70ª Stagione Sinfonica Orchestra I Pomeriggi Musicali - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 11 dicembre 2014
Ore: 21:00

Maestro di concerto al violino: Alberto Martini
Violino: Luca Falasca
I Virtuosi Italiani

Telemann e Bach Concerti per due -tre violini e archi

Rota Concerto per archi e ballabili da “Il Gattopardo”

Biglietteria

BIGLIETTI
Interi
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla 30): € 19,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla 40): € 13,50 + prevendita
Balconata: € 10,50 + prevendita

Ridotti (Giovani under 26; Anziani over 60; Cral; Ass. Culturali, Biblioteche; Gruppi; Scuole e Università)
Primo Settore (Platea, dalla fila 1 alla fila 30) € 15,00 + prevendita
Secondo Settore (Platea, dalla fila 31 alla fila 40) € 11,50 + prevendita
Balconata € 8,50 + prevendita

CARNET LIBERI DI SCEGLIERE:
da oggi sei libero di abbonarti a 6, 8 o 10 concerti della Stagione scegliendo in base alle tue preferenze e alle tue disponibilità senza dover rinunciare al vantaggio economico dell’abbonamento (i carnet costano da €. 56,40 a €. 163,00 a seconda del numero di concerti selezionati)

Per informazioni e prenotazioni:
promozione@ipomeriggi.it 02/87905267

Il Cast

Maestro di concerto al violino: Alberto Martini
Violino: Luca Falasca
I Virtuosi Italiani

Martini Alberto violino
Aiello Antonio violino
Fable Elisabetta violino
Marzaro Matteo violino
Falasca violino
Miori Ilaria violino
Capriotti Vinicio violino
Ghilardi Flavio viola
Pandolfi Alessandro viola
Sapere Leonardo violoncello
Pegoraro Giordano violoncello
Braia Sante contrabbasso
Vincenzi Marco clavicembalo

Note di sala

Georg Philipp Telemann Ouverture don Quixotte a 4 [TWV 55:G10]

Georg Philipp Telemann Concerto per violino, archi e basso continuo in sol minore TWV 51:G1
Allegro – Adagio – Allegro

Violino solista: Antonio Aiello

Antonio Vivaldi Concerto in Sol minore per violino, archi e cembalo, “La Notte” RV104
Largo – Fantasmi (Presto) – Largo – Il sonno (Andante) – Presto – Allegro

Violino solista: Antonio Aiello

Johann Sebastian Bach Concerto per due violini in re min. BWV 1043
Vivace – Largo ma non tanto – Allegro

Violini solisti: Luca Falasca, Alberto Martini

Nino Rota Ballabili dal Film di Luchino Visconti “Il Gattopardo”
Valzer Verdi – Mazurka – Balletto – Polka – Quadriglia – Galop – Valzer del commiato

Nino Rota Concerto per archi
Preludio: Allegro ben moderato e cantabile – Scherzo: Allegretto comodo – Aria: Andante quasi Adagio Finale: Allegrissimo

Musica da godere

di Lorenzo Arruga

Se il bravissimo Georg Philipp Telemann non fosse stato simpatico e coll’animo di chi si divertiva a fare musica, avrebbe avuto il diritto di vivere arrabbiato. Nella vita aveva successo, e la capacità e la voglia di comporre a tutte le ore. Per esempio, 44 opere teatrali; e poi in chiesa 43 per la Passione, 53 per giubili e solennità, 12 servizi funebri per imperatori, re e personaggi importanti. Haendel che era suo amico  diceva che faceva prima a scrivere un mottetto ad otto voci che una lettera. Aveva il posto sicuro, l’ultimo ad Amburgo lo tenne per 46 anni: piaceva.  Faceva tutto bene, melodia, contrappunto, senso caldo della coralità. Suonava almeno tre strumenti in modo professionale.  Il guaio che avrebbe tenuto molti colleghi di cattivo umore gli poteva venire da una circostanza rara, viveva proprio negli anni e nei luoghi di Haendel e Bach, come dire Gimondi che pedalava contro  Eddy Merckx,  o tutti i centometristi che in una corsia vicina si trovano Usain Bolt.

Ma Telemann non concorreva, non provava rivalità, per quanto si sappia: andava avanti ben contento a  inventare e comunicare, anche scrivendo parti facili che tutti i volonterosi potessero eseguire. E anche adesso lo si ascolta tranquilli, senza fatica,  come faremo noi nell ‘Ouverture del Don Chisciotte, che sa di teatro, e poi nel gioco brillante di tre violini in dialogo con l’orchestra. Dopo tutto era uno che si dedicava alla Tafelmusik,  “musica da tavola” , d’accompagnamento ai pranzi, e che sapeva tirar fuori dalla mente bellissime melodie: non per nulla Fabrizio De André ne aveva presa una per la sua Canzone dell’amore perduto.

