Direttore: Alessandro Cadario, violino: Alexandra Conunova - In anteprima - I Pomeriggi Musicali - Teatro Dal Verme

Le date

Sala Grande
giovedì 13 febbraio 2025
Ore: 10:00*
*I Pomeriggi in anteprima

Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Egmont Ouverture in Fa minore op. 84

Wolfgang Amadeus Mozart (1756 – 1791)
Sinfonia n. 25 in Sol minore K183

Max Reger (1873 – 1916)
Concerto per violino e orchestra op. 101

direttore Alessandro Cadario
violino Alexandra Conunova
Orchestra I Pomeriggi Musicali

Biglietteria

Prezzi dei singoli biglietti
Intero
Posto unico € 10,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60)
Posto unico € 8,00 + prevendita

Note di sala

I tre lavori in programma, benché appartenenti a generi diversi, condividono un’analoga postura espressiva: la trasfigurazione nei termini della musica assoluta, senza voce e senza scena, d’un dramma, non necessariamente collegato a riferimenti extramusicale. A un dramma vero e proprio fa riferimento la pagina inaugurale, l’Ouverture scritta da Beethoven per un allestimento viennese della tragedia Egmont (1788) di Johann Wolfgang Goethe, poeta venerato dal compositore sin dalla giovinezza. «Musicato per amore dei suoi versi» – così Beethoven suggeriva a Bettina Brentano di riferire al poeta – l’Egmont venne dato al Teatro di Corte di Vienna il 15 giugno 1810 con le musiche di scena beethoveniane, dieci numeri composti tra l’ottobre 1809 e il giugno 1810, aperti da una pagina che, al pari del Fidelio, del Coriolano e della Nona Sinfonia, costituisce nella sua potentissima concisione la sonorizzazione altamente simbolica del mondo morale più caro a Beethoven. La vicenda del conte di Egmont, che nel XVI secolo guidò i fiamminghi contro gli oppressori spagnoli di Filippo II, offre il destro per celebrare quell’ideale di libertà che trova nel Fidelio la sua realizzazione più compiuta e monumentale. La struttura musicale della sinfonia, incardinata nel feroce Fa minore già dell’ammirata Médée di Cherubini, è di chiarezza cristallina, fondata su tre capisaldi che da soli restituiscono la drammaturgia dell’intera pièce: l’incedere tragico degli accordi strappati degli archi, dal colore iberico (il ritmo di sarabanda) e percussivo, nel Sostenuto ma non troppo d’apertura, cui fa eco il lamento dei legni, come dire l’oppressione spagnola contrapposta alle sofferenze del popolo fiammingo; l’Allegro di sonata, preparato da un crescendo implacabile e fondato su un tema nobile e coinvolgente, simbolo della lotta tra le due opposte istanze politico-religiose; l’irresistibile inno alla libertà rappresentato dalla perorazione conclusiva della sfolgorante “Sinfonia della vittoria” (Allegro con brio: ritornerà come pagina autonoma a chiusura della tragedia), che ribalta in Fa maggiore il minore d’impianto, e trasfigura la vicenda, capovolgendo di segno il finale tragico, col conte di Egmont che porge al boia il capo mai prima chinato di fronte all’oppressore, a decretare utopicamente, il trionfo dello spirito sulla violenta opacità della Storia.
Il tragico è indubitabilmente il riferimento estetico della Sinfonia K183 (173db) di Mozart, la “piccola sinfonia in Sol minore” per distinguerla dalla “maggiore” del 1788, del cui mondo espressivo, come di quello del venturo Don Giovanni, questo capolavoro della giovinezza del genio, che la compose neppure diciottenne, nell’autunno 1773, suona un’inattesa premonizione. Chiusa definitivamente la stagione dei viaggi europei (ultima tappa, Milano, nel febbraio di quell’anno), Wolfgang è reduce da un’intera, fondamentale estate trascorsa a Vienna: trasferta cruciale, che gli frutta