Le date
Serie Curiosity
Mozart, Clemenza di Tito, ouverture
Beethoven Concerto n. 4 per pianoforte e orchestra
Beethoven sinfonia n.1
Biglietteria
BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla 30) € 19,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla 40) € 13,50
Balconata € 10,50
Ridotti (Giovani under 26 ; Anziani over 60; Cral ; Associazioni Culturali ; Biblioteche ; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00
Secondo Settore (Platea dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50
Balconata € 8,50
Il Cast
Direttore Umberto Benedetti Michelangeli
Pianoforte Andrea Lucchesini
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Note di sala
WOLFGANG AMADEUS MOZART (1756-1791)
ouverture da La clemenza di Tito, K 621 (1791)
5 minuti
LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770-1827)
Concerto per pianoforte e orchestra n. 4, op. 58 (1807)
Allegro moderato
Andante con moto
Rondò
32 minuti
***
Sinfonia n. 1, in do maggiore, op. 21 (1800)
Adagio molto — Allegro con brio
Andante cantabile con moto
Minuetto
Adagio — Allegro molto e vivace
28 minuti
A CURA DI LIVIO GIULIANO*
La clemenza di Tito era stata pensata per celebrare l’incoronazione di Leopoldo I, nuovo re di Boemia, il 6 settembre del 1791. Il vecchio soggetto metastasiano, già musicato da Caldara, Gluck e Hasse, avrebbe funzionato come prima garanzia di successo, il nome di Mozart come seconda. Al tempo il compositore era oberato di lavoro – stava già lavorando alla Messa da requiem (K 626) e al Flauto magico (K 620) e sarebbe morto tre mesi dopo lasciando la prima incompiuta – e il librettista che riadattò l’originale di Metastasio, Caterino Mazzolà, non era forse tanto a suo agio con l’opera seria. Certamente, un uditore di oggi non giudicherebbe questo lavoro una «porcheria tedesca», come fece la moglie di Leopoldo I, Maria Luisa di Borbone, ma i precedenti di Tito, cui inevitabilmente si faceva il confronto, erano i capolavori della trilogia su libretto di Da Ponte e ciò non volse a favore della coppia Mozart-Mazzolà: l’Ottocento non fu clemente verso l’ultima opera italiana del maestro e, a eccezione degli appassionati del genere e degli esperti – che comunque mal tolleravano Metastasio – Tito venne ignorato. Il fatto che poi Wagner, tra le opere del 1791, predilesse Il flauto magico, contribuì non di poco alla sua sventura.
Tuttavia, si sa, nel Settecento l’ouverture del melodramma fa opera a parte: ultimo pezzo a essere composto (talvolta a ridosso della prima), era utile ad attrarre l’attenzione del pubblico e a annunziare energicamente l’inizio dello spettacolo. Un ruolo, insomma, che quest’ouverture sa ben ricoprire. Il primo motivo, una melodia cantabile, è enunciato dai violini e si allarga in un crescendo che coinvolge l’intera orchestra. Una pausa precede il secondo tema che vede protagonisti i fiati. Lo sviluppo accenna al disegno melodico iniziale, fino alla sua completa enunciazione alla fine del pezzo. Il pubblico è ormai coinvolto dall’energico richiamo del maestro: lo spettacolo sta per iniziare.
Bibliografia
John A. Rice, W.A. Mozart: La clemenza di Tito, Cambridge University Press, Cambridge, 1991;
Solomon Maynard, Mozart, Mondadori, Milano, 2006;
Manfred H. Schmid, Le opere teatrali di Mozart, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
Discografia
1967, Vienna State Opera Orchestra, dir. István Kertész, Decca;
1976, Royal Opera House Orchestra, dir. Colin Davis, Philips Classics;
1978, Sächsische Staatskapelle Dresden, dir. Karl Böhm, Deutsche Grammophon;
1988, Vienna Philharmonic Orchestra, dir. Riccardo Muti, EMI;
1990, English Baroque Soloists, dir. John Eliot Gardiner, Deutsche Grammophon;
1993, Zurich Opera Orchestra and Chorus, dir. Nikolaus Harnoncourt, Warner Classics.
