Le date
Venerdì 22 aprile, ore 19.30
Chiesa di San Bartolomeo di Bergamo
Sabato 23 aprile, ore 17
Teatro Dal Verme di Milano
Martedì 26 aprile, ore 21
Teatro G. Pasta di Saronno
Mercoledì 27 aprile, ore 21
Teatro Fraschini di Pavia
Giovedì 28 aprile, ore 21
Teatro Dal Verme di Milano
Direttore e violino:
Massimo Quarta
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart
Concerto per violino e orchestra in Re maggiore K 218
Allegro
Andante cantabile
Rondeau. Andante grazioso
Allegro ma non troppo
Concerto per violino e orchestra in La maggiore K 219
Allegro aperto
Adagio
Rondeau.Tempo di Menuetto
Adagio per violino e orchestra in Mi maggiore K 261
Rondò per violino e orchestra in Do maggiore K 373
Allegretto grazioso
Il Concerto:
a cura di Alice Bertolini
Salisburgo 1775. Mozart ha 19 anni quando scrive, nel giro di pochi mesi, i concerti per violino e orchestra, cinque in tutto. Quelli rubricati come K 218 e 219 sono gli ultimi, completati tra ottobre e dicembre, e testimoniano la grande padronanza della scrittura specifica dello strumento: del resto il musicista può contare sulla supervisione di un maestro d’eccezione, il padre Leopold, del quale ancora oggi si ricorda il celebre Versuch, tradotto in italiano come Saggio di un metodo approfondito per violino. Ma osservando in ordine cronologico queste partiture è evidente come più in generale il giovane Mozart affini in breve tempo la scrittura concertistica, rendendo via via meno convenzionale e più suggestivo il dialogo tra il solista e l’orchestra. Se nei primi due concerti, il K 207 e 211, sono ancora molto evidenti i modelli barocchi, Vivaldi e Tartini in testa, nei lavori successivi emerge con prepotenza la personalità del compositore che mira, e spesso assurge, alle vette di espressività caratteristiche delle prove concertistiche più mature, quelle dedicate a corno e clarinetto, successive di un decennio. Oggi gli ultimi due concerti per violino sono tra i più eseguiti e vengono considerati un banco di prova per il solista: non tanto per le difficoltà in senso strettamente tecnico, quanto per la mutevolezza espressiva della parte violinistica, che alterna senza sosta temi plastici di sapore squisitamente classicista a slanci lirici, ma anche a ritmi incalzanti, inserti giocosi e perfino caricaturali.
L’irrequietudine della scrittura mozartiana si manifesta fin dal primo movimento, Allegro, del Concerto in Re maggiore: il sipario si apre con un incipit marziale ritagliato sui suoni della triade di tonica (re, fa diesis, la), poi la scena è animata da un’infinità di idee tematiche, ora scherzose ora più energiche, che trascorrono l’una nell’altra senza soluzione di continuità. L’afflato lirico caratterizza invece il secondo tempo, Andante cantabile, dove il violino è protagonista assoluto con una melodia struggente che prosegue ininterrotta sino alle ultime battute. Il conclusivo Rondeau alterna un ritornello in tempo Andante grazioso a una serie di episodi di brillante virtuosismo. Tra questi una briosa danza, una sorta di musette, che spiega il soprannome attribuito all’intero lavoro da parte del padre Leopold: “Strassburger Konzert”. Si tratta di un ballo in voga nella società austriaca dell’epoca, descritto così nei ricordi di una viaggiatrice, Caroline Pichler, tra gli anni Settanta e Ottanta del Settecento: “Mentre nella grande sala si formano i gruppi di danzatori, al centro di questo circolo alcune coppie ballano lo ‘Strassburger’, che consiste in graziosi intrecciamenti delle braccia e leggiadri movimenti del corpo”. La suggestione esercitata su Mozart dal repertorio popolare è testimoniata dalla presenza di una melodia simile nel Rondeau del Concerto per violino K 216, immediatamente precedente a questo, tanto che oggi il nomignolo “Strassburger” viene attribuito a entrambi i lavori.
