Wolfgang Amadeus Mozart - Messa in Do minore K.427 - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 30 ottobre 2003
Ore: 21:00
sabato 01 novembre 2003
Ore: 17:00

Sala Grande del Teatro Dal Verme
Giovedì 30 ottobre, ore 21
Sabato 1 novembre, ore 17

Direttore:
Aldo Ceccato
Maestro del Coro:
Marco Berrini
Soprano:
Zara Dimitrova
Mezzosoprano:
Luisa Brioli
Tenore:
Vincenzo Di Donato
Basso:
Fulvio Bettini
Coro:
Coro ArsCantica
Orchestra:
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Programma:
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Messa in Do minore K.427
I – Kyrie (Andante moderato)
II – Gloria
Gloria in excelsis Deo (Allegro vivace)
Laudamus te (Allegro aperto)
Gratias agimus tibi (Adagio)
Domine Deus (Allegro moderato)
Qui tollis peccata mundi (Largo)
Quoniam tu solus Sanctus (Allegro)
Jesu Christe (Adagio)
Cum Sancto Spiritu
III – Credo
Credo in unum Deum (Allegro maestoso)
Et incarnatus est (Andante)
IV – Sanctus (Largo)
V – Benedictus (Allegro comodo)

Il Concerto:
a cura di Andrea Dicht
La storia della genesi della Messa in Do minore di Mozart è assai complessa, molto studiata dagli esperti sin dall’epoca della morte del compositore, e paradigmatica di un certo “nuovo” modo di lavorare di Mozart, in particolare per le forti connessioni biografiche che la accompagnano.

Di certo, all’interno della produzione sacra di Mozart, quest’opera, insieme al Requiem, occupa una posizione di rilievo e, nonostante la variabilità dei giudizi musicologici che l’hanno accompagnata, ha sempre goduto di un particolare favore nelle sale da concerto e nelle chiese. A differenza, però, delle altre messe di Mozart, quest’ultima (anche in senso cronologico) è quella che meno si presta ad un utilizzo liturgico, per via dell’uso singolare che il compositore fece del testo ordinario della Messa tradizionale. L’ordinarium Missae, cioè il testo base della Messa che funge da scheletro per ogni sua variante locale e di calendario liturgico, è composto da sei sezioni: Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedictus e Agnus Dei. Mozart adottò il testo prescritto ma lo suddivise in sottosezioni più articolate, mettendo così in luce aspetti meno noti dei versi e conferendo una maggiore dinamicità artistica alla forma compositiva sacra più tradizionale. E’ così che nasce questa Messa, un lavoro che contempera in sé la novità di una scrittura vocale quasi operistica ed una gestione corale invece più attenta ai modelli del passato. Non è un caso che frequentemente la Messa in do minore di Mozart venga accostata alle grandi Messe di Bach e di Beethoven, così come molti hanno rilevato una parentela tra i doppi cori della Passione secondo Matteo di Bach ed i due numeri ad otto voci della Messa di Mozart.

Quando il salisburghese si accinse alla composizione di questo brano non aveva alcuna necessità particolare di occuparsi di musica sacra. Ormai lontano dai doveri di fornitura musicale ed esecuzione per l’arcivescovo della sua città natale, risiedeva a Vienna e stava lentamente costruendo la sua carriera di compositore e ancor più di pianista virtuoso. La sua produzione era per lo più strumentale o vocale profana, e fresco di matrimonio qual era, Mozart era più che mai impegnato nella costituzione di una base economica che garantisse una certa serenità alla sua nuova famiglia. Konstanze Weber era diventata la sua sposa dopo vicissitudini sociali piuttosto spiacevoli, ma Mozart l’aveva desiderata fermamente ed il matrimonio, agli occhi di tutti un evento dovuto più che auspicato, aveva bisogno di essere dimostrato genuino nelle intenzioni per essere accettato dalla comunità viennese ed in particolare da Leopold, il rigido padre di Mozart. Mozart aveva sposato Konstanze in fretta, senza presentarla alla sua famiglia di origine e senza l’assenso (a quei tempi più che mai necessario) di suo padre, peggiorando i già difficili rapporti tra padre e figlio. Mozart decise di intraprendere un viaggio verso Salisburgo per introdurre la sua sposa in famiglia e, anticipandosi per lettera, annunciò la composizione di una grande Messa come compimento di un “voto promesso col cuore”. In effetti, Mozart recò con sé a Salisburgo alcune parti della Messa che ascolteremo stasera e la storia narra che essa venne eseguita, seppur incompiuta, a Salisburgo durante la celebrazione solenne del 25 agosto 1783, con la giovane Konstanze nel ruolo di primo soprano solista. E’ molto probabile che il fine ultimo di Mozart fosse quello di recuperare agli occhi di Leopold un’immagine seria e timorata di Dio più che la produzione di una nuova Messa, dopo che già più volte e con successo si era cimentato in questa forma.

