Fryderyk Chopin (1810 – 1849)
Concerto n. 1 in Mi minore per pianoforte e orchestra op. 11
Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)
Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore op. 55 “Eroica”
direttore Niklas Benjamin Hoffmann (vincitore della “Lovro von Matačić” Conducting Competition di Zagabria)
pianoforte Arsenii Moon (vincitore del Concorso “Busoni” 2023)
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Rinnovo abbonamenti
dall’11 maggio all’11 giugno 2024
Gli abbonati a 21 concerti, “in anteprima” o i possessori di un carnet “liberi di scegliere” a 15 concerti della 79ª Stagione potranno rinnovare il proprio abbonamento alla 80ª Stagione.
Nuovi abbonamenti
dal 18 giugno 2024
Vendita singoli biglietti
dal 9 luglio 2024
Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Presenta una doppia anima il concerto odierno: benché l’orchestra sia sempre coinvolta, la scrittura dei due lavori in programma è infatti radicalmente diversa, incentrata com’è rispettivamente sullo strumento solista e sulla compagine orchestrale. Il primo segue la tipologia di concerto Biedermeier in voga negli anni in cui il giovane Chopin andava costruendosi un repertorio. Gli servirono da modello non tanto i lavori di Mozart o Beethoven, dalla dialettica sostanziale tra pianoforte e orchestra, bensì i concerti composti per sé dai vari Moscheles, Field, Hummel, Kalkbrenner, destinati a tournée internazionali effettuate con orchestre talora raccogliticce, su cui non era consigliabile fare affidamento. Chopin è peraltro l’unico tra i grandi romantici suoi coetanei in cui l’interesse per l’orchestra non sarebbe mai decollato, fruttando solo una manciata di lavori giovanili, tra cui due concerti (un terzo resterà incompiuto nel 1832). Quello eseguito oggi è in realtà il secondo per composizione, benché sia stato il primo a uscire a stampa, a Parigi nel 1833. Chopin (che l’avrebbe poi eseguito solo due volte: l’ultima nel 1835) l’aveva scritto tra marzo e ottobre 1830, in vista del concerto con cui avrebbe preso congedo, definitivamente a sua insaputa, da Varsavia e dalla Polonia. Dedicato proprio al virtuoso Friedrich Kalkbrenner, vero idolo del pianista ventenne («Se Paganini è la perfezione stessa, Kalkbrenner lo uguaglia […] è un gigante che atterra gli Herz, i Czerny ecc.», dichiarò a un amico), il concerto venne provato privatamente a casa Chopin il 22 settembre e in pubblico, al Teatro Nazionale di Varsavia, l’11 ottobre 1830. Secondo gli usi coevi fu intercalato dall’esecuzione di un’aria con coro tra il I tempo, molto applaudito, e i successivi. Al concerto intervenne Konstancja Gładkowska, il soprano che avrebbe rappresentato l’ispirazione sentimentale più significativa del giovane pianista in quegli anni.
Aperto da una vasta introduzione orchestrale, incandescente d’inquietudine romantica, il monumentale Allegro maestoso (il tempo più ambizioso sul piano architettonico, assorbe da solo una buona metà della durata del concerto) concede molto spazio, pur in assenza di cadenze, al solista, tanto nell’esibizione più atletica e muscolare, quanto nel canto spesso malinconico e sempre “con espressione”. Vige una forma sonata dai temi principali incardinati rispettivamente in Mi minore e maggiore, determinato e struggente il primo, elegante e cantabile il secondo, fino al fuoco d’artificio d’una spericolata Coda virtuosistica. Sull’intenzione espressiva del Larghetto centrale in Mi maggiore, notturno dal «carattere di una romanza, calma, malinconica», impreziosita da una fascinosa linea melodica sognante che anticipa lo Chopin maggiore, possediamo una testimonianza epistolare dell’Autore, che lo descrive all’amico Tytus Woyciechowski come un «dolce sguardo rivolto a un luogo che risveglia nel pensiero mille piacevoli ricordi. È una fantasticheria del bel tempo primaverile, ma durante il chiaro di luna: perciò l’accompagnamento prevede la sordina», onde sortirne un «certo tono nasale e argentino». Il virtuosistico Rondò finale, avviato a sorpresa in inquieto Do diesis minore, è dominato dallo spirito folklorico d’una danza polacca, il Krakowiak, rapida, di metro binario, che attraverso un percorso armonico originale corona euforicamente il concerto, capovolgendo in maggiore il Mi minore d’impianto.