Certo, quando comincia Bach, l’impressione d’un universo che si schiude si presenta immediatamente. Poco a poco proviamo ad entrarci, e poco a poco ci sentiamo in una vertigine. Naturalmente dipende da noi: se, visto uno spiraglio di luce stiamo lì, seduti dov’eravamo e aspettiamo che diventi una grossa finestra, alla fine registreremo solo che qualcuno ha costruito qualcosa di molto abile.  Anche se ne studiamo la storia, il fatto che sia stato scritto nel periodo maturo della vita dell’autore, che peraltro era già nato maturo di natura, che lo abbia ricavato trascrivendolo da un concerto per due clavicembali conservandone l’inesorabile pienezza, siamo sempre nella conoscenza pura, nella cultura. Ma se con l’animo aperto e l’attenzione tesa ci mettiamo all’interno insieme ai musicisti che l’eseguono inseguendosi proprio realizzando il nome di “fuga” che la musica dà a questa forma; se li seguiamo quasi con la paura che qualcuno si perda e felici invece della continua conquista, pronti a cogliere la forza della grande frase dell’Adagio; insomma se li ascoltiamo come atleti ed amici, possiamo vivere un’avventura sconfinata.

Poi, una ventata meravigliosa, di quelle che ci prendono di sorpresa e ci fanno gustare in anticipo i cambi di stagione accogliendoci come per privilegio nel soffio della vita, ci fa sentire che è arrivata la musica di Nino Rota.
Lo si riconosce ben presto: la rapida disinvoltura con cui ambia direzione continuando il suo movimento, la presenza di certe acciaccature, come allusioni a un gioco divertente fra lui e noi ogni volta, e, nell’adagio, poi, quelle quartine di note vicine e veloci lievi come un abbellimento e sostanziose come un segno d’orientamento, quasi una firma. Tutto naturale, il discorso d’un nato per la musica, libero.

Le musiche da Il Gattopardo sono fra le tantissime che scrisse per il cinematografo. Nessuno fu corteggiato come lui dai grandi registi: Lattuada, Soldati, Eduardo, Comencini, Monicelli, Zeffirelli. Con Fellini fu tanto indissolubilmente legato che a chi sente una musica di Rota a volte scappa detto: “felliniana”. A Coppola, richiesto per le musiche del Padrino, mandò come assaggio due temi che gli piacevano molto e uno di riserva che non lo convinceva: Coppola scelse il terzo e fu il successo mondiale che sappiamo. Il Gattopardo è uno dei film con cui collaborò con Luchino Visconti. Al contrario di Fellini e di quasi tutti gli altri, Visconti non voleva immaginare l’azione e poi chiedere un clima particolare al musicista, filmarla e poi adattarla ai tempi funzionali per la pellicola; voleva una sinfonia apposta, completa, su cui costruire il film come aveva fatto con la Settima sinfonia di Bruckner per Senso,  e da citare come musica d’epoca nella vicenda come, sempre in Senso,  la cabaletta “della pira” del Trovatore; e come avrebbe poi le usato brani di sinfonie di Mahler in Morte a Venezia. Rota ci provò, poi dichiarò che non gli riusciva bene, ed andò da Visconti a fargli ascoltare in cambio musiche di autori ottocenteschi; solo che a un certo punto inserì, secondo lui distrattamente sovrappensiero, musiche scritte da lui e già usate in altri film. A quel punto Visconti si entusiasmò,  voleva quelle. Gli venne anche in mente che aveva un autografo di Verdi con un suo valzer dedicato alla contessa Maffei, per pianoforte. Estremamente fascinoso. Rota lo strumentò ed attorno gli adattò una suites di danze servendosi di quelle da La montagna di cristallo e Appassionatamente.   Una lunga partitura che venne conservata nel film senza tagli.