E’ un dato di fatto che, una volta delusa ogni speranza di un sereno ripristino dei rapporti con Leopold e la sorella Nannerl, Mozart non tornò mai più a Salisburgo. Entrava nella fase matura della propria vita, diventava uomo e smetteva gli abiti, comodi ma ormai insostenibili, del fanciullo prodigio. Era, però, pur sempre un artista in fase di evoluzione, e a tutti gli effetti la Messa in Do minore è il risultato dell’incontro tra Mozart e la produzione (a quel tempo non ancora sentita come tradizione) dei grandi maestri del contrappunto come Bach e Haendel. Nella primavera del 1782 Mozart era stato invitato, come esecutore, nella ristretta e privilegiata cerchia delle frequentazioni del barone Van Swieten, figlio del medico olandese di Maria Teresa d’Austria. Uomo dell’Illuminismo, noto per la sua grande cultura e sensibilità musicale, egli permise a Mozart di conoscere molte opere di compositori barocchi di area sassone; Van Swieten a proprie spese permetteva che ne venissero eseguite le musiche e Mozart poté così accostarsi a lavori che oggi sono di dominio comune ma che ai suoi tempi erano considerati musica fuori moda, non solo correnti estetiche serie e severe ma musiche passate, non più interessanti!

Curiosamente, fu proprio Konstanze Mozart, cantante della quale non rimangono testimonianze , a spingere il marito a prendere in seria considerazione il contrappunto. Non ne conosciamo le ragioni (tanto più che Konstanze non era nota per una cultura musicale particolarmente approfondita), ma sembra che sovente spingesse Wolfgang a comporre fughe perché a suo parere consistevano nella “somma dell’arte musicale”. In questo senso la Messa K.427 è esemplare: la condotta delle voci corali è complessa e obbedisce a severissime leggi del contrappunto e, nonostante la raffinatezza dei brani vocali solistici, il coro si pone in quest’opera come vero protagonista, esprimendo gli enunciati più significativi e costituendo episodi sontuosi di grandi dimensioni. Non minore importanza riveste il fatto che in più di un brano il coro si esprime attraverso una scrittura assai complessa a cinque ed anche a otto parti divise, una moltitudine di voci che rende l’intreccio delle parti intricato e ancor più coinvolgente.

La serietà dell’impianto complessivo della Messa appare sin dalle primissime battute dell’opera. Gli archi, sostenuti dall’organo, intonano un primo inciso dal carattere affatto solenne, piuttosto intimo nell’espressione e sommesso nei toni. Sembra una confessione, una richiesta di pietà che nasce da un cuore e sale sino a raggiungere il coro, che la conduce ancora più in alto recandole una grande risonanza ed un significato extra personale. L’orchestra è ora chiamata tutta a sostenere la richiesta di pietà: è un complesso strumentale ampio, con due fagotti, due oboi, due corni, due trombe, tre tromboni (tra i fiati mancano solo i clarinetti), i timpani e gli archi. Così come nel successivo Requiem, è un soprano solista a cui viene affidata la sezione centrale del Kyrie, ed in questo caso sarà la voce femminile ad implorare misericordia a Cristo. L’atmosfera è tornata intima, e l’espressione è di nuovo personale, una sorta di dialogo diretto con la divinità, un’implorazione che ben si sposa con le intenzioni di Mozart nei confronti di un’autorità, quella paterna, da lui vissuta con un timore ben simile a quello dell’uomo verso Dio. In tutta la Messa la parte vocale femminile (due soprani dalle caratteristiche vocali simili, o un soprano ed un mezzosoprano) è di grande virtuosismo. Non è però una scrittura sfavillante o brillante: si tratta piuttosto di una vocalità complessa, molto ampia per quanto riguarda l’estensione della voce, con note molto gravi ma anche acuti da dominare con agio, uno spettro di suoni che consente intervalli difficili da coprire con scioltezza e che forse vogliono rappresentare lo sforzo per un avvicinamento tra l’alto e il basso, il vile ed il sacro, ciò che è stato da ciò che forse sarà.