Nel dicembre del 1775 si conclude la parabola dei concerti violinistici di Mozart con un brano che segna ormai un netto distacco dalla tradizione. Per ampiezza e freschezza inventiva il K 219 rappresenta un vertice assoluto nella produzione del musicista. Qui il violino viene messo in luce in tutte le sue possibilità tecniche ed espressive, facendo presagire l’aura di divismo che avvolgerà il re degli strumenti ad arco nella musica da camera dell’Ottocento. Non meno impegnativa la parte orchestrale, che si distingue per la scrittura densa e continuamente cangiante, degna di una pagina sinfonica. L’architettura complessa e la ricchezza tematica caratterizzano già il primo movimento, Allegro aperto. La particolarità più evidente è l’ingresso del solista con un inaspettato Adagio. Il tono è quello delle cosiddette “cadenze”, le sezioni solistiche, improvvisate o scritte, che però tradizionalmente si trovano in coda a ciascun movimento. Posto invece in apertura del brano, il libero eloquio del solista appare enigmatico, una sorta di premessa all’esordio vero e proprio, che avviene poche misure dopo, con l’esposizione violinistica dell’esuberante tema principale già presentato dall’orchestra. L’Adagio successivo fa leva ancora una volta sulla cantabilità del violino solista, ricreando un’atmosfera di raccolta malinconia. La struttura è, come per il primo movimento, quella della forma-sonata, ma le articolazioni interne (esposizione, sviluppo, ripresa) sono mascherate e lo slancio lirico sembra dipanarsi lungo un arco formale ininterrotto di grande suggestione. Anche in quest’ultimo concerto il movimento più popolare è il Rondeau nel quale Mozart declina da suo pari l’eco delle “turcherie” tanto di moda all’epoca. Lo farà anche nel celebre finale “Alla turca” della Sonata per pianoforte K 331 e con grande dispiego nel Ratto dal Serraglio. In questo movimento l’inserto orientaleggiante figura tra gli episodi che si interpongono tra un ritornello e l’altro. Occupa ampio spazio al centro del brano ed è tratto da un balletto abbozzato, ma rimasto incompiuto, tre anni prima per il Lucio Silla. Tra irregolarità fraseologiche, cromatismi, intervalli esotici ed effetti percussivi che evocano le esibizioni delle bande di giannizzeri, l’effetto pittoresco è notevole ed è valso al concerto il soprannome di “Türkisch”.
“Troppo studiato”. Così sentenziò Antonio Brunetti a proposito dell’Adagio del K 219. Il musicista napoletano era Primo violino di corte a Salisburgo, destinatario privilegiato di questi concerti mozartiani. Difficile attribuire le sue perplessità alle difficoltà tecniche del brano, che nemmeno all’epoca dovevano apparire insormontabili. Più probabilmente era la complessità espressiva, tesa e raccolta, ad apparire poco congeniale a Brunetti che peraltro aveva chiesto al compositore di riscrivere anche il finale del primo Concerto, il K 207. Ancora una volta Mozart accontenta il violinista sostituendo, nel 1776, l’Adagio originale del quinto Concerto con l’Adagio K 261: una pagina dall’espressività più immediata e vicina al gusto dominante nei salotti di Salisburgo. Tra le sue particolarità, il suggestivo effetto timbrico ottenuto sostituendo gli oboi con i flauti e facendo suonare i violini dell’orchestra con la sordina.
Ad Antonio Brunetti è dedicato anche il Rondò per violino e orchestra K 373, che viene scritto nel 1781 su pressante invito dell’arcivescovo di Salisburgo Hieronymus Colloredo, un protettore che Mozart trova sempre più soffocante. Il rapporto tra il compositore e il potente prelato austriaco è ormai incrinato, come racconta lo stesso Amadeus in una lettera di quel periodo: “L’Arcivescovo per due volte mi ha ripetuto le più dure insolenze e io non ho aperto bocca, non solo, ma ho suonato con lo stesso zelo e con la stessa diligenza come se non fosse accaduto nulla (…). Bene, se non mi vuole più è proprio questo che desidero”. La frattura è ormai insanabile, ma nella musica non c’è traccia dell’uragano incombente. Perfettamente inquadrato nella mondanità di una serata aristocratica, il Rondò alterna ritornelli ed episodi obbedendo al copione imposto dal gusto dell’epoca. Aggraziato e seducente come le “feste galanti” delle tele di Watteau.