che lo risente in ogni fibra il sangue.
Fra tutti i miei pensieri
la cagion ne ricerco, e non la trovo
Che sarà, giusti Dei, questo ch’io provo?
Non so donde viene
quel tenero affetto,
quel moto, che ignoto
mi nasce nel petto;
quel gel, che le vene
scorrendo mi va.
Nel seno a destarmi
sì fieri contrasti
non parmi che basti
la sola pietà.
Wolfgang Amadeus Mozart
Recitativo ed Aria per soprano e orchestra “Io non chiedo eterni Dei” K.316
(testo di Ranieri de’ Calzabigi)
Popoli di Tessaglia!
Ah, mai più giusto fu il vostro pianto.
A voi non men che a questi innocenti fanciulli
Admeto è padre.
Io perdo l’amanto sposo, e voi l’amato re;
La nostra sola speranza,
Il nostro amor c’invola questo fato crudel.
Non so che prima in sì grave sciagura a compianger
M’appigli del regno, di me stessa, o de’ miei figli.
La pietà degli Dei sola ci resta a implorare, a ottener.
Vedrò compagna alle vostre preghiere,
Ai vostri sacrifizi;
Avanti all’ara una misera madre,
Due bambini infelici,
Tutto un popolo in pianto presenterò così.
Forse con questo spettacolo funesto,
In cui dolente gli affetti,
I voti suoi dichiara un regno,
Placato alfin sarà del ciel lo sdegno.
Io non chiedo, eterni Dei,
Tutto il ciel per me sereno,
Ma il duol consoli almeno
Qualche raggio di pietà.
Non comprende i mali miei,
Né il terror, che m’empie il petto,
Chi di moglie il vivo affetto,
Chi di madre il cor non ha.
Christoph W. Gluck
(Erasbach, Palatinato bavarese, 2 luglio 1714 – Vienna, 15 novembre 1787)
Armide, ouverture dal «drame héroïque»
Wolfgang Amadeus Mozart
Sinfonia n.31 in Re maggiore K.297 «Pariser»
Il Concerto
note di sala a cura di Andrea Dicht
Le musiche che oggi informano il programma del concerto ci permettono di analizzare da vicino il concetto di viaggio e di esportazione dell’arte, un problema focale interno alla biografia di Mozart e necessario per una più ampia comprensione della sua parabola artistica. Il concetto moderno di artista è nella mentalità comune associato all’idea del viaggio, anzi, uno dei segni del successo di un musicista è legato proprio alla frequenza dei suoi spostamenti più che dal successo locale che egli può conseguire. Nel Settecento, seppure con difficoltà ben diverse da quelle odierne, i musicisti viaggiavano già molto, e gli italiani in questo campo erano ai primi posti: italiani erano alla corte di Vienna, di Pietroburgo, ad Amsterdam e a Parigi, in luoghi di prestigio e in posizioni di alto rilievo, musicisti e compositori, scenografi e cantanti. Il gusto italiano, sia nella composizione che nel canto o nella tecnica strumentale, era un linguaggio codificato e ricercato, un’espressione nazionale oggetto di studio e di imitazione, spesso sincretisticamente abbinata ad altri gusti nazionali locali.
Sappiamo che Mozart viaggiò sin dalla sua primissima infanzia, sempre accompagnato dal padre o da tutta la sua famiglia; egli fu oggetto di esposizione e ciò gli valse una fama che lo precedette in ogni viaggio successivo, ma gli permise anche una conoscenza diretta dei linguaggi musicali e delle estetiche delle sovranità che visitò. Grazie alla sua straordinaria capacità di assorbimento e metabolizzazione di queste informazioni lo stile di Mozart, così come risulta dalle analisi della moderna musicologia, è tanto personale e unico quanto nutrito di stimoli e suggerimenti “europei”.
Il 1778, l’anno che accomuna le musiche oggi in programma, fu quello di un viaggio “speciale” di Mozart, un giro della Francia da adulto, da ventiduenne, in compagnia della madre (che perderà proprio durante il soggiorno parigino) anziché del padre, un viaggio “pratico” alla ricerca di lavoro e di gloria concreta, riconoscimenti fatti di commissioni e denaro più che di ammirazione. Viaggiare significa però anche entrare in un sistema autoreferenziale, in un mondo di relazioni e di equilibri complesso e non sempre aperto al nuovo, in particolare allo straniero. La vita musicale parigina della seconda metà del Settecento vide come protagonista una famosa querelle, uno scontro di estetiche del dramma musicale che si rifacevano appunto ai gusti nazionali, nella fattispecie quello francese e quello italiano.