Il testo del Gloria è invece suddiviso in otto sezioni molto diverse tra loro così come è variegato il loro contenuto letterario. Questa seconda parte dell’ordo Missae si apre con un’ambientazione gioiosa che contrasta in maniera evidente con quanto l’ha preceduta. Squilli di ottoni introducono una scrittura corale fortemente imitativa che ben testimonia lo stile arcaico che Mozart frequentava in quel periodo. Lo sfarzo che esprime la gloria del Signore si spegne quando è la pace sulla Terra ad essere implorata; è ancora il coro ad esprimerla, ma i modi diventano più controllati e pensosi, meno espliciti. Il brano Laudamus te è invece la prima grande aria per il soprano I solista, accompagnato dagli archi e da oboi e fagotti. Se non ci fosse un testo sacro sembrerebbe senza dubbio un’aria d’opera, un brano anche questo di grande virtuosismo caratterizzato da quella scrittura quasi strumentale che spesso Mozart impresse alle parti vocali delle sue eroine e che ne rese lo stile davvero inimitabile. Scale, arpeggi ed abbellimenti vi abbondano, rendendo la parte piuttosto impervia e, se pensiamo che fu scritta appositamente per la voce di Konstanze, ne dobbiamo dedurre che le sue doti vocali non dovevano essere poi così cattive, al di là di ogni pettegolezzo storico o significativo silenzio. Certo, l’argomento diventa scabroso se si considera che l’artista di casa Weber era Aloysia, la sorella di Konstanze, di cui Mozart era stato innamorato ma che dalla quale era sempre stato rifiutato. E’ un dato storico che Aloysia divenne una cantante molto apprezzata (ed è altrettanto verificato che Mozart disponesse una certa inclinazione ad innamorarsi delle cantanti di talento).

Col brano successivo torna il coro, sostenuto da un ritmo puntato alla francese che ricorda da vicino certi stili nazionali o affetti che caratterizzarono la produzione barocca. Il coro si divide in cinque voci attraverso lo sdoppiamento della sezione dei soprani e l’armonia, già complessa per via di una conduzione cromatica di grande effetto, diventa ardita ed imprevedibile, forma anche questa di virtuosismo, tutt’altro che esteriore. Il Domine Deus è invece un’aria per i due soprani solisti con l’accompagnamento dei soli archi. Ad di là dei numeri corali, è forse in questo brano in cui il sapore arcaico che tanto affascinava Mozart prende il sopravvento. Non è difficile immaginare quanto questa musica possa aver “disturbato” il pubblico della sua epoca, per il tipo di armonie e per un basso che sembra proprio “continuo”. Ci troviamo in un’area stilistica che richiama sì la musica sacra del secolo precedente, ma anche certe arie di quell’opera napoletana che aveva trionfato in tutta Europa ma che si riteneva definitivamente superata. Le soliste procedono per imitazione, in un gioco di incroci delle parti e secondo una conduzione armonica regolare che mette in evidenza una sorta di gara tra le voci delicatamente accompagnata dai violini.

Il Qui tollis è forse il brano più toccante dell’intera Messa. Adesso il coro si sdoppia letteralmente dando luogo a due cori distinti che cantano in maniera responsoriale (cioè “rispondendosi”) o uniti ma con parti separate. L’orchestra è coinvolta nella sua integrità anche se sono gli archi ad imprimerle l’impulso più importante: il basso è l’indizio antico, con il suo procedere per piccoli intervalli cromatici discendenti a creare l’armonia di una passacaglia, mossa da un ritmo assai poco celestiale, bensì molto terreno nella supplica di un perdono dei peccati dell’uomo. Violini e viole procedono per grandi intervalli, in un’agitazione che cozza contro le armonie distese ma implacabili dei fiati, sulle quali si modellano le parti del coro. Sono due mondi accostati l’uno all’altro, uno attivo pur nella vanità degli sforzi terreni, un altro ben sicuro ed irremovibile, che abbraccia e comprende il primo in una sorta di onniscienza divina. Questo universo misericordioso tace però quando, nel piano dei soli archi, l’uomo supplica la divinità in maniera diretta (miserere nobis), solo brevi incisi che ricordano la dimensione intima che è sottesa ad ogni magniloquenza. Il brano, il più ampio nelle dimensioni in questa Messa, si conclude con un’unione dei due mondi, in un discorso musicale che conduce verso il silenzio la supplica dell’uomo, un’assenza di parole dove i fiati, per una sola battuta e all’estrema conclusione, pronunciano i ritmi dei terreni archi in una comunione spirituale che testimonia la capacità di comprensione del Dio tanto temuto.