l’aggiornamento sulla frontiera più avanzata del sinfonismo. Non è improbabile che questo lavoro, la prima sinfonia mozartiana in modo minore e l’unica tra le sette od otto composte nel 1773 (per Massimo Mila e Stanley Sadie anche la prima grande partitura sinfonica mozartiana), risenta delle analoghe sinfonie “Sturm und Drang” di Franz Joseph Haydn, Johann Baptist Vanhal, Johann Christian Bach. Stabilita una palette timbrica specifica grazie al ricorso a quattro corni, in Si bemolle e in Sol, in luogo dei due regolamentari, la Sinfonia propone sin dall’attacco, attraverso una classica essenzialità di segni, un discorso dall’espressività affannosa, tumultuoso protendersi in una corsa inquieta su cui aleggia, imperturbabile, fatale, un motto scandito per valori larghi agli oboi sulle sincopi inesorabili degli archi superiori. Un po’ di requie l’offre l’Andante in Mi bemolle maggiore, pur nel colorito cinereo e benché le frequenti inflessioni in minore mantengano allerta l’attenzione. Con feroce determinazione il Minuetto restaura però il modo minore d’impianto, salvo riservare la sorpresa del Trio, concepito come schietta musica d’intrattenimento salisburghese: riservato a un sestetto di fiati (oboi, fagotti e corni a coppie) stabilisce un’enclave in Sol maggiore che rappresenta l’unica autentica oasi all’intero d’un lavoro fosco, condotto con la più feroce coerenza. L’inquietudine riemerge infatti se possibile ancora più implacabile nel Finale, dal bel tema scolpito nei gradi dell’accordo di Sol minore.
Il La maggiore in cui è incardinato il Concerto per violino di Max Reger potrebbe promettere una temperie di maggior distensione. E tuttavia, benché in assenza d’una connotazione dichiaratamente tragica, nemmeno qui il dramma manca. Dramma della forma, della lotta del compositore con un organismo che lui stesso, al violinista Carl Flesch che ne proponeva un drastico prosciugamento, definiva inevitabilmente “mostruoso” e sicuramente eccede di gran lunga, con quasi un’ora di durata, quella standard del genere: caratteristica che probabilmente contribuì alla modesta fortuna esecutiva. Dramma della contrapposizione tra la voce individuale del violino solista – se ne noti l’entrata in scena, lirica e sommessa – e la complessa scrittura sinfonica riservata all’orchestra. Infine, il dramma immanente a un linguaggio fortemente cromatico, ancora formalmente tonale ma che si protende ai confini di quella tonalità da cui negli stessi anni un Arnold Schönberg, per citare un autore che di questo Reger è sicuramente debitore, programmava l’uscita. Fresco di nomina come direttore musicale dell’Università e docente di composizione nella Lipsia di Bach, autore estremamente prolifico in ogni genere, Reger esibisce nei suoi lavori la fedele appartenenza alla linea della musica d’arte tedesca delle cosiddette tre grandi B, l’asse Bach-Beethoven-Brahms. Ai concerti per violino degli ultimi due si rifà in particolare il lavoro oggi in programma. Composto tra il giugno 1907 e il 23 aprile 1908 (in ritardo sulla “prima” programmata, che ebbe invece luogo al Gewandhaus di Lipsia il 13 ottobre successivo, solista il dedicatario Henry Marteau, sotto la direzione di Arthur Nikisch), il concerto esprime, per deliberata ammissione dell’autore nel presentare il nuovo lavoro all’editore, una vocazione schiettamente melodica; nel contempo, lungi dal configurarsi semplicemente come un concerto da virtuosi, mette in campo una scrittura sinfonica complessa e avvolgente che ingloba il contributo del solista, supplendo in qualche misura alla mancanza del genere sinfonia nell’immenso catalogo regeriano.

Raffaele Mellace