Dal pianismo Biedermeier di Chopin risaliamo per oltre un quarto di secolo. La Terza Sinfonia occupò infatti Beethoven tra il 1802 e l’inizio del 1804, impegno straordinario per gli standard del compositore, tanto da fruttare un intero quaderno di abbozzi tormentati. Della novità dell’impresa era cosciente lo stesso artista, che nel presentare la sinfonia all’editore chiosava, con notevole understatement: «Credo che interesserà il pubblico musicale». Con l’“Eroica” Beethoven impresse una direzione nuova alla sinfonia, «grande» sotto vari profili: l’accrescimento delle dimensioni, doppie rispetto alle sinfonie precedenti per l’inusuale dilatazione dei tempi; l’accrescimento dell’organico, che guadagna solo un terzo corno (strumento chiave nella partitura) ma indica una direzione precisa alla moderna orchestra sinfonica, ad esempio nella sezione di ottoni, incomparabile con quella settecentesca. La novità più storicamente notevole sta però nella concezione dell’intero lavoro all’insegna di un’unica idea poetica: tradurre in suoni una grandezza fuori dal comune, quel sublime che in una stagione tanto inquieta per l’Europa non poteva se non assumere la forma dell’idealità eroica coltivata dall’immaginario neoclassico: ad esempio, in quella statua di Napoleone come Marte pacificatore di Canova, perfettamente coeva (1803-06) della sinfonia, la cui versione in bronzo campeggia nel cortile di Brera; o i versi del Terzo inno delle Grazie foscoliane, dedicato a Pallade, che «sola tien l’asta paterna / […] per cui splende / a’ magnanimi eroi sacro il trionfo».
Sinfonia Eroica […] composta per festeggiare il sovvenire di un grand’Uomo, è il titolo con cui uscì a stampa il lavoro inaugurale della «via nuova» beethoveniana in ambito sinfonico, composto con in mente un nome e un cognome precisi. «Intitulata Bonaparte», recita il titolo poi depennato in testa a un manoscritto, confermato qualche riga più sotto: «Geschrieben auf Bonaparte» (“scritta su Bonaparte”). Col titolo «Bonaparte» Beethoven presentava al suo editore la sinfonia ancora nell’agosto 1804, tre mesi dopo averne rinnegato la dedica alla notizia della svolta tirannica di Napoleone, autoproclamatosi imperatore. Concepita con quell’orizzonte ideale, la Terza Sinfonia resta la sonorizzazione del mito dell’eroe (propugnatore di idee rivoluzionarie, non nerboruto, atletico Sigfrido), alla cui apoteosi concorrono la concezione complessiva, epica e romanzesca; l’impianto monumentale e la vasta, drammatica e trionfale peripezia dell’elementare e nobile tema principale dell’Allegro con brio (691 battute, di cui 140 per la sola Coda, mentre l’introduzione lenta è condensata in due accordi perentori); la solenne Marcia funebre, completa d’un episodio centrale trasfigurato, che annette, del tutto irritualmente in una sinfonia, una meditazione sulla morte; l’aerea, ignea leggerezza dello Scherzo, che col suo Trio agìto dai corni rappresenta la culla del romanticismo musicale tedesco; il Finale, che attinge all’autorevolezza del mito classico elaborando il tema conclusivo del balletto Le creature di Prometeo.