Concerto inaugurale
Sergej Rachmaninov (1873 – 1943)
Concerto n. 3 per pianoforte e orchestra in Re minore op. 30
Igor Stravinskij (1882 – 1971)
L’oiseau de feu (terza suite, versione del 1945)
direttore Ryan McAdams
pianoforte Mikhail Pletnëv
Orchestra I Pomeriggi Musicali
Biglietteria
Rinnovo abbonamenti
dall’11 maggio all’11 giugno 2024
Gli abbonati a 21 concerti, “in anteprima” o i possessori di un carnet “liberi di scegliere” a 15 concerti della 79ª Stagione potranno rinnovare il proprio abbonamento alla 80ª Stagione.
Nuovi abbonamenti
dal 18 giugno 2024
Vendita singoli biglietti
dal 9 luglio 2024
Prezzi dei singoli biglietti
Intero
I settore € 20,00 – II settore € 14,50 – Balconata € 11,00 + prevendita
Ridotto (under30, over60, gruppi, associazioni ed enti convenzionati)
I settore € 16,00 – II settore € 12,50 – Balconata € 9,00 + prevendita
Note di sala
Inaugura l’80a stagione dei Pomeriggi Musicali un dittico dedicato al grande sinfonismo russo, rappresentato da due titoli fondamentali di Rachmaninov e Stravinskij: due lavori perfettamente coetanei, tenuti a battesimo ad appena sei mesi di distanza. Con il Concerto n. 3 incontriamo Rachmaninov nel 1909. In vista di un’attesa tournée statunitense, compose il concerto tra maggio e agosto nella tenuta di campagna di Ivanovka, per provarlo, su una tastiera muta in mancanza d’un pianoforte (!), nel viaggio in piroscafo verso New York, dove la partitura venne tenuta a battesimo dall’autore il 28 novembre. Vasto e straordinariamente impegnativo per l’interprete (il dedicatario Józef Hofmann non osò mai affrontarlo; lo stesso Rachmaninov venne criticato al debutto e smise di eseguirlo dopo aver ascoltato l’interpretazione di Walter Gieseking; fu però Vladimir Horowitz lo storico dominatore della partitura), non immemore di Čajkovskij, il concerto rappresenta il culmine dell’esperienza secolare di interpreti-compositori come Chopin o Paganini, le cui architetture musicali s’incentrano sul virtuosismo funambolico del solista. Con l’avvertenza, nel caso del cosiddetto “Rach 3”, che la parte dell’orchestra, benché aliena da complesse elaborazioni tematiche, non è concepita come mero, trasparente accompagnamento del pianoforte, ma è scritta con molta cura. Se ne avvide Gustav Mahler, che diresse sempre a New York la seconda esecuzione del concerto il 16 gennaio 1910, costringendo la New York Philharmonic a prove supplementari per curarne ogni dettaglio. La scrittura presenta una cospicua, efficace varietà di atteggiamenti espressivi che spaziano nell’ampio spettro dalle sonorità più fragorose e pompière a zone quasi cameristiche, di intimo raccoglimento, imponendo al solista una notevole versatilità. Domina peraltro il classico melodizzare à la Rachmaninov, sensibile alle inflessioni del canto popolare e liturgico russo, ripensate secondo parametri occidentali, tanto nel romantico, nostalgico primo tema dell’Allegro ma non tanto («Volevo che il pianoforte cantasse la melodia come l’avrebbe cantata un cantante», puntualizzerà l’autore), quanto nel dimesso Adagio, prima che l’incalzante Finale. Alla breve, non disperda ogni velleità lirica in un travolgente, sfrenato movimento coreutico.