Al Qui tollis segue il Quoniam, che vede l’ingresso del tenore solista. Affiancato dalle due voci femminili sarà protagonista di un’aria a tre con l’accompagnamento degli archi e di oboi e fagotti. Anche in questo caso il modello sembra essere quello antico, e l’imitazione regna sovrana, in particolare tra i solisti. Diventa difficile decidere quale di essi predomini e conduca il discorso musicale generale: essi appaiono posti su un piano identico, e le evoluzioni alle quali sono sottoposti sono le stesse, in particolare lunghe teorie di note basate sulla lettera a della parola sanctus. Lo Jesu Christe funge solo da introduzione al brano successivo, Cum Sancto Spiritu, che conclude la parte più estesa della Messa, il Gloria. Si tratta di una grande fuga (ben 190 battute), affidata al coro e all’orchestra intera e basata su un soggetto molto semplice ma molto efficace ai fini della costruzione complessiva del brano. Le fughe di Bach e di Haendel si ritrovano qui richiamate in ordine alla pulizia della condotta delle parti e della forma generale, in una fuga modellata chiaramente su quel canone stabilito da Bach e sul quale tuttora si formano le scuole di contrappunto moderne. Siamo nell’ambito della più grande perizia compositiva, si tratta di combinare la regola e la libera fantasia, e Mozart in questa sfida trova il materiale per dimostrare il suo genio. Anche se il linguaggio formale è antico e scolastico, il contenuto musicale è mozartiano e moderno sotto ogni aspetto. Non è più, però, il caso di parlare di spontaneità creativa, un concetto troppo spesso abusato in Mozart. Possediamo oggi vari appunti manoscritti di Mozart dove il soggetto di questa fuga viene sottoposto ad elaborazioni che ne estraggano ogni possibilità di utilizzo. In questo senso va letta l’ultima e più grande conquista nella formazione di questa personalità musicale: l’assorbimento degli insegnamenti antichi. Mozart fu notoriamente assai incline verso ogni moda musicale che ebbe modo di conoscere, in particolare durante i suoi viaggi giovanili per l’Europa. In questo senso fu veramente un uomo del suo tempo, consapevole di ciò che piaceva al pubblico (necessità prima di ogni creatore libero) ed altrettanto cosciente del messaggio interiore che voleva esprimere. L’accostamento ai grandi maestri del passato gli permise di compiere quel balzo in avanti che conferì ulteriore vita alla sua musica, legandolo così alla storia e trasportandolo ai giorni nostri nell’immagine che tutti conosciamo.

Con il Credo entriamo nel cuore del più grande problema musicologico che questa Messa da sempre presenta: la sua incompiutezza. E’ certo che già dalla sua prima esecuzione essa fu presentata in maniera incompleta, ed è altrettanto sicuro che Mozart non volle più porvi mano negli anni a venire, così come non compose più Messe ad eccezione del Requiem K.626. In realtà ciò che ascoltiamo oggi, dal Credo in poi, è parzialmente dovuto alla mano di Mozart. Per uno strano scherzo del destino, dei pochi documenti che ci sono pervenuti alcuni rimangono incompleti perché la carta da musica di cui Mozart poteva disporre per scrivere conteneva al massimo dodici pentagrammi e quest’opera, per via dei cori doppi e dei molti fiati, dovette essere stesa a volte su fogli separati i quali, a quanto pare, presero vie diverse. In questo modo, a volte risulta chiara la scrittura delle voci e degli archi e rimane lacunosa quella dei fiati, a volte il contrario. Per quanto riguarda poi le parti staccate che furono utilizzate a Salisburgo nel 1783, di esse ne sono giunte a noi solo quattro. Una fonte di informazioni molto significativa per ricostruire le parti mancanti consiste nella cantata “Davidde penitente”, un oratorio composto nel 1785 su commissione della Società dei Concerti di Vienna, da eseguirsi nella Quaresima successiva nell’ambito di una serata in beneficenza a favore delle “Vedove dei Musicisti”. Mozart, piuttosto disinteressato alla richiesta, pensò bene di adattare gran parte delle musiche scritte per la Messa in do minore, sottoponendo alle parti vocali un testo che, forse, fu approntato addirittura da Lorenzo da Ponte. Proviamo ad immaginare la linea del coro, all’inizio, quando intona la parola Kyrie, e invece nella cantata pronuncia “Alzai le flebili voci”. Oggi tutto questo ci sembra incredibile, ma nel Settecento nella musica vi era un elemento artigianale molto evidente, peraltro affatto dissimile dalla quantità di rimaneggiamenti a cui Bach sottopose le sue musiche e quelle di altri, che mai si ripeterà nella storia della musica.