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Forse a causa di amori impossibili, del rapporto tempestoso col padre alcolizzato o dello sconforto per la propria posizione sociale non proprio elevatissima, sembra che Ludwig van Beethoven reagisse alle circostanze a lui scomode o sgradevoli con un’irruenza tale che Luigi Cherubini l’appellò «rozzo orso» e Goethe descrisse la sua personalità come «assolutamente indomabile». Eppure, considerando la sua adesione all’ideologia illuminista della rivoluzione, il rapporto ambivalente con l’autorità di Napoleone (Beethoven cancellerà la dedica all’imperatore nella Terza sinfonia) e l’affetto incostante nei confronti dei suoi mecenati aristocratici, piace immaginare che la sua «villania» fosse streben titanico, slancio romantico del genio tedesco tormentato dal conflitto tra ragion di stato e aspirazioni personali, tra finito e infinito. Tuttavia, piace anche pensare che un uomo si faccia espressione della sua epoca tanto quanto la sua opera sia espressione di se stesso. L’impeto vulcanico della musica di Beethoven è certamente analogo alla passione travolgente di un Werther o al sentimento del sublime così come lo si avverte nella pittura di Friedrich, ma le dimensioni universali che essa ha assunto in più di due secoli nascondono sotto le interpretazioni storiche di indiscutibile valore degli elementi d’intimità che ridurrebbero le proporzioni della sua opera a dei perimetri più umani, segni di una persona più che di un’idea, e forse per questo anche più attraenti.
Nel marzo 1807 vennero presentate in forma privata al palazzo del principe Lobkowitz, oltre alla Quarta sinfonia (op. 60), l’ouverture del Coriolano (op. 62) per la pièce di Heinrich von Collin e il Quarto concerto per pianoforte e orchestra, per il quale egli stesso fu il solista. Dall’anno precedente Beethoven non riceveva più il suo vitalizio e iniziò a manifestare preoccupazione per la propria situazione finanziaria. Oramai noto in tutta Vienna, fece richiesta all’Imperial Regio Teatro di Corte (fra i cui promotori erano lo stesso Lobkowitz e il principe Esterházy, protettore di Haydn) di ottenere un cospicuo reddito fisso con l’impegno di comporre un’opera all’anno. Forte dell’apprezzamento acquisito presso il pubblico internazionale, minacciò di abbandonare Vienna.
Considerato il rischio di un vuoto sentimentale – risale al 1806 l’ultimo amore non corrisposto per Josephine Brunsvik – ma soprattutto economico (ben più pericoloso), l’impeto del compositore si manifestò nel modo più “eroico” possibile, quello che i viennesi stavano imparando a amare in lui e sul quale era bene continuare ad investire.
Il disagio condusse Beethoven a dare veste musicale tragica, titanica, alla storia di Coriolano, condottiero romano ostile alla patria e suicida. Non sembra eccessivo riscontrare l’immedesimazione romantica dell’autore nel contrasto tra Coriolano (l’artista eroe) e le autorità (i principi prepotenti): a Beethoven, d’altronde, piaceva recitare il dramma della propria vita e l’eccesso dei toni patetici nel linguaggio epistolare parrebbe dimostrarlo.
La conclusione dell’ouverture nega un anelito di speranza, quel lieto fine che assume veste teatrale nel sauvetage del Fidelio, quella serenità che, invece, è propria delle prime battute del Quarto concerto. Nelle novità di questo concerto solistico si riconosce l’intento del maestro di palesare la cifra della propria eccezionalità alla nobiltà viennese: nel primo movimento, l’Allegro moderato, il motivo principale in tonalità d’impianto è affidato al pianoforte e si esaurisce in una serie d’accordi che disegnano una melodia, semplice ma efficace, nell’ambito ristretto di un’ottava. Essa è ribattuta dagli archi e consegnata, infine e solo in quel frangente, all’intera orchestra; qui s’inserisce il secondo tema, il cui carattere decisamente più ritmico è messo in ombra dalla supremazia della parte solista, meno incatenata ad una scansione regolare. Il virtuosismo pianistico sottolinea la componente timbrica e abbatte la rigidità strutturale determinata dall’alternanza dei temi: è il momento di Beethoven per ribadire ai notabili della scena culturale viennese tutte le sue capacità di compositore e strumentista.