Alla danza conduce esplicitamente il secondo titolo, L’Oiseau de feu (L’Uccello di fuoco) d’uno Stravinskij ventottenne, che in questa partitura dalla fantasia esuberante traduce i valori narrativi e simbolici del soggetto coreutico in un’orchestrazione sofisticata e iridescente. Prima commissione stravinskijana dei Ballets russes di Djagilev, presentato il 25 giugno 1910 (lo videro Proust, Claudel, SarahBernhardt e tutta l’intelligencija parigina) il balletto propone un adattamento della fiaba russa del Gallo d’oro ad opera di Michel Fokine, che curò anche la coreografia. Superando le convenzioni del balletto romantico, Stravinskij sposta l’attenzione dalla vicenda umana a quella metafisica, secondo le tendenze più aggiornate della cultura russa d’inizio Novecento. Il soggetto viene così a significare la lotta tra i princìpi del male e del bene, incarnati rispettivamente dall’orco Kastcheïe dall’Uccello di fuoco. Nel mezzo dell’agone si dibatte il principe Ivan, che alla fine riuscirà a prevalere, ottenendo come ricompensa l’amore della principessa. Dai 19 numeri della partitura originaria, che fruttò all’autore l’ammirazione di Ravel e un invito a cena di Debussy, Stravinskij realizzò tre suite, nel 1911, nel1919 e ancora nel 1945. La più recente, oggi in programma, restituisce – con una sintesi che l’autore preferiva alla lunghezza e qualità diseguale del balletto – tutta la vitalità della partitura di partenza in una fantasmagoria di colori. Per limitarsi a qualche esempio, l’Introduzione accoglie l’ascoltatore con il timbro livido d’un impasto sonoro privo di luce: in pianissimo i bassi con sordina preparano nell’ambiguità tonale, sul tremolo della grancassa e coadiuvati da un cupo corale ultraterreno dei tromboni, l’entrata d’una marcia grottesca evocata dai frammenti a clarinetti, fagotti e trombe, prima che un glissando sugli armonici naturali di violini e violoncelli non offra uno straordinario effetto di liquidità sonoro, orgoglio dell’autore e ammirato da Richard Strauss. Il Preludio e danza dell’Uccello di fuoco, pagina preferita da Stravinskij e tra le più progressive, rivela nella sinistra frenesia di icastici gesti aggressivi uno straordinario magistero di orchestratore. Lo Scherzo (Le principesse e le mele d’oro), «alla Mendelssohn-Čajkovskij» disse l’autore, aperto da un dialogo cameristico tra flauti e violino dal lirismo effusivo, impiega, in una trama orchestrale incantata, due melodie folkloriche russe, all’oboe e ai violini primi. Cuore del balletto è però l’apparizione dell’orco spaventoso nella Danza infernale, resa con una pagina di inaudita violenza barbarica, premonizione del successivo Sacre du printemps. L’inesorabile, rapido pulsare dei timpani prepara l’ingresso dell’ostile tema sincopato ai fagotti, cui segue l’inquietante fanfara dei tromboni, violenti sforzatissimi orchestrali, una pagina delicata agìta da flauto, xilofono, pianoforte e arpa, e un’altra guidata dagli archi, che conduce auna sezione per percussioni e fiati finemente cesellata, con presagio della Histoire du soldat alle trombe. Lo sviluppo tumultuoso di un ampio movimento sinfonico dall’attività febbrile sfocia in una Coda in triplice forte, bruscamente smentita da una delicatissima transizione in Andante. La Ninna-nanna seguente rappresenterà il torpore provocato dall’incantesimo dell’Uccello di fuoco: la nenia esotica del fagotto si distende sul sommesso accompagnamento di arpa, viole e violoncelli, suscitando la risposta dell’oboe, con l’allargamento dello spettro timbrico all’intera compagine degli archi. Il grandioso Inno finale chiude in rutilante, festiva apoteosi l’esito fausto della fiaba, con il dissolversi del Palazzo dell’orco e il ritorno alla vita umana dei cavalieri trasformati in pietra. L’esordio, di grande delicatezza, propone, sul tremolo degli archi, il canto remoto del corno (il tema della liberazione: altra melodia popolare), ripreso da violini e flauto, e infine trasfigurato nell’enfasi epica dell’intera compagine. La pagina culminante, annunciata dall’ingresso della grancassa, corona con passo maestoso l’intero balletto in una sorta di risposta modernista al trionfale, solenne pannello conclusivo dei Quadri di un’esposizione di Musorgskij.