La seconda parte del Credo, l‘Incarnatus est, è l’ultima bellissima aria per il soprano solista, della più grande difficoltà tecnica e di grande effetto per via del particolare rilievo impresso da Mozart all’oboe, al flauto e al fagotto solisti, veri e propri strumenti concertanti secondo quello stile “misto” tipico della musica austriaca sacra di quell’epoca. L’aria, pur senza perdere una certa tenerezza tipica del miglior Mozart, pone su uno stesso livello la voce ed i fiati, uniformandone lo stile musicale e collocando così la voce in un contesto competitivo nella quale può esprimere tutte le potenzialità di cui è dotata. Le difficoltà vocali sono le più varie, sia in senso tecnico che nel tipo di espressione che viene richiesto. Culmine di questo cimento è una vera e propria cadenza solistica destinata alla voce (vocalizzo) e ai fiati.

Più ci avviamo verso la conclusione della partitura, più essa deve la sua ricostruzione al lavoro degli esperti. Nel caso del Sanctus, un Largo introduttivo del coro a otto voci, il problema diventa evidente, e lo è ancor di più nel successivo Hosanna in excelsis, una nuova grande fuga dalla complessità contrappuntistica davvero strabiliante. Il coro è di nuovo doppio e l’ordito delle parti diventa inestricabile, al punto che solo un’attenta analisi della partitura può svelarne i segreti. Quel che colpisce all’ascolto è che una moltitudine di voci si sovrappone nel cantare le lodi a Dio, una folla che ha bisogno di esprimersi, e diventa difficoltoso rintracciare l’origine del canto tanto è repentino e poco prevedibile l’avvicendamento delle entrate. Forse in questa fuga più che in ogni altro movimento corale di questa Messa si evince la profondità degli studi di Mozart e la completezza della sua preparazione nel campo della condotta polifonica. Il Benedictus conclude l’opera con due sezioni congiunte delle quali l’ultima è una ripresa della fuga dell’Hosanna appena ascoltato. Esso si apre con l’unico quartetto dei solisti e che vede finalmente l’ingresso del basso. Classificare i numeri solistici di questa Messa in una graduatoria estetica è un’operazione solo personale; è però chiaro che sia un vero peccato che si tratti dell’unico quartetto dell’opera. Lo stile è il più puro Mozart e la chiarezza delle singole voci è raggiunta con un’eleganza inedita. Chissà, forse Mozart avrebbe aggiunto altri brani per i solisti come questo se avesse deciso di completare il lavoro. Non lo sapremo mai, a meno che fonti ignote vengano alla luce, ma sembra proprio difficile che si possa scoprire molto di più su quest’opera incompiuta.

Mozart fu forse il primo compositore nel senso romantico del termine. E’ nota la sua capacità straordinaria di comporre in redazione definitiva, senza correzioni, creando partiture che non creano nessun problema di lettura. Sappiamo che scelse la strada di una più o meno libera professione, e che si trovò invece alle dipendenze di un pubblico i cui gusti erano variabili tanto quanto le persone che lo componevano. Spesso si parla di un’urgenza creativa esistenziale che forse in Mozart potrebbe spiegare la chiarezza e la definizione con cui stendeva i suoi lavori. E’ anche vero, però, che molti sono gli abbozzi che lasciò incompiuti, i lavori che cominciò e che poi mise in disparte. La Messa in do minore è uno di questi e forse fu un altro tipo di urgenza che lo costrinse a lavorare e a mettere insieme ciò che oggi possiamo ascoltare; ma qui entriamo nel campo della fantasia e la storia ha poco a che fare con essa. La musica è misteriosa, e Mozart fu un musicista molto misterioso. L’unico dato certo che possediamo e che è certamente inconfutabile riguarda l’incredibile ricchezza della sua ispirazione ed una naturalezza creativa non più raggiunte da ogni altro compositore.