L’elemento drammatico e il forte contrasto dominano l’Andante con moto. Ad alimentare gli studi su questo secondo movimento è stata l’associazione, probabilmente voluta dallo stesso compositore, con il mito di Orfeo che placa le Furie dell’Ade (il tema austero in fortissimo) col suo canto (il molto cantabile del solista). Beethoven, anche in questo movimento, stupisce il suo pubblico con alcune novità: la forma non segue uno schema preesistente e la timbrica del pianoforte è evoluta dall’uso del pedale “una corda”, di recente invenzione, che smorza la dinamica e addolcisce il canto orfico.
L’ultima battuta dell’Andante conduce direttamente al terzo movimento, un rondò esuberante, caratterizzato dai suoi motivi a ritmo di danza, che chiude il concerto nell’unisono energico e avvincente di solista e orchestra.
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Sorprendere il proprio pubblico nel 1807, ai tempi del Quarto concerto, consentiva a Beethoven di affermare il suo genio a una società già conscia della levatura del musicista di Bonn: egli doveva vivere solo per la propria arte.
Nel 1800 la situazione era diversa: giunto a Vienna otto anni prima per studiare con Haydn, l’obiettivo di Beethoven era sedurre la città, rivaleggiare con tutti i pianisti capaci di tenere testa al suo talento e dimostrare che la sua scrittura fosse all’altezza dei suoi stessi maestri. Il 2 aprile del 1800 al Burgtheater, Beethoven presentò la sua Prima sinfonia, un concerto per pianoforte e orchestra e un settimino, eseguiti accanto a La Creazione di Haydn e ad una sinfonia di Mozart: l’accostamento doveva garantire la deduzione che Beethoven ne fosse il diretto erede. Affinché questo processo potesse compiersi, l’astro nascente doveva inserirsi nella tradizione, rimanendo fedele al carattere delle composizioni dei due maestri che lo precedevano. Eppure, non si può non ascoltare quell’incipit che attacca al di fuori della tonalità d’impianto come la firma di un giovane che, pur rendendo omaggio ai predecessori, esibiva prima di tutto la propria personalità.
L’Allegro con brio del primo tempo in forma-sonata è preceduto dall’Adagio molto (ripeterà quest’operazione in altre tre sinfonie) che costituisce un’introduzione all’esposizione dei due temi principali, dove le ombreggiature affidate ai fiati affermano per contrapposizione l’allegria generale del movimento. In questa composizione, l’importanza dei fiati cresce rispetto al passato e nel rapporto con gli archi anticipa i contrasti propri dello stile eroico successivo.
L’Andante cantabile con moto, anch’esso in forma-sonata ha un forte sapore mozartiano: il ritmo puntato domina il movimento e culla placidamente l’esposizione dei temi.
Ulteriori cifre dell’eccentricità beethoveniana sono riscontrabili nelle audaci armonie del Minuetto – sarebbe più idoneo chiamarlo Scherzo in virtù del suo ritmo vivace – e nell’Adagio che precede l’Allegro finale. Si racconta che il direttore Daniel Turk si rifiutò di eseguirlo poiché pensava che il suo andamento avrebbe provocato il riso nel pubblico: il destino punì il tracotante qualche anno più tardi, quando, agitando eccessivamente la bacchetta, fece crollare sulla sua testa i vetri di un lampadario.
Bibliografia
Roberto Grisley e Annalisa Bini, van Beethoven – Le sinfonie e i concerti per pianoforte, Skira, Milano, 2001.
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George Grove, Beethoven’s Nine Symphonies, Novello, Londra, 1884;
Fedele d’Amico, Sulle sinfonie di Beethoven, Elia, Roma, 1973.