L’arte di Nino Rota è tra le più scaltre e indifese. Il pregio non sta nei procedimenti nuovi o nelle scoperte linguistiche. ma tutto nella qualità dell’invenzione. Sapientissimo nella conoscenza della  musica, si consegna però all’evidenza del gesto, alla seduzione della melodia, alla pienezza dell’armonia; quando intervenga il contrappunto, è scioltissimo e impeccabile. Autore di opere interessanti di dimensioni generalmente piccole, di musica sinfonica e da camera, mostra ogni v olta una spetto nuovo, ma è sempre riconoscibile per quel tanto di struggente e coinvolgente e un po’ grottesco o bizzarro che nasconde solo apparentemente. L’opera sua più famosa, l’unica forse opera  buffa costantemente in repertorio da tre quarti di secolo, Un cappello di paglia di Firenze, lo rivela uomo spiritoso, con una misura teatrale infallibile. E, anche se questo è un parametro che sfugge all’esame musicologico, conosce il cuore umano: Può farci piangere con la tromba patetica che suona il tema di Gelsomina ne La strada di Fellini, e darci grande allegria quando Rita Pavone canta la sua canzone dal Giamburrasca televisivo: “Viva la pappa-pappa /col popopopopò – col pomodoro…”.

La solita, incredibile Italia

C’è, fra le nostre storie patrie, un “caso Rota”.  Per molto tempo, solo poche generazioni fa, in molti decisero che Nino Rota non era un musicista contemporaneo. Pure, era nato nel 1911 e visse fino al 1979; e veniva eseguito in tutto il mondo.

Chi erano, questi molti? Stravaganti, distratti? No, seguaci d’un credo ideologico. Era l’Italia dei due blocchi contrapposti, la sinistra e la destra, e avevano deciso che chi non era di sinistra era di destra e chi non era di destra era di sinistra.  Buoni e cattivi, cattivi e buoni, come volete voi. Il lato comico lo coglievano in pochi. Su L’Unità, quotidiano del Partito Comunista, Mario Melloni, autore dei corsivi firmati “Fortebraccio” alzava il tono pur feroce della satira giocando sul paradosso; per esempio d’un noto ministro democristiano scrisse: “Se uno non avesse avuto l’ardire di offrirglielo fritto al ristorante, Forlani non avrebbe mai saputo dell’esistenza del cervello”. Giovanni Guareschi, l’autore degli immortali Don Camillo e Peppone, sul settimanale di destra Candido teneva fra l’altro una rubrica “Visto da destra, visto da sinistra”, con la cronaca faziosamente assurda dello stesso episodio, e ad esempio una volta immaginando una carica della polizia a cavallo contro manifestanti comunisti vista da destra riferì “fu visto un operaio dare violente panciate contro lo zoccolo d’un cavallo”.

Ma purtroppo la situazione era drammatica. Papa Pacelli, Pio XII, aveva scomunicato chi aderisse al marxismo ateo: comunisti e socialisti cattolici dovevano venire scacciati dai confessionali. I fedeli dell’idea comunista continuavano a tenere per la Russia contro l’America anche dopo che il Rapporto Kruscev aveva svelato i crimini storici di Stalin. C’erano ancora gli echi e le ferite della lotta per la Resistenza. Il contesto non favoriva la ricerca serena, anche nell’arte. E si sa che l’Italia è più ricca di passionali che non di studiosi della realtà.

Nella musica, come in genere nelle attività culturali fra la gioventù, era la sinistra che più s’impegnava, nella pigrizia generale.  E, un po’ per la preferenza dei progressisti alle idee rinnovatrici, applicate sommariamente ai linguaggi musicali, un po’ per ragioni contingenti come il fatto che il più influente compositore comunista, Luigi Nono, molto autorevole nel partito, era genero di Arnold Schoenberg, nella sommarietà delle diatribe italiane ci fu una scelta netta, uno schieramento. Chi rompeva con la musica tradizionale e cercava di mettersi sull’onda dell’atonalità, a costo di non comunicare spontaneamente con il pubblico popolare, era uno che voleva cambiare il mondo, chi stava nell’alveo tranquillo della tonalità era un conservatore, un passatista. Questa storia, che qui c’è spazio soltanto per ricordare con disincantati accenni, ancora brucia e c’è chi la ricorda come una battaglia di giovinezza, forse temendo d’avere  sbagliato parte, e chi si sente al di sopra delle parti, sbagliando di sicuro.

Ecco: Rota era uno “tonale” e quindi non doveva considerarsi un contemporaneo. Che poi avesse sperimentato linguaggi diversi, che soprattutto ne avesse uno suo, contava poco. Per di più si dedicava al cinema, ed aveva successo pressoché planetario, e gli piaceva anche attingere agli autori del passato, a modo suo. Non era tipo né da far politica né da sembrare qualunquista. Ma prendersi la libertà di essere se stessi non lascia tranquilli. E’ utile però ripassare la nostra storia di ieri, anche per non colorare di troppa nostalgia il nostro – per dirla con Rota – a m’arcord.