Testi:
I – Kyrie
Kyrie eleison.
Christe eleison.
Kyrie eleison.

II – Gloria
Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
Laudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te.
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.
Domine Deus, Rex coelestis, Deus, Pater omnipotens.
Domine Fili unigenite , Jesu Christe.
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.
Qui tollis peccata mundi, miserere nobis.
Qui tollis peccata mundi, suscipe deprecationem nostram.
Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.
Quoniam tu solus sanctus, tu solus Dominus, tu solus altissimus.
Jesu Christe, cum Sanctu Spiritu in gloria Dei Patri.
Amen.

III – Credo
Credo in unum Deum, Patrem omnipotentem, factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium.
Credo: Et in unum Dominum Jesum Christum,
Filium Dei unigenitum et ex Patre natum ante omnia saecula.
Deum de Deo, lumen de lumine, Deum vero de Deo vero, genitum, non factum, consubstantialem Patri per quem omnia facta sunt.
Credo: Qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis.
Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, et homo factus est.

IV – Sanctus
Sanctus, sanctus, sanctus,
Domine Deus Sabaoth.
Pleni sunt coeli et terra gloria tua.
Osanna in excelsis.

V – Benedictus
Benedictus, qui venit in nomine Domini.
Osanna in excelsi

Biografie:
Zara Dimitrova – Soprano
Nata a Plovdiv (Bulgaria) dall’età di sei anni studia pianoforte. Dal 1984 al 1989 canta nel “Coro di voci bianche della Radio e TV Nazionale bulgara”.
Dal 1989 al 1992 è solista del coro “Giovanile di musica ortodossa” e membro del “Trio di musica classica”. All’età di 18 anni vince il premio speciale per la miglior interpretazione al Festival internazionale di musica ortodossa a Hainowka (Polonia).
Studia nella classe di canto della Prof.sa Irena Brumbarova come soprano lirico di coloritura.
Seguono il diploma con il massimo dei voti e il perfezionamento.
Dal 1996 studia canto al conservatorio “G.Verdi” di Milano con Ferrante e si diploma nel 2001.
Vince la borsa di studio “S.Dragoni” a Milano e diversi concorsi di canto.
Ha debuttato al Teatro d’opera di Burgas (Bulgaria) nel ruolo di Gilda del “Rigoletto” di G.Verdi. E’ nel cast di “Henzel e Gretel” di E. Humperdink nel ruolo di Sandman; Oscar in “Ballo in maschera”, di Verdi, Smaraida in “La donna con il capello d’oro” di G.Kostov.
Svolge un’intensa attività solistica. Tiene concerti per la società dei Concerticon l’orchestra “MilanoClassica” di Milano per la fondazione “San Nicolao della Flue”, per le stagioni concertistiche di Monza, e partecipa al festival di Kufstein (Austria) e si esibisce nei maggiori teatri italiani.

Laura Brioli
Nata a Rimini, studia a Roma con il soprano Liliana Pacinotti , è laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne all’Università di Urbino.
Nell’Agosto `96 frequenta l‘Accademia Rossiniana a Pesaro preparando il ruolo di Angelina ne „La Cenerentola” sotto la direzione del M. Alberto Zedda. Debutta nel Novembre dello stesso anno ne „Le Nozze di Figaro”(Cherubino) a Sassari e inizia la carriera operistica cantando in molti teatri italiani ed europei, tra cui Maddalena nel „Rigoletto” all‘Opernhaus di Zurigo (1997), Angelina ne „La Cenerentola” a Strasburgo, Mulhouse e Colmar, Rosina ne „Il Barbiere di Siviglia” a Pisa, Livorno, Lucca , Mantova e Ravenna (1998), Lola in „Cavalleria Rusticana” al Teatro della Maestranza di Siviglia, Charlotte nel „Werther” al Regio di Parma, La Verde in “Parisina” di Mascagni a Le Corum di Montpellier (1999), Lilla in “Gina” di Cilea a Cosenza (2000).