Discografia
1957, pf. Emil Gilels, Philharmonia Orchestra, dir. Leopold Ludwig, EMI;
1964, pf. Claudio Arrau, Royal Concertgebouw Orchestra, dir. Bernard Haitink, Philips;
1976, pf. Maurizio Pollini, Wiener Philarmoniker, dir. Karl Böhm, Deutsche Grammophon;
1992, pf. Krystian Zimerman, Wiener Philharmoniker, dir. Leonard Bernstein, Deutsche Grammophon.
2003, pf. Pierre-Laurent Aimard, Chamber Orchestra of Europe, dir. Nikolaus Harnoncourt, Teldec.
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1947, New York Philharmonic, dir. Bruno Walter, Columbia;
1951, NBC Symphony Orchestra, dir. Arturo Toscanini, RCA;
1952, Wiener Philharmoniker, dir. Wilhelm Furtwängler, EMI;
1963, Berliner Philarmoniker, dir. Herbert von Karajan, Deutsche Grammophon;
1986, Wiener Philharmoniker, dir. Claudio Abbado, Deutsche Grammophon;
1999, Zurich Tonhalle Orchestra, dir. David Zinman, RCA;
2011, Leipzig Gewandhaus Orchestra, dir. Riccardo Chailly, Decca.
UMBERTO BENEDETTI MICHELANGELI
DIRETTORE
Iniziati gli studi musicali giovanissimo sotto la guida della zia, eccellente didatta e proseguitili, in seguito, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano con i Maestri Conter, Bettinelli e Gusella, si è perfezionato, infine, con Franco Ferrara.
Ha diretto i complessi di importanti Istituzioni sinfonico-cameristiche italiane e europee fra le quali l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, l’Orchestra della Toscana, l’Orchestra da Camera di Padova e del Veneto, I Pomeriggi Musicali e l’Angelicum di Milano, le Orchestre sinfoniche delle RAI di Torino, Roma, Milano e Napoli, le Orchestre dei Teatri Regio di Torino, La Fenice di Venezia, Carlo Felice di Genova, S. Carlo di Napoli, l’Orchestra dell’Accademia di S.Cecilia, la Oslo Philarmonic, la Helsinki Philharmonic, i Göteborg Symphoniker, la Kammerphilharmonie della MDR di Lipsia, l’Orchestra della SWR di Stoccarda, L’Orchestre Phylharmonique de Montecarlo, l’Orchestre d’Auvergne, l’Orchestra della Svizzera Italiana, l’Orquesta Sinfonica Ciudad de Oviedo, l’Orchestra Filarmonica Giovanile di Israele, la Budapest Festival Orchestra, la Israel Chamber Orchestra, la China National Symphony Orchestra.
Negli anni più recenti, pur mantenendo la frequentazione di più vasti ambiti, ha concentrato i propri interessi intorno al repertorio classico e francese.
Particolarmente significativo, al riguardo, il sodalizio con l’Orchestra da Camera di Mantova, complesso del quale è stato direttore principale dal 1984 al 2007, e i cui esiti artistici sono sfociati nell’attribuzione del Premio Franco Abbiati della critica musicale italiana per l’anno 1997; da sottolineare, inoltre, la collaborazione con la Camerata Academica Salzburg per una serie di concerti tenuti in occasione della Schubertiade di Feldkirch 1996.
Il triennale rapporto con la Kammerorchester Basel, in qualità di direttore ospite principale, ha costituito una significativa conferma delle sue scelte umane e musicali.
Nell’aprile 2004, in collaborazione con l’Orchestra da Camera di Mantova, ha portato a compimento il ciclo dedicato a Beethoven comprendente le sinfonie, i concerti e alcune fra le opere sinfonico-corali.
Umberto Benedetti Michelangeli e l’Orchestra da Camera di Mantova sono stati, inoltre, protagonisti del ciclo triennale 2005/2007 Mozartfest dedicato all’esecuzione integrale dell’opera sacra di Mozart.