Niccolò Piccinni, barese ma campione importante dell’opera napoletana, era giunto a Parigi nel 1776 su sollecitazione di Domenico Caracciolo, ambasciatore napoletano nella stessa città. Caracciolo, a sua volta, agiva in conseguenza del crescente fervore di alcuni intellettuali francesi, di ispirazione classicista, che non vedevano di buon occhio la riformata estetica dell’opera proposta da Christoph W. Gluck. Quest’ultimo era giunto a Parigi nel 1773 sotto la protezione di Maria Antonietta, all’epoca moglie del Delfino, dopo la fortunata collaborazione con Ranieri de’ Calzabigi a Vienna che vide l’attuazione di una vera e propria riforma dell’opera seria. Grazie a queste credenziali Gluck aveva tutte le carte in regola per inserirsi autorevolemente nella querelle tra i sostenitori dell’antica opera francese ed i fautori dell’opera italiana, un’opposizione che risaliva addirittura al 1752 (la guerre des bouffons, così nota per la presenza a Parigi di una compagnia d’opera italiana che per due stagioni aveva ottenuto un eccezionale successo con la rappresentazione di opere buffe italiane). Quando Gluck scoprì che la direzione dell’Opéra aveva dato da musicare a entrambi lo stesso libretto, il Roland, un testo di Quinault tratto da un raffazzonato pasticcio di episodi dell’Orlando furioso, egli, pure ben più a suo agio del collega italiano sul terreno della polemica e dell’autopromozione, rinunciò alla commissione e distrusse gli abbozzi della partitura che aveva steso in un primo momento. Dal canto suo, Piccinni si mise subito al lavoro e, stando alla testimonianza di Caracciolo, terminò la partitura già nel giugno del 1777.
Il 27 gennaio 1778, al Grand Opéra di Parigi, andò in scena il Roland di Piccinni, e la partitura stampata recava in calce questa dedica a Maria Antonietta: “De tout les talents que Votre Majesté daigne animer de ses regards et faire fleurir autour d’Elle, aucun n’a ressenti cette favorable influence aussi vivement que le mien. Transplanté, isolé dans un pays où tout était nouveau pour moi, intimidé dans mon travail par mille difficultés réunies, j’avais besoin de tout mon courage, et mon courage m’abandonnait […]”. L’opera ebbe successo, anche se costò molte fatiche al compositore, e ad essa fecero seguito altre quattro opere francesi sempre ben accolte; non è così semplice, però, stabilire chi fu il vincitore della sfida poiché Gluck, il quale come sappiamo rinunciò all’incarico dell’Opéra, musicò un libretto da tutti considerato pericoloso: l’Armide (ancora di Quinault, tratto dall Gerusalemme liberata del Tasso e già messo in musica mirabilmente da Lully). Il drame héroïque in cinque atti di Gluck andò in scena il 23 settembre 1777, in occasione del quarto soggiorno parigino del compositore, ottenne un discreto successo (anche se ben lontano dagli onori a cui il tedesco era abituato), ed il confronto con Piccinni si ebbe solo nel tempo, con le Ifigenie che entrambi composero a tre anni di distanza e che ottennero un uguale ma buona accoglienza. Gluck, seccatissimo per l’insuccesso di “Écho et Narcisse”, il suo canto del cigno, nell’ottobre 1779 lasciò per sempre Parigi scotendo la polvere dei calzari, e da Vienna inviava di tanto in tanto lettere piene di corruccio senile, atteggiandosi a genio sconfitto ed offeso.
Questo è uno spaccato della vita musicale parigina che si presentò a Mozart, e sappiamo che il mondo dell’opera era quello a cui egli si sentiva più vicino. Prima di giungere nella capitale francese, Wolfgang passò per Mannheim e fu lì che il 9 dicembre 1777 il flautista Johann Baptist Wendling, virtuoso della famosa orchestra locale, assicurò al giovane Wolfgang una succosa commissione (su incarico del ricco olandese Ferdinand Dejean, curiosamente chiamato “l’indiano”): per 200 gulden doveva comporre “tre brevi e semplici concerti e un paio di quartetti per il flauto”. Oltre a questa già ragguardevole mole di lavoro, a Mozart era stato chiesto di comporre quattro o sei duetti per pianoforte ed una nuova grande Messa. Fiducioso come sempre delle proprie capacità, il tempo e la necessaria concentrazione vennero però a mancare, non ultimo a causa delle insistenti attenzioni del giovane verso Aloysia Weber, una giovane cantante colà conosciuta. Trovandosi impreparato alla consegna di tutto il materiale per il quale si era impegnato, Mozart ricorse (come aveva e avrebbe fatto più volte nella sua carriera) a qualche brano composto in precedenza. In questo caso chiese a Leopold, rimasto eccezionalmente a Salisburgo per i suoi impegni di corte, di inviargli un concerto per oboe che aveva composto nella primavera o estate dello stesso anno. Trasporlo per il flauto non fu un lavoro difficile, e addirittura non sappiamo se questo fu svolto dallo stesso Mozart o da qualche copista incaricato. Non possediamo il manoscritto autografo del concerto per flauto, abbiamo quello della versione originale per oboe, sulla quale Mozart appose qualche correzione. Non è improbabile che il lavoro possa essere stato effettuato dallo stesso padre di Aloysia, Friedolin Weber, un musicista di scarso valore che arrotondava i propri guadagni con l’attività di suggeritore e copista. Nonostante ogni sforzo di simulazione, la leggenda narra che Dejean, conoscendo bene il concerto per oboe (composto per Giuseppe Ferlendis, uno dei primi virtuosi di questo strumento), avesse corrisposto a Mozart la metà del denaro pattuito per l’incarico.