Nel 2000 debutta al Maggio Musicale Fiorentino diretta dal M. Mehta ne “La Traviata” (Flora), collaborazione che continuerà con la Tournée in Giappone e “Il Trovatore” (Ines) nel 2001. In Luglio é impegnata nella “Norma” (Adalgisa) a Vicenza, ne “La Resurrezione” di Alfano (Anna) al Festival di Radio France di Montpellier e nell’ esecuzione integrale dei “Motteti” di Vivaldi con L’Orchestra Barocca di Venezia, dir. Andrea Marcon (Avignone). Nell’ottobre 2001 ha debuttato con successo il ruolo della Principessa Eboli nel “Don Carlo” a Pisa, Lucca e Livorno, Rovigo e Brescia, “Gina” di Cilea (Lilla) al Teatro dell’Opera di Roma (Novembre), “Le Nozze di Teti e Peleo” di Rossini a Lisbona diretta dal M. Claudio Scimone (Novembre), “L’Olimpiade” di Cimarosa alla Fenice (teatro Malibran) di Venezia. Nel Marzo 2002 canta “Stabat Mater” di Rossini, “Nabucco” (Fenena) a Cesena, “La Cenerentola” diretta dal M° Zedda a Helsinki, “Don Carlos” (Eboli) alla Deutsche Oper am Rhein, Dusseldorf. In Agosto debutta al prestigioso Rossini Opera Festival nel ruolo della Baronessa Aspasia ne “La Pietra del paragone” per la regia di Pierluigi Pizzi. Nel Marzo 2003 debutta il ruolo di Carmen al Teatro Nazionale dell’Opera di Sofia e il mese successivo interpreta lo stesso ruolo al Teatro Verdi di Salerno sotto la direzione del M° Yoram David.
Tra i prossimi impegni, “Il Trovatore” (Ines) e “Rigoletto” (Maddalena) Teatro Comunale di Firenze, “Cavalleria Rusticana” al Teatro Verdi di Salerno, “La Pietra del paragone” (Aspasia) all’Opera di Montecarlo.
Dal 1997 collabora con continuità con I Solisti Veneti diretti dal M° Claudio Sciamone, con i quali ha eseguito “Stabat Mater” di Pergolesi, “Gloria” e “Juditha Thriumphans” di Vivaldi, “Le Nozze di Teti e Peleo” di Rossini, “La Passione di Cristo” di Perosi, “The Messiah” di Haendel, “L’Oratorio di S. Antonio” di Durante, “Il Pimpinone” di Albinoni.

Vincenzo Di Donato
Conseguiti i diplomi in organo con la guida di Tamminga, musica corale con Delillo e di canto con G. Colafelice, matura numerose esperienze come direttore di coro con un repertorio che spazia dalla musica rinascimentale ai cori d’opera.
Attualmente svolge attività soprattutto come tenore, perfezionandosi nello studio del canto con il sop. Luisa Vannini.
Collabora con numerosi ensembles italiani prediligendo il repertorio rinascimentale, barocco e oratoriale, ma spingendosi anche su repertori romantici quali Stabat Mater di Dvorjak e Requiem di G.Verdi.
Si è esibito in numerosi paesi europei, in prestigiosi Festivals e Teatri maturando la propria esperienza con direttori quali S. Vartolo, A. Curtis, P. Maag, A. Florio, R.Gini, F.Bressan, A.L.King, A.Orizio, P.Neumann, P.A.Valade, R.Alessandrini.
Dopo aver interpretato personaggi secondari in opere di Provenzale e di F. Caccini, ha debuttato nel ruolo di Orfeo dell’Euridice di J. Peri, eseguita nel teatro del castello di Budapest e diretta da F. Pirona e nel ruolo di Vertumno ne “La Daunia felice” di Paisiello; inoltre ha inciso interpretando il personaggio di Thelebo nell’opera ‘Amor es todo invencion’ di G. Facco diretto da A. Cetrangolo, e ancora interpretando il personaggio del Conte Bellezza nell’intermezzo ‘Le donne vendicate’ di N. Piccinni inciso per la RSI (Radio Svizzera Italiana) diretto da D. Fasolis , inoltre sotto la direzione di E.Velardi è nei panni di Polidarte nella registrazione del “Giustino” di A.Vivaldi.
Ha partecipato a registrazioni Rai e ha registrato per numerose case discografiche tra cui Stradivarius, Opus 111, Tactus, Bongiovanni, Dynamic, Symphonia , Naxos.Ha partecipato a produzioni corali dell’Accademia di S.Cecilia in Roma e regolarmente alle produzioni corali della RSI con la guida di Diego Fasolis.
Sotto la direzione di R. Gini e la regia di R. Castellucci ha partecipato allo spettacolo “Il Combattimento” della compagnia teatrale “Societas Raffaello Sanzio” rappresentato nelle maggiori capitali europee.
Ha preso parte alla prima esecuzione dell’opera Alex Langer eseguita al teatro di Bolzano con la regia di Yoshi Oida.
Dirige l’ensemble TEMPLUM MUSICAE con il quale ha già prodotto una incisione discografica con musiche di Salvatore Sacco.