Il debutto al Rossini Opera Festival avvenuto nel 2006, con i titoli Die Schuldigkheit des ersten Gebots di Mozart e La cambiale di matrimonio di Rossini, ha rappresentato una significativa apertura alla dimensione del teatro in musica che, da allora, l’ha visto impegnato in interessanti produzioni, ultima delle quali Die entfuhrung aus dem serail, alla Vlaamse Opera di Antwerpen.
Recentemente, la Casa editrice BMG-Ricordi ha pubblicato la sua orchestrazione delle Proses lyriques di Claude Debussy.
ANDREA LUCCHESINI
PIANOFORTE
Formatosi sotto la guida di Maria Tipo, Andrea Lucchesini si impone all’attenzione internazionale giovanissimo, con la vittoria del Concorso internazionale Dino Ciani presso il Teatro alla Scala di Milano. Suona da allora in tutto il mondo con le orchestre più prestigiose, collaborando con direttori quali Claudio Abbado, Semyon Bychkov, Roberto Abbado, Riccardo Chailly, Dennis Russell Davies, Charles Dutoit, Daniele Gatti, Gabriele Ferro, Gianluigi Gelmetti, Daniel Harding, Vladimir Jurowski, Gianandrea Noseda e Giuseppe Sinopoli.
La sua ampia attività lo vede proporre programmi che spaziano dal repertorio classico all’oggi e gli vale già nel 1994 il riconoscimento dei musicologi europei da cui riceve – unico italiano finora – il Premio internazionale Accademia chigiana, mentre l’anno successivo il Premio F. Abbiati testimonia l’apprezzamento della critica italiana.
Andrea Lucchesini ha al suo attivo numerose incisioni discografiche, le prime delle quali risalgono agli anni Ottanta per EMI International (Sonata in si minore di Liszt, Sonata “Hammerklavier”, op.106, di Beethoven, Sonata op.58 di Chopin); successivamente realizza Pierrot lunaire di Schoenberg e Kammerkonzert di Berg per Teldec, con la Dresdner Staatskapelle diretta da Giuseppe Sinopoli.
Ha inciso inoltre per BMG il concerto Echoing curves di Luciano Berio sotto la sua direzione, che diviene una delle tappe fondamentali di una stretta collaborazione con il compositore, accanto al quale Lucchesini vede nascere l’ultimo e impegnativo lavoro per pianoforte solo, la Sonata, eseguita in prima mondiale nel 2001 e successivamente consegnata – con tutte le altre opere pianistiche di Berio – a un disco AVIE Records che riceve unanime plauso dalla critica internazionale.
Altrettanto festeggiata la registrazione dal vivo che Lucchesini realizza del ciclo integrale delle trentadue sonate di Beethoven per Stradivarius: la raccolta ottiene tra l’altro nell’agosto 2004 il riconoscimento di disco del mese della prestigiosa rivista tedesca “Fonoforum”.
A partire dal 1990 il pianista si dedica anche alla musica da camera, realizzando in particolare una stretta collaborazione (anche discografica) col violoncellista Mario Brunello e esplorando in varie formazioni il repertorio cameristico.
Lucchesini si dedica con passione all’insegnamento, attualmente presso la Scuola di musica di Fiesole, della quale dal 2008 è anche direttore artistico. È inoltre invitato a tenere masterclass presso importanti istituzioni musicali europee, quali la Musik Hochschule di Hannover, il Sommer Wasserbuger Festspiele e il Mozarteum di Salisburgo; dal 2008 è Accademico di Santa Cecilia.
Il suo più recente lavoro discografico sono gli Improvvisi di Schubert, incisi per AVIE Records nel 2010 e accolti con entusiasmo dalla critica internazionale e nel novembre 2010 il CD è stato nominato disco del mese da “Musicweb International”.
* Per il 2014, La Fondazione I Pomeriggi Musicali, in virtù di una convenzione attivata con l’Università degli Studi di Milano, ha scelto di affidare la stesura dei programmi di sala della 69ª Stagione sinfonica a studenti laureandi in Discipline musicologiche. Gli studenti selezionati, accumulando esperienza e formandosi professionalmente, lavorano sotto la supervisione del musicologo Paolo Castagnone.