Nel frattempo la bella e promettente Aloysia era entrata in profondità nei pensieri di Wolfgang, il quale arrivò a comunicare a Leopold la propria intenzione di mettere da parte il proposito di partire per Parigi. Egli era dell’idea di intraprendere con Aloysia un viaggio in Italia in cerca di fortuna, disegno che Leopold recisamente rifiutò intimandogli una pronta partenza per la Francia, in compagnia di sua madre. La storia con Aloysia ebbe una brusca interruzione, che favorì l’allacciamento di una relazione tra sua sorella Constanze e Wolfgang, sfociata poi in un matrimonio, ma a questa prima passione dobbiamo la creazione delle due arie da concerto oggi eseguite.
L’aria K.294 “Alcandro lo confesso –Non so donde viene” è la prima che Mozart compose per la bella voce della Weber, redatta in forma definitiva il 24 febbraio 1778 in Mannheim, su testo tratto dall’Olimpiade di Pietro Metastasio. L’aria in realtà era già stata destinata al tenore A. Raaf ma Mozart la riscrisse “espressamente per la bella e pura voce di Mademoiselle Weber”, e fu così eseguita in casa di Cannabich, il creatore dell’orchestra di Mannheim, il 12 marzo, due giorni prima della partenza di Wolfgang alla volta di Parigi, passando per Metz e Clermont. È curioso notare che quest’aria sarà di nuovo riadattata per il basso Ludwig Fischer nel marzo 1787.
Delle 34 arie per voce di soprano che Mozart compose per voce di soprano e orchestra, ben 6 furono composte espressamente per Aloysia, e a giudicare dalle partiture bisogna ammettere che Mozart doveva davvero ammirare la sua voce, al di là di ogni considerazione di ordine sentimentale (Aloysia fu inoltre Madame Herz nella prima di Der Schauspieldirektor K.486, e Donna Anna nella prima viennese del Don Giovanni). Al suo passaggio a Monaco sulla via del ritorno da Parigi Mozart incontrò di nuovo la fanciulla, la quale però non fece mistero del proprio disinteresse nei confronti del giovane compositore. Nonostante la cocente delusione Wolfgang decise di terminare comunque l’aria K.316 “Popoli di Tessaglia – Io non chiedo, eterni Dei”, dallo stesso Mozart considerata la propria migliore aria per soprano, e ancora oggi una delle favorite tra le virtuose della voce. Strumentata con una netta preminenza delle parti di oboe e fagotto, l’aria si impone per la quantità di sfumature che richiede alla voce, sempre tese a sottolineare i dettagli del bel testo di Ranieri de’ Calzabigi (tratto dalla tragedia Alceste che Gluck aveva già musicato), unitamente all’acceso virtuosismo che anima la sezione finale. Da una lettera di Wolfgang del 30 luglio 1778 da Parigi ad Aloysia (in italiano!): “Adeβo spero che ben Presto saranno stampate le mie Sonate [per violino e pianoforte, K.301-306] e con quella occasione avrà anche il Popolo di Tessaglia, ch’è già mezzo Terminato – se lei ne sarà contenta – come lo son io – potrò chiamarmi felice; intanto, sinché avrò la soddisfazione di sapere lei steβa l’incontro che avrà avuta questa scena apreβo di lei s’intende, perché siccome l’ho fatta solamente per lei – così non desidero altra Lode che la sua; intanto dunque non poβo dir altro, che, Trà le mie composizioni di questo genere – devo confeβare che questa scena è la megliore ch’hò fatto in vita mia […]”. Queste parole non mossero l’animo di Aloysia, la quale si trasferì a Vienna nel 1779, dove ottenne un buon contratto per cantare in una compagnia tedesca d’opera. Sposò nel 1781 l’attore Joseph Lange, dal quale si separò nel 1795. Intraprese un giro di concerti con sua sorella Constanze, anch’ella cantante anche se di valore assai inferiore, appena questa rimase vedova di Wolfgang, e si ritirò dalle scene diventando una didatta molto richiesta in Vienna fino al 1831. In quell’anno si trasferì a Salisburgo, dove vivevano le sue sorelle, ma morì in povertà nel 1839.