Fulvio Bettini
Nato a Gorgonzola (Milano) nel 1967, inizia gli studi musicali con Giorgio Bredolo, sotto la cui guida canta dapprima come voce bianca di soprano e successivamente come baritono solista. Corsi al Pontificio Istituto di Musica di Milano, seminari in Olanda e Germania di musica antica e liederistica, una solida preparazione pianistica e studi di canto sotto la guida di Margareth Hayward al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano completano poi la sua formazione musicale.
Le cantate di Bach, comprese le cantate solistiche Ich habe genug (BWV 82) e Ich will den Kreuzstab gerne tragen (BWV 56) sono presenze costanti nella sua carriera, come le opere di altri compositori del ‘600 e ‘700 quali Monteverdi, Carissimi, Vivaldi, Telemann e Draghi; di quest’ultimo autore ha registrato l’Oratorio del Sepolcro La Vita nella Morte con l’Ensemble Baroque de Limoges sotto la direzione di Christophe Coin.
Interprete monteverdiano, si è esibito nel ruolo di Apollo nell’Orfeo al Piccolo Teatro Studio di Milano con l’ensemble “Il Giardino Armonico”, a Londra (registrazione della BBC) e al Teatro del Liceu di Barcellona sotto la direzione di Jordi Savall. Ha eseguito più volte Il Combattimento di Tancredi e Clorinda nel ruolo di Tancredi (a Berlino, Parigi, Innsbruck e al Festival di Lucerna), mentre nel 1999 ha cantato il ruolo del testo con “Il Giardino Armonico” al Festival Barocco di Melk e al Karajan Centrum di Vienna.
Nello stesso anno ha debuttato, sotto la direzione di Giovanni Antonini, nel ruolo protagonista di Orfeo al Festival Styriarte di Graz, ruolo che ha poi successivamente revestito per la direzione di Jordi Savall al Teatro Real di Madrid. Fra le sue più importanti esecuzioni nel repertorio lirico-sinfonico ricordiamo la prima rappresentazione assoluta italiana dell’opera Satyagraha di Glass al Teatro Smeraldo di Milano (ruolo di Arjuna), Il Canzoniere di Wolf-Ferrari con Antonio Ballista, il ciclo Don Quichotte a Dulcinée di Ravel con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano e Nuits d’Eté a Pausilippe di Donizetti al Teatro Donizetti di Bergamo. Numerose sono le sue incisioni, tra cui per la RTSI di Lugano Die Ruinen von Athen di Beethoven, Lelio di Berlioz e Walpurgisnacht di Mendelssohn, per la Bongiovanni un CD di Quartetti vocali da camera di Rossini, per la RAI l’oratorio moderno di P. Molino La Pretesa Umana e di Galuppi Il Mondo alla Riversa (Premio Fondazione Cini 2002) edito dalla Chandos.
Sulla scena ha interpretato poi il ruolo di Pennybank Billy nella Ascesa e caduta della città di Mahagonny di Weill sotto la regia di Virginio Puecher, quello di Simon in Lazarus di Schubert per l’As.Li.Co, e infine quello di Allazim in Zaide.
Nel giugno 1998 ha preso parte al Festival di Salisburgo con l’oratorio di F.B. Conti Il Martirio di San Lorenzo. Recentemente è stato ospite del Festival Bach di Schaffhausen, del Festival di Schwetzingen e del Festival Barocco di Arolsen, del Festival di Halle e del Festival Internazionale di Musica Antica di Urbino con la cantata haendeliana Apollo e Dafne.
Di recente hapartecipato al Farnace di Vivaldi presso il Teatro de la Zarzuela de Madrid e a Bordeaux diretto da Jordi Savall .
Prende parte ad una tournée della Furba e lo Sciocco di Sarro in Olanda, Francia ed a Lisbona e Tokyo, con La Petite Bande.