Una delle pagine più importanti create da Mozart per il pubblico di Parigi fu la Sinfonia K.297, detta appunto “Parigina”. Composta nel breve periodo 1° maggio – 12 giugno 1778, essa nascesotto il segno della disillusione dovuta al sostanziale insuccesso del soggiorno francese. Parigi non aveva abbracciato Mozart, ma neanche lui l’aveva accolta dentro di sé. La nobiltà lo ammira ma non ne nasce nulla; egli scrive in quei giorni: “Suono e li sento esclamare Oh, c’est un prodige, c’est inconceivable, c’est etonnant! e poi è adieu”. Il duca di Guines gli commissiona un concerto per flauto e arpa (K.299), e poi si prende quattro mesi per pagarglielo. Lo stesso duca gli chiede 24 lezioni per sua figlia e poi gliene vuole riconoscere solo 12.
A Parigi risiedeva un’importante orchestra, quella della Società dei Concert Spirituels, una compagine nata sull’esempio dei bravi Mannheimer che Mozart ben conosceva, ed il suo impresario Joseph Le Gros non si lasciò sfuggire l’occasione della visita di Wolfgang per commissionargli una sinfonia degna di tanta orchestra. In realtà lo stesso impresario aveva già chiesto e ottenuto da Mozart una Sinfonia concertante per quattro fiati (K.297b), l’aveva pagata regolarmente ma aveva “dimenticato” di farla pubblicare per il concerto, così come d’accordo. Seppur riluttante, Mozart accettò la nuova richiesta e così nacque la Parigina. Non è la migliore sinfonia di Mozart, non è il Mozart che siamo abituati a riconoscere in ogni inciso, ma non per negligenza o disinteresse del compositore: Mozart dovette cedere a precise richieste del committente in termini di forma del brano e caratteristiche tecniche della strumentazione in grado di far brillare in maniera propria l’orchestra di virtuosi. Mozart, come s’è detto, era in grado di imitare qualunque stile, ma un buon esercizio può essere quello di scovare la sua personalità anche laddove le difficoltà espressive rendono il lavoro più complesso. La sinfonia, ad esempio, si apre con una figurazione che vede tutta l’orchestra all’unisono, il cosiddetto “premiere coup d’archet”, volto alla ricerca di attenzione da parte del pubblico, qualcosa di non diverso dai tuonanti accordi che aprono molte sinfonie d’opera anche ottocentesche. Il discorso musicale è tutto volto a mostrare il valore delle singole sezioni strumentali, e la commissione era così attenta al risultato finale che Mozart dovette sostituire il movimento lento che aveva composto con uno più breve e meno “modulante” poiché quello originale era troppo complesso e causava un calo di attenzione nell’uditorio. Nonostante tutto Le Gros ammise che la sinfonia di Mozart era la migliore che fosse stata composta per la sua orchestra.
Con questo concerto si conclude il viaggio che abbiamo intrapreso nella biografia e nell’opera di Mozart, un percorso che ci ha mostrato molti lati del suo mutevole carattere, le mille difficoltà in cui dovette dibattersi per ottenere visibilità, i mille problemi di ordine quotidiano e spirituale che seppe affrontare con il suo carattere così sensibile. Mozart fu un uomo dalle molte contraddizioni, ma probabilmente egli avrebbe preferito essere ricordato come un animo gaio e spensierato piuttosto che tormentato, come molta letteratura ama tramandarcelo. Mozart piangeva miseria anche quando i suoi conti erano floridi, affittò un appartamento costosissimo in pieno centro a Vienna quando le sue finanze erano irrimediabilmente dissestate; lavorò fino allo sfinimento in compagnia di Constanze che doveva parlargli affinché lui non si addormentasse, seppe anche essere inadempiente quando la commissione gli si mostrava irriverente. Aveva coscienza di sé, di ciò che portava dentro, e condivise il suo mondo interiore attraverso le sue creazioni. È un luogo comune affermare che le grandi personalità creatrici sono immortali, ma è anche difficile separarsi da questo pensiero quando la sua musica è in grado di perpetuare in noi un trasporto emozionale che, una volta conosciuto, diventa irrinunciabile.
Il Cast
Direttore: Antonello Manacorda